Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Manuale Teologico dell’AT

 

Cultura e fede

 

 

 

 

Dopo una introduzione alle problematiche della teologia dell’AT, segue il dizionario teologico dell’AT.

   Ecco le parti principali dell’introduzione alla teologia dell’AT:
■ Il compito e l’oggetto della Teologia dell’AT
■ Le posizioni teologiche più ricorrenti
■ I patti e gli altri approcci
■ Contro l’appiattimento storico e teologico dell’AT.

 

Al dizionario teologico dell’AT sono acclusi un registro delle voci e un registro ragionato delle stesse detto «percorsi teologici».

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ATENE O GERUSALEMME? 2: LA TESI EQUIDISTANTE

 

 di Nicola Martella

 

Qui di seguito prendiamo posizione riguardo al seguente articolo « Atene o Gerusalemme? 1: La tesi gerusalemita» {Argentino Quintavalle}.

 

Entriamo in tema

Atene o Gerusalemme? La domanda, posta così dal mio interlocutore, sembra che non lasci scampo e che induca a una scelta per esclusione. E l’autore già suggerisce la risposta. E si ha l'impressione come se egli suggerisca al lettore che tale risposta corrisponda anche all’intera verità reale delle cose. Da tale scelta si fa derivare poi tutto il resto.

     Che in tali cose non ci sia solo il bianco e il nero e che bisogna differenziare, per me è evidente. A volte, ossia per certi aspetti, bisognerà certamente affermare: «O l’una o l’altra cosa» (p.es. «la salvezza viene dai Giudei»; Gv 4,22). Altre volte, ambedue le cose avranno la loro ragione (cfr. Mt 5,45) o il loro torto (1 Cor 1,23). Poi ci sono precedenze storiche positive e negative (Rm 1,16; 2,9s), zone comuni (At 17,28s; Rm 2,12; 3,29; 9,24) e anche fatti antitetici (Gal 2,15). Che cosa si vuole poi incarnare con «Atene» e «Gerusalemme»? Intorno a questi concetti, a seconda delle persone, vengono incarnate certamente proiezioni soggettive e «cristallizzazioni» aprioristiche e programmatiche. Che cosa direbbero però in Cina, in India, in Africa o in un luogo distante da ambedue questi antichi centri, quando gli si pone tale scelta?

     Atene o Gerusalemme? Una tale domanda non è stata mai formulata nella Bibbia. L’unica volta che nel NT fu posta una simile domanda tra due luoghi di culto-cultura, fu fra il monte Garizim e il monte del tempio (Gv 4,20). Tra i Samaritani e i Giudei c’erano stati per secoli rivalità (cfr. v. 9b). Sebbene Gesù ricordasse alla Samaritana che «la salvezza viene dai Giudei» (v. 22), in quanto da Giuda sarebbe venuto il Messia promesso (cfr. v. 25), aggiunse in modo inequivocabile: «Donna, credimi; l’ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre» (v. 21). L’altra alternativa è tra due monti (Sinai e Sion), ma di ciò parleremo in seguito; ma qui il quadro è negativo per Gerusalemme (giudaismo storico).

 

Gerusalemme

     Nel NT Gerusalemme non fa una grande figura. Era il luogo della nomenclatura religiosa che si opponeva nel riconoscere Gesù quale Messia-Re, che tramò contro di lui e che, infine, lo portò a morte. Quando Gesù venne come re, non fu accolto come tale, se non da una minoranza che lo seguiva. Pochi giorni dopo, in questa città si gridò a Pilato: «Crocifiggilo, crocifiggilo!» (Lc 23,21).

     Gerusalemme fu il luogo in cui (e da cui) partì contro la chiesa nascente la più grande persecuzione, promossa proprio dal Sinedrio giudaico. La chiesa perseguitata e dispersa non associò certo solo buoni sentimenti a tale città. Molti credenti furono arrestati, torturati e uccisi per mandato del Sinedrio gerusalemita. L’apostolo Giovanni, un Giudeo, ricalcando l’opinione dei credenti del suo tempo, dichiarò qualcosa che non faceva di Gerusalemme proprio un luogo spiritualmente desiderabile: «…la gran città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il Signor loro è stato crocifisso» (Ap 11,8). Per loro non era certo un modello, a cui guardare con orgoglio e da offrire in alternativa ad altri.

