Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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■ Uniti nella verità
■ Le diversità quale risorsa
■ Le diversità e le divisioni
■ Aspetti connessi.
 
Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LA QUESTIONE DELLA «CULTURA BIBLICA»

ALLA LUCE DEL GIUDAISMO 1

 

 di Nicola Martella

 

Questo articolo prende spunto dal seguente articolo: ► Lezioni dalla storia 1: L’influenza delle rivolte giudaiche sulla chiesa primitiva {Argentino Quintavalle}. Leggendolo, mi sono posto delle domande e ciò mi ha portato alle seguenti riflessioni. Lo scopo è quello di continuare a dialogare nella ricerca della verità. Alcune domande che mi sono posto, ma a cui non rispondo sono ad esempio queste: Come poteva avere la rivolta giudaica del 1° secolo un'influenza sulla «chiesa primitiva» (o apostolica), visto che essa non partecipò alla difesa di Gerusalemme, ma secondo le ingiunzioni messianiche (Mt 24) doveva fuggire alle prime avvisaglie predette dallo stesso  Messia? Una chiesa giudaica perseguitata dai capi religiosi e politici del giudaismo poteva mai associarsi a una tale insurrezione contro i Romani? Come poteva avere poi la rivolta giudaica del 2° secolo un'influenza sulla «chiesa primitiva» (o apostolica), visto che essa cessò di esistere in Gerusalemme già prima degli anni Settanta del 1° secolo? Si può ancora parlare nel 2° secolo di «chiesa primitiva»?

     Passiamo ora ad affrontare specialmente le questioni culturali in riferimento al giudaismo.

 

     ■ Esiste una «cultura biblica»? Alcuni hanno preteso che lo stile di vita dei primi credenti giudaici fosse il substrato di un’autentica «cultura biblica». È veramente proponibile questo, specialmente alla luce delle decisioni del concilio di Gerusalemme (At 15)? Altri hanno preteso nei secoli che lo stile di vita dei cristiani occidentali sia quello «giusto» e perciò hanno esportato insieme all’Evangelo anche la cultura occidentale, snaturando così le culture di vari popoli, dove sono arrivati i missionari. Si parla al riguardo di «colonialismo culturale».

     ■ L’Evangelo è di per sé un messaggio straordinario ma semplice. Dove esso arriva trasforma le persone, il loro atteggiamento mentale, lo stile di vita, eccetera. L’Evangelo non abbatte le culture, ma si innesta in esse per guadagnare le persone a Cristo. Ogni cultura può diventare «biblica», dove l’Evangelo diventa una forza dinamica di trasformazione. Ma l’Evangelo non vuole snaturare le culture che trova, ma le vuole nobilitare negli aspetti positivi insiti in esse. Per questo motivo, nel primo secolo l’Evangelo poté arrivare in pochi decenni in popoli così diversi quanto a lingua, cultura, storia, usi e costumi.

     ■ A mio parere è un errore vedere nel cristianesimo di Gerusalemme un modello di «cultura biblica», visto che esso durò solo pochi decenni (Gerusalemme fu distrutta nel 70 d.C.) e già prima divenne minoritario all’interno di una chiesa composta specialmente da Gentili, a cui non fu imposta la cultura dei Giudei cristiani. È altresì un errore portare la cultura dei cristiani occidentali, credendo e facendo credere che sia di per sé la «cultura biblica».

     ■ La fede in Gesù è una eredità giudaica? Se la fede in Lui fu annunciata dapprima nel giudaismo, ben presto se ne sganciò, perché era un messaggio universale. Tale fede divenne efficace di là dalla Legge e dal giudaismo. La chiesa esclusivamente giudaica fu una brevissima fase della storia della chiesa. In effetti, i Giudei cristiani, che continuarono a manifestare l’ebraicità della loro fede, furono fin dall’inizio una piccolissima minoranza del giudaismo e divenne presto ancora più esigua all’interno della chiesa nel suo complesso. Non si può quindi affermare che la cultura giudeo-cristiana fosse norma e normativa all’interno della chiesa del primo secolo e di quelli successivi. Quello che rimase fu una concettualità generale che in genere non fu espressa neppure in ebraico ma in greco (il NT è stato scritto in greco e non esiste neppure un solo frammento in ebraico!). Non è un caso che il concetto ebraico «Messia», sebbene si possa ritenerlo centrale, si trovi solo tre volte nel NT (Gv 1,41; 4,25; 13,25), mentre il corrispondente greco, «Cristo», ricorre in 507 versi.

