Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

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«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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La prima parte del «Panorama del NT» porta il titolo «Dall’avvento alla parusia», ossia dalla prima alla seconda venuta del Signor Gesù. Questo titolo evidenzia la tensione in cui erano posti i cristiani del primo secolo (e noi oggi). Essi guardavano indietro all’incarnazione, ai patimenti e alla risurrezione di Gesù quale Messia (primo avvento) e guardavano parimenti avanti alla manifestazione del Signore, del suo regno e della sua salvezza. Il termine «avvento» mette quindi in evidenza l’abbassamento del Messia , mentre «parusia» (gr. parousía «venuta, arrivo») evidenzia la manifestazione gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Questo è altresì l’uso che si fa di questi due termini nella teologia.

   Ecco le sezioni dell'opera:
■ Aspetti introduttivi
■ Gesù di Nazaret
■ Gli Evangeli
■ Dall’ascensione alla fine dei tempi
■ Aspetti conclusivi

 

► Vedi al riguardo la Recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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TERMINI CHE MANCANO NEL NT GRECO:

MARITO E MOGLIE

 

 a cura di Nicola Martella

 

1. Ho tradotto dal greco il famoso brano di Efesini 5,22-33, che parla del matrimonio, e ho pensato bene di stimolare i lettori con un’osservazione terminologica.

     Nel NT greco mancano termini specifici per marito e moglie, come ce li abbiamo in italiano. Anḗr significa «uomo, maschio»; ghynḗ significa «donna, femmina». Sono aggettivi e pronomi personali come «suo / sua, proprio / a» a definire l’appartenenza dei coniugi: «il suo uomo» (gr.) = «marito» (it.); «la sua donna» (gr.) = «la moglie» (it.). {Fonte: «Curiosità bibliche»}

 

2. Una cosa simile accade anche in altre lingue vecchie e nuove. Ad esempio, in tedesco si parla abitualmente della «mia donna» (meine Frau) e del «mio uomo» (mein Mann); del convivente si parla come del «Lebensgefährt» (lett. compagno di vita). Sono stati coniati anche termini come «Ehemann» (lett. uomo di matrimonio) ed «Ehefrau» (lett. donna di matrimonio) per marito e moglie, ma non si usano così spesso nel linguaggio comune e mostrano ancor più che il tedesco non ha termini specifici. Nelle Bibbie tedesche si trovano, in genere, solo «uomo» e «donna» anche per marito e moglie.

 

3. In Efesini 5,22-33 si noti che i termini anḗr «uomo» o ghynḗ «donna» non sono da intendere in assoluto (qualunque uomo o donna), ma alla luce di 5,22 come ídios anḗr «proprio uomo» e idía ghynḗ «propria donna» Ciò corrisponde anche a heautẽs anḗr «suo, proprio uomo» e a heautũ ghynḗ «sua, propria donna» (5,28.33; in alcuni manoscritti anche in 5,25; cfr. 1 Cor 7,2); lo stesso dicasi di anḗr autẽs «suo uomo» e anche a ghynḗ autũ «sua donna» (5,31).

 

4. Come si vede, sebbene nel NT non esistono termini specifici per marito e moglie, gli antichi sapevano ben distinguere, parlando, fra la donna di un uomo o di un altro, come pure fra l’uomo di una donna o di un’altra. Qualcuno si chiederà: «Se così stanno le cose, che ci sarà mai scritto in Gv 4,16ss?». Ecco una traduzione letterale: «Gesù le dice: “Va’, chiama il tuo uomo [anḗr] e vieni qua”. [17] La donna rispose e disse: “Non ho uomo [anḗr]”. Gesù le dice: “Hai detto bene: Non ho uomo [anḗr]; [18] perché avesti cinque uomini [anḗr pl.]; e quello che hai ora, non è tuo uomo [anḗr]; hai detto questo veracemente”».

     Spero così di aver stimolato sufficientemente fra i lettori quelli più portati allo studio, perché approfondiscano da loro stessi l’argomento nel NT.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema 

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Sandro Carini

2. Ivaldo Indomiti

3. Simone Toso

4. Goffredo Colucci

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11.

