1. Ho
tradotto dal greco il famoso brano di Efesini 5,22-33, che parla del
matrimonio, e ho pensato bene di stimolare i lettori con un’osservazione
terminologica.
Nel NT greco mancano termini specifici per marito e moglie, come ce li abbiamo
in italiano.
Anḗr significa «uomo, maschio»; ghynḗ significa
«donna, femmina». Sono aggettivi e pronomi personali come «suo / sua, proprio /
a» a definire l’appartenenza dei coniugi: «il suo uomo» (gr.) = «marito» (it.);
«la sua donna» (gr.) = «la moglie» (it.). {Fonte: «Curiosità
bibliche»}
2. Una cosa
simile accade anche in altre lingue vecchie e nuove. Ad esempio, in
tedesco si parla abitualmente della «mia donna» (meine Frau) e del «mio
uomo» (mein Mann); del convivente si parla come del «Lebensgefährt» (lett.
compagno di vita). Sono stati coniati anche termini come «Ehemann» (lett. uomo
di matrimonio) ed «Ehefrau» (lett. donna di matrimonio) per marito e moglie, ma
non si usano così spesso nel linguaggio comune e mostrano ancor più che il
tedesco non ha termini specifici. Nelle Bibbie tedesche si trovano, in genere,
solo «uomo» e «donna» anche per marito e moglie.
3.
In Efesini 5,22-33 si
noti che i termini anḗr
«uomo» o
ghynḗ «donna» non sono da intendere in
assoluto (qualunque uomo o donna), ma alla luce di 5,22 come
ídios anḗr
«proprio uomo»
e idía ghynḗ «propria
donna» Ciò corrisponde anche a heautẽs
anḗr
«suo, proprio uomo»
e a heautũ
ghynḗ «sua,
propria donna» (5,28.33; in alcuni manoscritti anche in 5,25; cfr. 1 Cor 7,2);
lo stesso dicasi di anḗr
autẽs «suo
uomo»
e anche a ghynḗ autũ «sua
donna» (5,31).
4.
Come si vede, sebbene nel NT non esistono termini
specifici per marito e moglie, gli antichi sapevano ben distinguere,
parlando, fra la donna di un uomo o di un altro, come pure fra l’uomo di una
donna o di un’altra. Qualcuno si chiederà: «Se così
stanno le cose, che ci sarà mai scritto in Gv 4,16ss?». Ecco una
traduzione letterale: «Gesù le dice: “Va’, chiama il tuo uomo [anḗr]
e vieni qua”. [17] La donna rispose e disse: “Non ho uomo [anḗr]”.
Gesù le dice: “Hai detto bene: Non ho uomo [anḗr];
[18] perché avesti cinque uomini [anḗr
pl.]; e quello che hai ora, non è tuo
uomo [anḗr];
hai detto questo veracemente”».
Spero così di aver stimolato sufficientemente fra i lettori quelli più portati
allo studio, perché approfondiscano da loro stessi l’argomento nel NT.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e
opinioni?
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1. {Sandro
Carini}
▲
■
Contributo:
E allora in
1 Corinzi 7? In questo capitolo (vado a memoria) sono menzionati questi
due termini (marito e moglie) almeno una ventina di volte. {08-01-2014}
▬
Nicola Martella:
Prova a vedere
in greco e troverai: anḗr «uomo, maschio» e ghynḗ «donna,
femmina». È sempre il contesto a chiarire, se si tratta di un uomo o di
una donna adulti o se si tratta dell’uomo o della donna di qualcuno, che
noi chiamiamo «marito e «moglie» in italiano con termini specifici,
che il greco biblico non ha. Lo stesso dicasi di
1 Corinzi
11.