     Il Giudeo cristiano Giovanni fu il più duro e crudo verso la sua patria. Infatti affermò che il Logos creatore, incarnatosi, «è venuto in casa sua [= Giudea], e i suoi [= Giudei] non l’hanno ricevuto» (Gv 1,11); perciò contrappose al diritto della razza il diritto della fede in Gesù Messia (vv. 12s).

     Gli Evangeli sono una costante polemica di Gesù verso il giudaismo dei suoi tempi. Gesù disse con sarcasmo al rabbino Nicodemo: «Tu sei il dottore d’Israele e non sai queste cose?» (v. 10; cfr. nel v. 11 il «noi» in contrasto al «voi»). I capi religiosi che lo venivano ad avversare, provenivano nella stragrande maggioranza da Gerusalemme (Mt 15,1). Nelle sue parabole la nomenclatura religiosa di Gerusalemme faceva sempre una magra figura (Lc 10,31s; 18,10ss). I suoi paragoni di giudizio avevano spesso Gerusalemme come obiettivo (Lc 13,1-9).

     Egli contrappose costantemente al «fu detto» (dai padri o rabbini) il «ma io vi dico» (Mt 5). Egli si scagliò costantemente contro la nomenclatura religiosa di Gerusalemme (scribi, Farisei, Sadducei), coprendoli degli epiteti più pesanti (Mt 3,7 razza di vipere; 15,14 ciechi, guide di ciechi; 23,17 stolti e ciechi; 15,7; 23,23ss ipocriti; ecc.) e del suo minaccioso: «Guaia voi!» (Mt 23,13-16.23-29). Per Gesù essi trasgredivano «il comandamento di Dio a motivo della vostra tradizione» (Mt 15,3), sì annullavano la parola di Dio (v. 6). Addirittura disse ai Sadducei, custodi della Torà (cfr. Mal 2,7), di errare, non conoscendo le Scritture! (Mt 22,29).

     Gesù ebbe anche con Gerusalemme un rapporto conflittuale, avendolo rifiutato come Messia. Egli parlò ripetutamente di Gerusalemme come luogo della sua sofferenza e del suo supplizio (Mt 16,21; 20,18s). Dopo essere entrato trionfalmente nella città (ma senza essere accolto come Messia-Re dalla nomenclatura religiosa; Mt 21,15), espresse aspramente e fattivamente il suo dissenso per la gestione del tempio (v. 12). Per lui Gerusalemme è stato da sempre il luogo in cui i cittadini hanno continuamente ucciso i profeti e lapidato gli inviati di Dio (Mt 23,37). Anche lui voleva raccogliere i Gerusalemiti per dare loro riparo, ma dovette constatare: «Voi non avete voluto!». Egli sarebbe stato loro tolto, finché non lo avrebbero riconosciuto come Messia (vv. 38s), ossia fino alla fine dei tempi.

     Anche per i futuro egli parlò di Gerusalemme come di una città assediata, distrutta e desolata (Lc 21,20.24). Le mamme avrebbero presto pianto i loro figli (Lc 23,28).

 

L’ellenismo

     Quando nel 4° secolo a.C. Alessandro Magno conquistò il suo vasto regno, la maggior parte dei Giudei vivevano già da secoli nella diaspora. In tutto il Mediterraneo i Greci, seguendo l’esempio degli antichi Fenici, avevano aperto già da secoli colonie commerciali; in esse si parlava greco. Tali città si trovavano addirittura in Palestina. Al tempo di Gesù, la stragrande maggioranza dei Giudei si trovava nella diaspora e parlava greco (cfr. Gv 7,35). Molte città della Palestina erano città ellenistiche. Anche in Giudea si era poliglotti; Gesù stesso non ebbe difficoltà a parlare greco con i suoi interlocutori (Gv 12,20s). L’ellenismo aveva già da secoli raggiunto anche Gerusalemme. I Seleucidi, che nel 2° secolo a.C. si erano opposti con Giuda Maccabeo alla elenizzazione proveniente dalla Siria, successivamente si ellenizzarono essi stessi nei costumi; la maggior parte dei loro nomi è greca. I Sadducei, il partito dei sacerdoti, erano molto vicini all’ellenismo, quindi ad «Atene».