     ■ L’atteggiamento dei missionari del paleo-cristianesimo (erano tutti Giudei!) non fu quello di trasmettere la giudaicità culturale alle genti che evangelizzavano, ma di inserire l’Evangelo nella loro cultura, assumendo essi stessi gli usi e i costumi degli di Dio, alfine di guadagnare il maggior numero di persone a Cristo. «Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo a tutti, per guadagnarne il maggior numero; e coi Giudei, mi son fatto Giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi son fatto come uno sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge; con quelli che sono senza legge, mi son fatto come se fossi senza legge (benché io non sia senza legge riguardo a Dio, ma sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che son senza legge» (1 Cor 9,19ss).

     ■ Che pensare di Atti 21,20? Il verso recita: «Fratello, tu vedi quante migliaia di Giudei vi sono che hanno creduto; e tutti sono zelanti della legge». Come già detto, tali migliaia di Giudei erano un’estrema piccola percentuale del giudaismo e non era rappresentativa dell’intero cristianesimo che intanto si era sviluppato.

     ■ Che pensare di 2 Ts 2,15? Il verso recita: «Perciò fratelli, state saldi e ritenete gli insegnamenti in cui siete stati istruiti sia tramite la parola sia tramite la nostra epistola». È un grave errore interpretare qui il termine greco paradoseis — che significa «trasmissioni, tradizioni, dottrine, insegnamenti» — nel senso che Paolo avesse comunicato ai Tessalonicesi contenuti ingiuntivi della Legge e della tradizione giudaica. Il contesto in cui Paolo parlò era quello dell’Evangelo (v. 14) e l’attesa del beato futuro (vv. 16s). Nelle epistole paoline ai Tessalonicesi i termini «Legge» o «tradizione» giudaica non ricorrono mai. Il termine parádosis ricorre anche in 2 Ts 3,6, ma intende anche qui la trasmissione di insegnamenti conformi all’Evangelo, qui di carattere etico. Difficilmente i Giudei potevano valere come modello, poiché di loro si legge solo questo: «Anche voi avete sofferto dai vostri connazionali le stesse cose che quelle chiese hanno sofferto dai Giudei, i quali hanno ucciso e il Signor Gesù e i profeti, hanno cacciato noi, e non piacciono a Dio, e sono avversi a tutti gli uomini, vietandoci di parlare ai Gentili perché siano salvati. Essi vengono così colmando senza posa la misura dei loro peccati; ma ormai li ha raggiunti l’ira finale» (1 Ts 2,14ss).

     ■ La legittimità di un cristianesimo «non-giudaico» fu sancito da un concilio a maggioranza giudaica! (At 15). Come ci insegna Paolo in Rm 14 è legittimo che chi è Giudeo, osservi il giorno e mangi secondo i dettami rituali del giudaismo, ma non è normativo per i Gentili. Anzi dovunque i Gentili cominciavano a praticare dei costumi giudaizzanti, Paolo vedeva un sintomo di grande preoccupazione sia per l’Evangelo sia per il bene di tali cristiani (Gal 3,1ss; 4,10s; Col 2,16ss).

     ■ Si afferma che il giudaismo, quello storico e quello cristiano, abbiano frequentato a lungo le stesse sinagoghe. Si allude anche al fatto che i Giudei cristiani siano stati presenti in Gerusalemme durante l’assedio romano. Si afferma che sia stata l’aggiunta della 19a «benedizione» a prevaricare il rapporto fra giudaismo storico e quello cristiano, ritenuto eretico (si afferma che i cristiani giudei continuassero a frequentare le stesse sinagoghe degli altri Giudei): «Non possano gli apostati avere alcuna speranza, a meno che essi non ritornino alla Torah, e possano scomparire i Nazareni in un istante. Possano essere cancellati dal libro della vita e non essere annoverati tra i giusti». Troviamo in ciò un contrasto dapprima con le parole di Gesù, che comandava ai suoi seguaci di fuggire non solo da Gerusalemme ma dai luoghi abitati della Giudea, appena avessero visto «l’abominazione della desolazione» (Mt 24,15ss; tale segnale si concretizzò per mano degli Zeloti, che misero la loro centrale operativa proprio nel tempio). Troviamo in ciò un contrasto anche con la prassi missionaria dei missionari cristiani di origine giudaica: essi andavano a predicare l’Evangelo nelle sinagoghe (in zone in cui non c’erano ancora chiese); quando trovava grande ostilità (che era la normalità), separava i discepoli (Giudei e proseliti; At 19,9) che avevano creduto in Gesù quale Messia, si dedicava alla loro istruzione (rivolgendosi anche ai gentili della città), finché i «Giudei rimasti disubbidienti» (At 14,2) creavano le circostanze di una persecuzione tale che costringeva tali missionari di andare altrove. Qui si replicava il modello. In tutte le epistole del NT non risulta che i credenti (giudei e non) si riunissero in sinagoghe, ma in «chiese in casa» (cfr. Rm 16). A ciò si aggiunga che l’ostilità dei Giudei e del Sinedrio verso i Nazareni avvenne subito dopo Pentecoste e praticamente non smise più; l’aggiunta della 19a «benedizione» formalizzava il rifiuto di Gesù quale Messia, avvenuto negli anni Trenta del primo secolo, e la prassi ostile verso i Nazareni, che era in essere già da molti decenni e di cui Saulo stesso fu dapprima un fiero rappresentante.

