1.
{Daniele} ▲
Ho letto i contributi su Maria sul sito, mi ha favorevolmente stupito che su
questo tema si possa aprire una discussione. Voglio dare il mio contributo. In
riferimento alle citazioni evangeliche, secondo me Giovanni 2,4 soffre molto
nella traduzione correntemente accettata. «Che c’è tra me e te o donna?»,
oppure: «Che vuoi da me o donna?».
A mio parere non sono traduzioni corrette. Il greco
recita: «Ti emoi kai soi, ghinai». Letteralmente: «Cosa a me e a te, o
donna?». Il kai secondo me in questo caso va tradotto con il
significato non inusuale in greco di «anche»: «Cosa a me anche a te, o donna?».
Ossia cosa c’è «inoltre, anche, di più» tra me e te o donna, perché tu mi possa
chiedere questo?
Se non ci fosse niente non ci sarebbe il vino di Cana,
evidentemente c’è qualcosa «anche» tra me e te, donna, che non c’è in altri
casi. Io traduco così.
2.
{Nicola Martella} ▲
Entriamo in tema
Quello che Daniele afferma, è interessante e degno di essere
approfondito. Il modo migliore di farlo è di interpretare la Bibbia con la
Bibbia e di verificare dove questa espressione timicamente ebraica viene usata
altrove nella Scrittura. Infatti sebbene gli scritti del NT sono stati scritti
in greco, gli autori erano di madrelingua ebraica e di cultura ebrea.
In senso positivo si trova l’asserzione: «Vi sia
alleanza fra me e te» (2 Cr 16,3) ed espressioni simili (Gn 17,2.7; 31,44; 1
Re 15,19). «Non ci sia contesa fra me e te» (Gn 13,8). «Ecco il
monumento che io ho eretto fra me e te [come testimone]» (Gn 31,48.50s; cfr.
1 Sm 20,42).
In senso neutrale (o per strategia di mercato) si
legge: «Un pezzo di terreno di quattrocento sicli d’argento, che cos’è fra me
e te?» (Gn 23,15).
In senso negativo si legge: «L’Eterno sia giudice
fra me e te» (1 Sm 24,13.16). Israele disse letteralmente a Roboamo,
infrangendo l’alleanza: «Che parte abbiamo noi in Davide? Noi non abbiamo
nessuna eredità nel figlio d’Isai!» (2 Cr 10,16).
Avvicinandoci a quanto ricercato, si legge
letteralmente: «Che ho io [a che fare] con te che tu sia venuto contro di me
per far guerra al mio paese?» (Gdc 11,12). E più esplicitamente Neco disse a
Giosia, che intendeva sbarrargli militarmente la strada: «Che c’è fra me e
te, o re di Giuda?
Io non salgo oggi contro di te, ma contro una casa con la quale sono in
guerra» (2 Cr 35,21), ossia contro le potenze mesopotamiche.
L’aggancio sintattico diretto
Se quest’ultima espressione può essere ambigua, la seguente
non lascia scampo, trovandosi poi anche nel NT: un indemoniato gridò a Gesù: «Che
v’è fra me e te, o Gesù, Figlio del Dio altissimo?» (Mc 5,7; Lc 8,28).
L’inizio della frase è in greco: «Tí emoì kaì soí, Iesou» ed è
sintatticamente identica a «Tí emoì kaì soí, ghynai» (Gv 2,4). Penso che
non si possa interpretare l’ultima frase in modo diverso e a proprio piacimento.
Essa contiene una dichiarazione di distacco, di presa di distanza, di
emancipazione dalla madre, di sottile rimprovero eccetera. Una frase simile la
dissero due indemoniati a Gesù: «Che v’è fra noi e te, Figlio di Dio?»
(Mt 8,29 «Tí hemîn kaì soí…»). La usò anche un altro indemoniato in una
sinagoga: «Che v’è fra noi e te, o Gesù Nazareno?» (Mc 1,24; Lc 4,34).
Sorprende che nel NT tale frase sia stata detta quasi solo da gente posseduta
per rimarcare nettamente i fronti! L’unica eccezione è quella di Gesù verso
Maria! Non si può interpretarla proprio diversamente.
Gesù era coerente col suo insegnamento
Non aveva Gesù stesso insegnato: «Chi ama padre o madre
più di me, non è degno di me!» (Mt 10,37). Non doveva dare lui stesso
l’esempio di un ministero senza distrazioni parentali? Quando sua madre e i suoi
fratelli giunsero nel luogo dov’era Gesù, forse dando retta a quanto diceva la
gente («Ha uno spirito impuro», cioè è pazzo; Mc 3,30s), che cosa disse
Gesù per evidenziare la distanza e l’emancipazione dalla sua parentela (per lo
più incredula; Gv 7,5) a motivo del regno dei Cieli? «Ed egli rispose loro:
“Chi è mia madre? e chi sono i miei fratelli?”. E guardati in giro coloro che
gli sedevano d’intorno, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli!”. Chiunque
avrà fatta la volontà di Dio, mi è fratello, sorella e madre”» (Mc 3,33ss).
Che vergogna sarà stata per sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle di
essere trattati così pubblicamente! Per tale distanziamento pubblico dalla
parentela a motivo del ministero pubblico, si veda anche Lc 11,27s.
Aspetti conclusivi
Tornando a Gv 2,4, tale distanza ed emancipazione dai legami
familiari fu evidenziato anche dal ghynai «o donna», che accompagna la
frase; non disse «madre», che era l’uso familiare e confidenziale, mentre
ghynai «o donna» si diceva, secondo i casi, a chi era sconosciuta, a chi
verso la quale non si aveva confidenza, a chi si dava a non conoscere o a chi
verso la quale si intendeva prendere le distanze (Mt 15,28; Lc 13,12; 22,57; Gv
4,21; 8,10; 20,13.15). Gesù la disse a Maria ancora in un’altra occasione: «Gesù
dunque, vedendo sua madre e presso a lei il discepolo che egli amava, disse a
sua madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua
madre!”. E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua». Anche qui
Gesù evitò di chiamarla «madre», perché stava ulteriormente prendendo distanza
da lei con la morte, la risurrezione e la glorificazione. Egli affidò una
ghyne
— sebbene sua madre — a un altro figlio, dicendo: «“Donna, ecco il tuo
figlio!”… “Ecco tua madre!”». Tutto ciò si accorda con la seguente parola di
Paolo: «Talché, da ora in poi, noi non conosciamo più alcuno secondo la
carne; e se anche abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora però non lo
conosciamo più così» (2 Cor 5,16).
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