     Nella diaspora i Giudei non sempre vedevano una contraddizione fra la fedeltà alla Torà e lo studio dei filosofi greci. C’erano colonie giudaiche del tutto ellenistiche. Filone d’Alessandria, ad esempio, cercò addirittura una sintesi fra Mosè e Platone. Egli rimane un esempio di un giudaismo illuminato. Per loro — a ragione o a torto — non c’era una contraddizione fra Gerusalemme e Atene.

     In Gerusalemme a discutere acerbamente contro Stefano, che poi fu ucciso, c’erano «alcuni della sinagoga detta dei Liberti, e dei Cirenei, e degli Alessandrini, e di quelli di Cilicia e d’Asia» (At 6,9). Erano quindi tutti Giudei di lingua greca e cultura ellenistica e avevano in Gerusalemme proprie sinagoghe, distinte da quelle ebraiche. Qui anche Paolo «discuteva con gli Ellenisti, ma questi cercavano d’ucciderlo» (At 9,29).

     A Pentecoste, a Gerusalemme c’erano Giudei e avventizi sia dell’Oriente (normalmente di lingua aramea) sia dell’Occidente (generalmente di lingua greca; At 2,9ss). Tanti di loro erano residenti in loco e, come detto, avevano proprie sinagoghe. Anche nella chiesa di Gerusalemme c’era un’ala ellenistica (cultura e lingua greca) e una ebraica (cultura e lingua ebraica) e ciò creava problemi di comunicazione e di gestione delle cose (At 6,1). Si noti che i nomi dei sette eletti sono tutti greci (At 6,5).

     È interessante notare che gli scrittori del NT usarono nella stragrande maggioranza delle citazioni dell’AT la Septuaginta. Nel 3° secolo a.C. si vide come necessario che i Giudei ellenistici avessero il loro Libro sacro in greco, perché lo capissero. Addirittura Matteo, che nella sua dimostrazione parlò della «vergine [che] sarà incinta e partorirà» (Mt 1,23), citò da essa (l’originale ebraico parla di «giovinetta»). Pietro scrisse ai Giudei cristiani della diaspora in greco (1 Pt 1,1 solo dei Giudei si poteva dire che erano «forestieri nella diaspora»; 2 Pt 3,1). Addirittura un’epistola dottrinale destinata agli Ebrei fu redatta in greco! L’autore, citando il Salmo 8 secondo la Settanta, scrisse «poco inferiore agli angeli» (Eb 2,7.9), mentre l’ebraico ha «poco inferiore a Elohim», rispettando così una tradizione giudaica postesilica che vedeva Dio troppo trascendente per fare paragoni con l’uomo; cfr. similmente come Stefano parlò della «legge promulgata dagli angeli» (At 7,3), così anche Paolo (Gal 3,19).

 

L’Evangelo

     Il suo messaggio era abbastanza semplice, ma potente. L’Evangelo costituiva di per sé la vera e reale dottrina dei cristiani. Essa si doveva incarnare in tutte le culture. In tal modo, ogni centro culturale e di riferimento doveva venire a cadere. La persecuzione dei missionari cristiani da parte proprio della nomenclatura giudaica accentuò questo processo e, se fece guardare a Gerusalemme, ciò fu con biasimo. Il punto di riferimento era ora Gesù Cristo, la sua persona e la sua opera, quindi l’Evangelo. L’attore principale era lo Spirito Santo e non la «lettera» (la legge, la casistica giudaica, la tradizione). Alla «vecchiezza di lettera» fu contrapposta la «novità di Spirito» (Rm 7,6). Lo Spirito Santo rendeva capaci Paolo e i missionari come lui d’essere «ministri d’un nuovo patto, non di lettera, ma di spirito; perché la lettera uccide, ma lo spirito vivifica» (2 Cor 3,6).