2. {Ivaldo
Indomiti}
▲
■
Contributo:
Matteo 1,19: ἰωσὴφ {Giuseppe} δὲ {-} ὁ ἀνὴρ {marito} αὐτῆς {suo}, δίκαιος
{uomo giusto} ὢν {era} καὶ {e} μὴ {non} θέλων {voleva} αὐτὴν {esporla}
δειγματίσαι {a infamia}, ἐβουλήθη {si propose di} λάθρᾳ {segretamente} ἀπολῦσαι
αὐτήν {lasciarla} (tratto da «La Parola»). Quindi, anche in questo caso la
traduzione ὁ ἀνὴρ {marito} αὐτῆς {suo} è inappropriata? Nei brani evangelici in
cui compare ἀνὴρ va tradotto implicitamente uomo? {09-01-2014}
▬
Nicola Martella:
Io pongo solo una questione culturale e linguistica, per far crescere la
conoscenza. Se vedi in tale testo, la dizione è
ho anḗr autẽs, ossia «l’uomo suo [di lei]», poiché gli antichi
(così in ebraico e greco biblici) non avevano un termine specifico diretto come
«marito». Si noti pure che díkaios non significa «uomo giusto», ma
solo «giusto». Tali
traduzioni interlineari sono poi, a volte, ridicole, poiché qui questa
mette dopo «autḗn» (lei, acc.) «{esporla}», traendo in inganno il
lettore, poiché suggerisce implicitamente la corrispondenza dei due termini. Il
testo recita in pratica così: «Ora, Giuseppe, il suo uomo, essendo giusto e
non volendola svergognare, decise...». Il contesto mostra, quindi, che
Giuseppe e Maria erano legati da una promessa vincolante di matrimonio, sebbene
non ci fosse stato ancora l’atto finale di coabitazione, concesso dalle ambedue
famiglie e che coronava il matrimonio con l’atto nuziale. Sebbene ancora
promessi sposi, lui era già
anḗr autẽs
«l’uomo di lei». Quindi, il primo passo, per acquistare conoscenza, è capire
la diversità
socio-culturale e linguistica del mondo d’allora.
3. {Simone Toso}
▲
■
Contributo:
Come riuscire ad avere un’interlineare, che traduca fedelmente i vari
termini? {09-01-2014}
■
Pietro Calenzo:
Appunto ci si chiede: È mai possibile che in italiano non si trovi un’interlineare,
che attualizzando le espressioni idiomatiche, sia però anche più grandemente
fedele a una traduzione letterale!? {09-01-2014}
▬
Nicola Martella:
Un’interlineare è di per sé un
compromesso, a volte bizzarro. Chi la produce ha due alternative:
●
1. Partire dal testo greco e aggiungere nella lingua derivata (p.es. it.) il
significato letterale;
●
2. Partire dalla lingua derivata, cercandolo di accordare con il testo greco (si
vedano i tempi e i modi, che non corrispondono; gr. sostantivo, it. verbo, o
viceversa; proposizioni secondarie fatte diventare nuove proposizioni
principali; ecc.).
Quanti usano la seconda possibilità, creano
combinazioni bizzarre, nelle quali i termini spesso non si corrispondono
e traggono in inganno i lettori. Un’interlineare è di per sé
un’opera stravagante, poiché una lingua è piena di espressioni
idiomatiche e non potrà mai corrispondere letteralmente a un’altra, se non
descrivendone i concetti. Inoltre, i campi semantici dei singoli termini
non si corrispondono mai al 100% in due lingue differenti. In certi casi,
termini e locuzioni hanno significati differenti nella lingua originale e in
quella derivata (p.es. ebr. «cuore» = «mente»; «uomo di cuore» = «uomo
intelligente»); ciò, che in una lingua si esprime con un termine solo,
nell’altra richiede due termini del tutto differenti (cfr. ted. Glück =
it. fortuna e felicità; cfr. ebr. ’ëchād = it. uno [di numero], uno solo,
unico, ecc.). Una traduzione interlineare può essere utile per un confronto
veloce fra originale e traduzione derivata, ma guai a pretendere da essa la
precisione! Io preferisco o
tradurre direttamente dal greco, per accertarmi che cosa l’autore
intendeva veramente affermare.
■
Simone Toso:
Quindi, o uno conosce il greco e l’ebraico, o si fida di chi traduce.
{09-01-2014}
■
Pietro Calenzo: Le
traduzioni sono tutte più o meno simili. Ribadisco un insegnamento dello stesso
Nicola Martella per coloro, che non sono docenti di esegetica scritturale:
procurarsi un
buon numero di traduzioni, e sui punti scritturali che sono un po’
adombrati per noi, confrontarle tra loro, possibilmente anche qualcuna in lingua
straniera. Ciò che verrà fuori da tale sintesi o analisi sarà vicinissimo
all’autentico significato del testo originale. Le Scritture contengono tutto
ciò, che è necessario per la nostra salvezza, ma è pur vero che soltanto gli
esegeti di un certo livello sanno cogliere
alcune sfumature, che ai più sfuggono. {09-01-2014}
4. {Goffredo
Colucci}
▲
■
Contributo:
Bisogna comunque considerare la terminologia greca con il retroterra ebraico! Ma
esiste l’aggettivo ὕπανδρος (hipandros, fem.) «maritata» di Romani
7,2; ed è una eccezione, che conferma la regola. {09-01-2014}
■
Pietro Calenzo:
Esatto, bisogna conoscere bene, o abbastanza bene, la storia e la cultura, il
substrato delle lingue scritturali. {09-01-2014}
▬
Nicola Martella:
Riguardo a Romani 7,2, faccio presente quanto segue. Il termine hýpandros
non significa letteralmente «maritata», ma la locuzione è he hýpandros
ghynḗ
«la donna soggetta a uomo [anḗr]».
