Nel giudaismo ci sono racconti in cui Dio compare e parla, magari in
sogno o in visione; similmente ciò accade anche all’interno del cristianesimo.
Si pensi al sogno in cui un uomo, visionando il suo passato, vede sulla sabbia
le orme di due persone e sa che le une sono di Dio; poi, quando ne vede solo
due, si lamenta con Dio d’essere stato abbandonato, mentre il Signore gli dice
che quello era il momento in cui lo aveva preso in braccio. In ciò non c’è nulla
di male. Certi racconti possono avere anche una leggera vena ironica di Dio
verso l’uomo.
Per altro nella stessa Bibbia Dio pensò di
curare con l’ironia Giona, il cui prestigio il profeta vide
incrinato in Israele, essendo stato mandato proprio a Ninive. Quando egli
era al massimo dell’irritazione e voleva solo morire, Dio gli chiese con una
certa vena ironica, magari velata: «Fai tu bene a irritarti così?» (Gna
4,4). E dopo che il ricino si seccò, gli chiese nuovamente: «Fai tu bene a
irritarti così a motivo del ricino?» (v. 9). Al che Giona esplose in modo
tragicomico: «Sì, faccio bene a irritarmi fino alla morte!». Solo quando
il profeta malato d’ideologia era finalmente «scoppiato», Dio poté finalmente
dargli una lezione sulla proporzione delle cose nella realtà e sul proprio
essere (vv. 10s).
In ogni modo, non si fa bene a fare umorismo col
nome di Dio, poiché contraddirebbe
il principio di non usare il nome di Dio invano. All’inizio del mio libro
umoristico «Motti
di spirito» traccio le linee dell’umorismo cristiano («Bibbia
e “scienza gaia”»), mostrando che Dio ha humour e mostrandone vari casi, tra cui
quello di Giona.
Anche Gesù
non mancò degli artifici tipici dell’umorismo, si pensi alla sua descrizione del
pubblicano e del fariseo nel tempio (Lc 18,10ss). Si pensi alla reazione d’un
levita e d’un sacerdote nei confronti di un uomo, che era stato assalito dai
briganti, e come essi passarono oltre e cioè dal lato opposto della strada,
mentre fu proprio un odiato
Samaritano a soccorrerlo e a mietere la lode di Gesù (Lc 10,30ss). Si pensi
anche ai ricchi e al
kamelos (cammello e gomena) che deve passare
nella cruna d’un ago! (Mt 19,24). Si pensi inoltre a come Gesù apostrofò
pubblicamente i «rispettabili» Farisei, chiamandoli «ciechi», «guida di ciechi»,
«serpenti», «ipocriti», eccetera (Mt 15,14; 23,13ss). Si pensi alla reazione
della gente a sentire che i Farisei pagavano perfino «la decima della menta e
dell’aneto e del comino» (Mt 23,23), che colavano il moscerino e
inghiottivano il cammello (v. 24), che pulivano il di fuori del calice e del
piatto, mentre dentro c’era tutto il peggio possibile (v. 25), che
assomigliavano a sepolcri imbiancati, belli di fuori, ma pieni di corruzione
dentro (v. 27). Come non sobbalzava il cuore (e non solo) della gente a vedere
tali falsi apostoli moralisti, ora apostrofati da Gesù?
Quanto all’apostolo
Pietro, egli (come tutti i veri credenti morti) è in Paradiso e attende
la risurrezione. Lì i morti sono coscienti, ma non attivi, non avendo un corpo.
La massima autorità nel Paradiso (che non è il Cielo) è Abramo (Luca 16,19ss).
Quindi tutte le barzellette su «san Pietro» nell’aldilà sono sbagliate. Lo sono
pure quelle che vedono nell’Inferno il diavolo e i demoni come tormentatori; il
primo inquilino trascendentale dell’Inferno (dopo la «bestia» o dittatore
escatologico e il falso profeta, Ap 19,20) sarà proprio il diavolo, unitamente
ai suoi accoliti (Ap 20,10), i quali saranno essi stessi tormentati in eterno.
Il comandamento «Non nominare il nome di Dio invano»
vale quindi anche per l’umorismo gratuito, specialmente quello in cui
l’Onnipotente viene reso ridicolo. {Nicola Martella}