 

Gerusalemme o Atene?

     Dopo aver fatto questa lunga carrellata storica e teologica, mi sento di dire: né Gerusalemme né Atene! È bene tenersi dapprima a debita distanza dall’ideologia incarnata da ambedue. Preferisco la «libertà nello Spirito» del nuovo patto. Con essa posso trovare buoni elementi nell’una e nell’altra (cfr. Paolo in Atene, At 17; cfr. Fil 4,8) e parimenti prendere le distanze dai loro «vermi» e «serpi» presenti in ambedue. Non c’è bisogno di elencare questi ultime. Poi quando verrà il Messia, tutto sarà chiaro… Ma fin lì si fa bene a diffidare da tutti gli «-ismi», quindi anche dall’ideologia giudaista e da quella ellenista, per poi cogliere in loro anche gli elementi positivi che si accordano con la dottrina e l’etica del nuovo patto («etica della libertà e della responsabilità»).

 

Quale Gerusalemme?

     Potremmo chiudere già qui il tema, ma vogliamo qui approfondire alcuni aspetti particolari. Si suggerisce che, siccome Israele c’è stata prima, i credenti delle nazioni siano stati semplicemente aggiunti a Israele. Mentre la «teologia della sostituzione» identifica erroneamente la chiesa con «l’Israele spirituale» (abolendo per sempre quello storico), questa che potremmo chiamare la «teologia dell’incorporamento» identifica Israele (quello storico) con la chiesa, a cui sarebbero stati semplicemente aggiunti i cristiani gentili. Qui i confini fra «l’Israele storico» e «l’Israele di Dio» (i giudei cristiani) è tenuto molto fluido. I cristiani gentili sono quindi solo degli «annessi» a Israele, di cui avrebbero acquisito la cittadinanza. Proverò perciò a chiedere un passaporto israeliano!

     In effetti però, le cose sono differenti. I cristiani giudei, essendo in Cristo, costituiscono «l’Israele di Dio» (contrapposto a quello storico). Al «resto fedele» di tutti i tempi, che è il vero Israele, appartengono la cittadinanza, i patti e tutti gli altri privilegi (proprio in contrapposizione all’Israele storico incredulo, di cui i «santi» erano sempre un «residuo»). Questo «Israele di Dio» insieme ai Gentili entrati nel patto costituiscono «l’assemblea messianica». Si noti come i «figli della carne» (l’Israele storico: «Essi hanno urtato nella pietra d’intoppo», ossia Gesù quale Messia; Rm 9,32s) furono contrapposti ai «figli della promessa» (il resto fedele), chiamati pure «figli di Dio» e «progenie» (v. 8; cfr. vv. 6s).

     Il contrasto è evidente anche nella collocazione della patria e del modello di riferimento della «assemblea messianica». Essa non è la Gerusalemme terrena (rimasta incredula verso Gesù Messia e persecutrice della chiesa), ma la «Gerusalemme di sopra» o «Gerusalemme celeste» (Eb 12,22). Riguardo a tale cittadinanza e ai privilegi connessi, non c’è più Giudeo o Gentile, essendo essi «uno in Cristo».

     Paolo paragonò il patto del monte Sinai (l’antico patto) alla schiava Agar (Gal 4,24) e fece corrispondere allegoricamente quest’ultima anche «alla Gerusalemme del tempo presente, la quale è schiava con i suoi figli» (v. 25). Egli paragonò invece il nuovo patto alla libera (Sara) e al monte Sion e fece corrispondere allegoricamente quest’ultima anche alla «Gerusalemme di sopra [che] è libera ed è nostra madre» (v. 26). I cristiani gentili furono paragonati a Isacco (v. 28). I Giudei rimasti disubbidienti all’Evangelo furono paragonati a Ismaele («nato secondo la carne») e caratterizzati come persecutori di chi è «nato secondo lo Spirito» (v. 29). Tali Giudei sono cacciati, al pari di Ismaele, con la loro schiava madre (Agar - Gerusalemme) per evitare che ereditino col «figlio della libera» (i seguaci di Gesù Messia; v. 30). Paolo concluse: «Perciò, fratelli, noi non siamo figli della schiava, ma della libera», ossia non cittadini della Gerusalemme terrena, ma della Gerusalemme celeste.