Tale termine si trova solo qui in tutto il NT. Compare ancora nella Settanta in
Pr 6,29 nella locuzione hū́tōs
ho eiselthṑn pròs
ghynaĩka
hýpandros «così [è] chi
entrò
dalla donna soggetta a uomo». Qui l’ebraico recita: «Così [è] chi entra dalla
donna [ìššāh]
del suo prossimo [rea`]».
■
Goffredo Colucci: Comunque
dal lemma italiano «marito» tradotto in greco (con «La Parola.Net») risulta:
● Marito
(s. m.) = ἀνήρ, ἀνδρός, ὁ [aner] sostantivo maschile
1) uomo, con referenza al sesso
1a) un maschio
1b) un marito
1c) un fidanzato o futuro marito (Gv 4,17-18).
● Uomo
(s.
m.) = ἄνθρωπος, -ου, ὁ [anthropos]
1) un essere umano, se maschio o femmina
1a) genericamente, include tutti gli individui umani
1b) per distinguere gli uomini dagli esseri diversi
1b1) dagli animali e piante
1b2) da Dio e Cristo
1b3) dagli angeli (2 Cor 4,16) {10-01-2014}
▬
Nicola Martella:
Quindi, che cosa intendevi mostrare con le citazioni lessicali? Non possiamo
certo prendere che «La Parola.Net» risolva un tale quesito, quando si
pone in italiano il lemma «marito» e si chiede a tale programma la
corrispondenza greca. Ci vuole un minimo di rigore mentale e di onestà
intellettuale, se si vogliono studiare seriamente dei temi e venirne a capo.
Il greco, al pari dell’ebraico, non ha un
termine specifico per «marito» e «moglie», come accade in italiano. Se in
italiano diciamo: «Quella donna uccise il marito», sapremmo subito di che cosa
si parla. Se lo dicessimo in greco: «Quella donna uccise tòn ándra
[l’uomo]», non sapremmo mai, senza il contesto, se uccise «quell’uomo»,
che magari voleva farle violenza, o «il suo uomo» (it. marito). Per
questo il greco, per specificare, deve necessariamente usare un aggettivo o
pronome personale: tòn ìdion
ándra «il proprio uomo» (1 Cor 7,2), tòn ándra autẽs «il suo
uomo» (Mt 1,19; At 5,10; 1 Cor 7,39). Quindi, il termine greco anḗr non
significa da solo e di per sé «marito», ma siamo noi a tradurlo in
italiano così.
5. {}
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6. {}
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7. {}
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8. {}
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9. {}
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10. {}
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11. {}
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12. {Autori
vari}
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■
Pietro Calenzo:
1. Molto, molto pedagogico e interessante. Grazie Nicola, il Signore
benedica queste tue note, per crescere in fede e in conoscenza. {09-01-2014}
2. Grazie, fratello Nicola, per
l’esegesi dei due passi Scritturali, Giovanni 4,16ss ed Efesini 5,22-33. È vero,
esegeticamente Efesini 5,22-33 assume in greco letterale un spiegazione ancor
più avvincente e specifica. Nel Nuovo Testamento conoscevo che «donna»
senza pronome può riferirsi sia a femmina che a moglie, ma non avevo posto mente
che anche «uomo» o marito, seguono le stesse regole sintattiche.
Certamente l’esegesi del testo originale richiede a volte più tempo, ma
senza dubbio è di una utilità eccezionale, poiché non solamente ci fa essere
maggiormente consapevoli ed edotti nella Parola di Dio, ma ci fa assaporare e
penetrare. in modo più ancor profondo. i versi delle Scritture. Grazie, e il
Signore faccia prosperare grandemente il tuo servizio ai santi di Gesù il
Cristo, il Vivente. Shalom Nicola. Dio ti benedica. {09-01-2014}
■
Vincenzo Esposito: Grazie,
Nicola, per l’informazione, ma resta isolata, perché non abbiamo la possibilità
di studio del greco; mi piace tanto lo studio della parola. {09-01-2014}
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/T1-Marito_moglie_manca_Avv.htm
08-01-2014; Aggiornamento: |