12. Autori vari

 

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1. {Sandro Carini}

 

Contributo: E allora in 1 Corinzi 7? In questo capitolo (vado a memoria) sono menzionati questi due termini (marito e moglie) almeno una ventina di volte. {08-01-2014}

 

Nicola Martella: Prova a vedere in greco e troverai: anḗr «uomo, maschio» e ghynḗ «donna, femmina». È sempre il contesto a chiarire, se si tratta di un uomo o di una donna adulti o se si tratta dell’uomo o della donna di qualcuno, che noi chiamiamo «marito e «moglie» in italiano con termini specifici, che il greco biblico non ha. Lo stesso dicasi di 1 Corinzi 11.

 

 

2. {Ivaldo Indomiti}

 

Contributo: Matteo 1,19: ἰωσὴφ {Giuseppe} δὲ {-} ὁ ἀνὴρ {marito} αὐτῆς {suo}, δίκαιος {uomo giusto} ὢν {era} καὶ {e} μὴ {non} θέλων {voleva} αὐτὴν {esporla} δειγματίσαι {a infamia}, ἐβουλήθη {si propose di} λάθρᾳ {segretamente} ἀπολῦσαι αὐτήν {lasciarla} (tratto da «La Parola»). Quindi, anche in questo caso la traduzione ὁ ἀνὴρ {marito} αὐτῆς {suo} è inappropriata? Nei brani evangelici in cui compare ἀνὴρ va tradotto implicitamente uomo? {09-01-2014}

 

Nicola Martella: Io pongo solo una questione culturale e linguistica, per far crescere la conoscenza. Se vedi in tale testo, la dizione è ho anḗr autẽs, ossia «l’uomo suo [di lei]», poiché gli antichi (così in ebraico e greco biblici) non avevano un termine specifico diretto come «marito». Si noti pure che díkaios non significa «uomo giusto», ma solo «giusto». Tali traduzioni interlineari sono poi, a volte, ridicole, poiché qui questa mette dopo «autḗn» (lei, acc.) «{esporla}», traendo in inganno il lettore, poiché suggerisce implicitamente la corrispondenza dei due termini. Il testo recita in pratica così: «Ora, Giuseppe, il suo uomo, essendo giusto e non volendola svergognare, decise...». Il contesto mostra, quindi, che Giuseppe e Maria erano legati da una promessa vincolante di matrimonio, sebbene non ci fosse stato ancora l’atto finale di coabitazione, concesso dalle ambedue famiglie e che coronava il matrimonio con l’atto nuziale. Sebbene ancora promessi sposi, lui era già anḗr autẽs «l’uomo di lei». Quindi, il primo passo, per acquistare conoscenza, è capire la diversità socio-culturale e linguistica del mondo d’allora.

 

 

3. {Simone Toso}

 

Contributo: Come riuscire ad avere un’interlineare, che traduca fedelmente i vari termini? {09-01-2014}

 

Pietro Calenzo: Appunto ci si chiede: È mai possibile che in italiano non si trovi uninterlineare, che attualizzando le espressioni idiomatiche, sia però anche più grandemente fedele a una traduzione letterale!? {09-01-2014}

 

Nicola Martella: Un’interlineare è di per sé un compromesso, a volte bizzarro. Chi la produce ha due alternative:

     1. Partire dal testo greco e aggiungere nella lingua derivata (p.es. it.) il significato letterale;

     2. Partire dalla lingua derivata, cercandolo di accordare con il testo greco (si vedano i tempi e i modi, che non corrispondono; gr. sostantivo, it. verbo, o viceversa; proposizioni secondarie fatte diventare nuove proposizioni principali; ecc.).

     Quanti usano la seconda possibilità, creano combinazioni bizzarre, nelle quali i termini spesso non si corrispondono e traggono in inganno i lettori. Un’interlineare è di per sé un’opera stravagante, poiché una lingua è piena di espressioni idiomatiche e non potrà mai corrispondere letteralmente a un’altra, se non descrivendone i concetti. Inoltre, i campi semantici dei singoli termini non si corrispondono mai al 100% in due lingue differenti. In certi casi, termini e locuzioni hanno significati differenti nella lingua originale e in quella derivata (p.es. ebr. «cuore» = «mente»; «uomo di cuore» = «uomo intelligente»); ciò, che in una lingua si esprime con un termine solo, nell’altra richiede due termini del tutto differenti (cfr. ted. Glück = it. fortuna e felicità; cfr. ebr. ’ëchād = it. uno [di numero], uno solo, unico, ecc.). Una traduzione interlineare può essere utile per un confronto veloce fra originale e traduzione derivata, ma guai a pretendere da essa la precisione! Io preferisco o tradurre direttamente dal greco, per accertarmi che cosa l’autore intendeva veramente affermare.