     I componenti del «resto fedele» d’Israele di tutti i tempi sono chiamati i «santi». Il nuovo patto, avendo dato accesso mediante lo Spirito Santo a Giudei e Gentili in Cristo a tale cittadinanza celeste, ha reso anche i Gentili «concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio», al pari dei Giudei cristiani (Ef 2,11-22). Qui non si tratta della «cittadinanza d’Israele», storicamente parlando (v. 12), ma della cittadinanza celeste di quel «solo uomo nuovo» (v. 15) e della casa spirituale del Signore (vv. 20ss). Infatti, come Paolo spiegò altrove, «la nostra cittadinanza è nei cieli» (Fil 3,20).

     Anche nell’Apocalisse il contrasto creato da Giovanni al riguardo è chiaro. Egli evitò di parlare di Gerusalemme (in Ap 14,1 parlò di «monte Sion», ma non è chiaro se è celeste [cfr. v. 3] o terrestre); dove lo fece, contrappose ciò che avrebbe dovuto essere («città santa») a ciò che era (simile a Sodoma e all’Egitto; Ap 11,8). L’unica «Gerusalemme» anelata è la «nuova Gerusalemme che scende dal cielo» (Ap 3,12), la «santa città» e la sposa (Ap 21,2.9s).

     È interessante notare che sempre Giovanni, quando parlò di «chiesa», prese a modello quelle dell’Asia Minore, che erano a maggioranza gentile (Ap 2s), mai quelle giudaiche. Quando Gesù parlò del giudaismo nell’Apocalisse, parlò delle «calunnie lanciate da quelli che dicono d’essere Giudei e non lo sono» (Ap 2,9 Smirne) e aggiunse di questi «Giudei rimasti disubbidienti» all’Evangelo (At 14,2) che erano una «sinagoga di Satana» (cfr. già Gv 8,44). Ciò fu ripetuto similmente anche per la situazione di Filadelfia, affermando che tali falsi Giudei mentivano (Ap 3,9). Tali Giudei furono associati da Gesù a Balaam e ai Nicolaiti (ambedue i termini significano «dominatore di popolo») In effetti, la «gnosi» (miscuglio fra paganesimo, dottrina biblica e «conoscenza» esoterica) derivò proprio dal giudaismo e poi penetrò nel cristianesimo. Tale gnosticismo è chiamato «dottrina di Balaam» (Ap 2,14) e «dottrina dei Nicolaiti» (v. 15); si vedano anche Iezabel (falsa profetessa; Ap 2,20) e le arti occulto-esoteriche associate («le profondità di Satana»; Ap 2,24). Il filone esoterico del giudaismo ispirò l’alchimia, la cabala, lo zoarismo e simili pratiche mistico-esoteriche e speculative; tali pratiche sono seguite a tutt’oggi da una buona parte del giudaismo.

     Gesù prese le distanze dal giudaismo rabbinico (o farisaico) e da quello spiritualista (mistico-esoterico). Né l’uno né l’altro possono essere un punto di riferimento preferenziale della gente del nuovo patto.

     La «nuova Gerusalemme» è modello e aspirazione della gente del nuovo patto. Essa relativizza tutti i modelli di riferimento terreni: sia Gerusalemme, sia Atene. Come cittadini della città del futuro possiamo dapprima relativizzare tutte le città del presente (e quanto a esse connesso), per poi attingere da esse tutto ciò che si accorda con l’Evangelo e con l’etica del nuovo patto (Fil 4,8).

 

Gli Israeliti dell’AT antenati dei cristiani gentili?