     ■ Voler salvare il giudaismo dei Farisei, da cui provennero poi il giudaismo rabbinico, è singolare. Gli Zeloti erano Farisei estremisti. La maggior parte dei Farisei parteciparono alla difesa di Gerusalemme e di altre città giudaiche. Nel secondo secolo l’insurrezione fu promossa da un rabbino, Akiba. È singolare voler vedere i cristiani giudaici come partecipanti all’insurrezione dei Giudei sia in Gerusalemme (1° secolo) sia nell’impero romano (2° secolo). A parte il fatto che i cristiani giudaici erano solo poche migliaia, non c’è nessuna evidenza storica che abbiano partecipato all’insurrezione di Bar-Kochba.

     ■ È singolare che si veda una divaricazione fra giudaismo e cristianesimo solo così tardi, visto che il concilio di Gerusalemme di fatto creò di fatto due grandi contenitori culturali del cristianesimo: quello giudaico (che era abbastanza contenuto e perse sempre più d’importanza) e quello gentile (che fu presto nella maggioranza). Quanto al greco, esso era la lingua parlata dalla maggioranza dei Giudei, vivendo essi nella diaspora. Poiché non ci fu un’imposizione della cultura giudaica sui Gentili cristiani (lo fecero solo i giudaisti, ma furono condannati e avversati da Paolo e dalla sua squadra missionaria), si svilupparono in breve molti modi culturali di vivere l’Evangelo, a seconda di dove esso si innestava.

 

Sono quindi convinto che ritenere la cultura ebraica (anche quella del paleo-cristianesimo di Gerusalemme) come «cultura biblica» e «modello culturale» per i cristiani d’oggi sia un abbaglio.

     La Bibbia è per tutti i cristiani una fonte d’ispirazione spirituale e morale. La chiesa non è una teocrazia e la Legge d’Israele non può essere per essa ingiuntiva. I cristiani traggono dall’AT degli ammaestramenti spirituali e morali (Rm 15,4), ammonizioni ed esortazioni (1 Cor 10,11), insegnamenti, riprensioni e correzioni utili (2 Tm 3,16), non delle ingiunzioni giuridiche né tanto meno un modello di «cultura biblica».

     L’unica legge (spirituale e non giuridica) che i cristiani conoscono è la «legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù» (Rm 8,2); essi sono sottomessi alla «legge di Cristo» (1 Cor 9,21; Gal 6,2) non a quella mosaica, che è chiamata «legge del peccato e della morte» (Rm 8,2). Una «legge [che] non ha condotto nulla a compimento» (Eb 7,19), i cui contenuti rituali (mangiare, bere, feste, noviluni, sabati) erano solo «l’ombra di cose che dovevano avvenire» (Col 2,16s) e una legge che aveva «un’ombra dei futuri beni, non la realtà stessa delle cose» (Eb 10,1), come può diventare un modello di «cultura biblica» per tutti i cristiani?

     A questa grande tentazione si contrappose Pietro stesso durante il concilio di Gerusalemme, dicendo si giudaizzanti: «Perché dunque tentate adesso Dio mettendo sul collo dei discepoli un giogo che né i padri nostri né noi abbiamo potuto portare?» (At 15,10). Questa domanda rimane attuale e pressante anche oggigiorno.

 

Per l’approfondimento cfr. in Nicola Martella, Šabbât (Punto°A°Croce, Roma 1999) gli articoli: «Questioni intorno al sabato ebraico», pp. 46-50; «La questione della legge», pp. 51-56; cfr. pure «La questione della domenica», pp. 57-69.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/A1-Cultura_biblica_giudaismo_UnV.htm

07-02-2007; Aggiornamento: 30-06-2010

 

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