     Era Paolo orgoglioso d’essere un Ebreo? (2 Cor 11,22). Paolo volle esprimere — sotto la pressione di false accuse — un contrasto verso i suoi oppositori (falsi apostoli o super-apostoli in Corinto; 2 Cor 11,5.13; 12,11), ma mostrò subito che i segni del suo apostolato erano quelli guadagnati sul campo, predicando l’Evangelo (2 Cor 11,6s.23ss; 12,12). Non era Paolo orgoglioso d’essere «Ebreo d’Ebrei… fariseo»? (Fil 3,5). Non si può evitare di vedere — per non fare ideologia — che egli subito aggiunse: «Ma le cose che m’erano guadagni, io le ho reputate danno a motivo di Cristo… di fronte alla eccellenza della conoscenza do Cristo Gesù, mio Signore, per il quale rinunciai a tutte codeste cose e le reputo tanta spazzatura alfine di guadagnare Cristo» (Fil 4,7). Nell’esegesi è il contesto che regna! Giustamente affermiamo verso chiunque che quando si enuncia qualcosa pur di avere ragione e si trascura il contesto — che può spesso asserire il contrario delle cose enunciate — ciò potrebbe significare non essere interessato a una verità oggettiva, ma che si agisce così o per negligente superficialità o perché si intende praticare un'ideologia partigiana. Il lettore non si potrebbe avere l'impressione che ciò valga anche qui?

     Non dobbiamo guardare né ad Atene né a Gerusalemme, ma a «Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per i Gentili, pazzia» (1 Cor 1,23), mentre per noi «chiamati, tanto Giudei quanto Greci», Cristo è «potenza di Dio e sapienza di Dio» (v. 24).

     È vero che Paolo affermò che i «Gentili sono eredi con noi, membra con noi d’un medesimo corpo e con noi partecipi della promessa fatta in Cristo Gesù mediante l’Evangelo» (Ef 3,6). Ma questo «noi» non è l’Israele storico, ma «l’Israele di Dio», ossia i cristiani giudei. Quindi non è vero che «la storia d’Israele è ora la loro storia». L’aggancio comune è essere «in Cristo» (termine copioso nella lettera agli Efesini), non essere «in Israele».

     Quindi non è vero che «gli Israeliti erano gli antenati dei Corinzi»; l’espressione «i nostri padri» in (1 Cor 10,1) è troppo ambigua per costruirci sopra una tale dottrina; ricorre poi solo qui. (Nell’epistola egli sapeva anche distinguere tra il «nostro» aggregante e il «vostro» differenziante; cfr. 1 Cor 10,13.) Paolo poteva significare qui semplicemente i padri dei Giudei (cristiani); anche qui l’aggancio era Cristo e il linguaggio era allegorico (v. 4). Si noti nel contesto il «noi» (cristiani) che prende le distanze da «loro» (gli Israeliti dell’AT), definiti idolatri e fornicatori (vv. 6-9). Voleva Paolo affibbiare ai Gentili cristiani siffatti strani ed empi «padri»? È poco probabile.

     Nella chiesa primordiale Giudei e Gentili non «avevano una stirpe spirituale comune con gli Ebrei dell’antichità», ma tutt’al più col resto fedele di tutti i tempi; anzi, in Cristo iniziò «l’uomo nuovo», in cui «dei due popoli ne ha fatto un solo» (Ef 2,14s), ossia quelli dei due differenti schieramenti (Giudei e Gentili), che trovarono in Gesù quale Messia e nel suo sangue espiatorio l’identificazione comune (v. 13). Ciò permette ad ambedue le compagini «l’accesso al Padre in un medesimo Spirito» (v. 18), essendo i cristiani gentili diventati «concittadini dei santi [= Giudei cristiani] e membri della famiglia di Dio» (v. 19) e parte del «tempio santo nel Signore», che «servire di dimora a Dio per lo Spirito» (vv. 21s).

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/A1-Atene_Gerusalemme2_MT_AT.htm

10-03-2007; Aggiornamento: 30-06-2010

 

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