 

Simone Toso: Quindi, o uno conosce il greco e l’ebraico, o si fida di chi traduce. {09-01-2014}

 

Pietro Calenzo: Le traduzioni sono tutte più o meno simili. Ribadisco un insegnamento dello stesso Nicola Martella per coloro, che non sono docenti di esegetica scritturale: procurarsi un buon numero di traduzioni, e sui punti scritturali che sono un po’ adombrati per noi, confrontarle tra loro, possibilmente anche qualcuna in lingua straniera. Ciò che verrà fuori da tale sintesi o analisi sarà vicinissimo all’autentico significato del testo originale. Le Scritture contengono tutto ciò, che è necessario per la nostra salvezza, ma è pur vero che soltanto gli esegeti di un certo livello sanno cogliere alcune sfumature, che ai più sfuggono. {09-01-2014}

 

 

4. {Goffredo Colucci}

 

Contributo: Bisogna comunque considerare la terminologia greca con il retroterra ebraico! Ma esiste l’aggettivo ὕπανδρος (hipandros, fem.) «maritata» di Romani 7,2; ed è una eccezione, che conferma la regola. {09-01-2014}

 

Pietro Calenzo: Esatto, bisogna conoscere bene, o abbastanza bene, la storia e la cultura, il substrato delle lingue scritturali. {09-01-2014}

 

Nicola Martella: Riguardo a Romani 7,2, faccio presente quanto segue. Il termine hýpandros non significa letteralmente «maritata», ma la locuzione è he hýpandros ghynḗ «la donna soggetta a uomo [anḗr]». Tale termine si trova solo qui in tutto il NT. Compare ancora nella Settanta in Pr 6,29 nella locuzione hū́tōs ho eiselthṑn pròs ghynaĩka hýpandros «così [è] chi entrò dalla donna soggetta a uomo». Qui l’ebraico recita: «Così [è] chi entra dalla donna [ìššāh] del suo prossimo [rea`]».

 

Goffredo Colucci: Comunque dal lemma italiano «marito» tradotto in greco (con «La Parola.Net») risulta:

     ● Marito (s. m.) = ἀνήρ, ἀνδρός, ὁ [aner] sostantivo maschile

     1) uomo, con referenza al sesso

            1a) un maschio

            1b) un marito

            1c) un fidanzato o futuro marito (Gv 4,17-18).

 

     Uomo (s. m.) = ἄνθρωπος, -ου, ὁ [anthropos]

     1) un essere umano, se maschio o femmina

            1a) genericamente, include tutti gli individui umani

            1b) per distinguere gli uomini dagli esseri diversi

                        1b1) dagli animali e piante

                        1b2) da Dio e Cristo

                        1b3) dagli angeli (2 Cor 4,16) {10-01-2014}

 

Nicola Martella: Quindi, che cosa intendevi mostrare con le citazioni lessicali? Non possiamo certo prendere che «La Parola.Net» risolva un tale quesito, quando si pone in italiano il lemma «marito» e si chiede a tale programma la corrispondenza greca. Ci vuole un minimo di rigore mentale e di onestà intellettuale, se si vogliono studiare seriamente dei temi e venirne a capo.

     Il greco, al pari dell’ebraico, non ha un termine specifico per «marito» e «moglie», come accade in italiano. Se in italiano diciamo: «Quella donna uccise il marito», sapremmo subito di che cosa si parla. Se lo dicessimo in greco: «Quella donna uccise tòn ándra [l’uomo]», non sapremmo mai, senza il contesto, se uccise «quell’uomo», che magari voleva farle violenza, o «il suo uomo» (it. marito). Per questo il greco, per specificare, deve necessariamente usare un aggettivo o pronome personale: tòn ìdion ándra «il proprio uomo» (1 Cor 7,2), tòn ándra autẽs «il suo uomo» (Mt 1,19; At 5,10; 1 Cor 7,39). Quindi, il termine greco anḗr non significa da solo e di per sé «marito», ma siamo noi a tradurlo in italiano così.

 

 

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12. {Autori vari}

 

Pietro Calenzo: 1. Molto, molto pedagogico e interessante. Grazie Nicola, il Signore benedica queste tue note, per crescere in fede e in conoscenza. {09-01-2014}

     2. Grazie, fratello Nicola, per l’esegesi dei due passi Scritturali, Giovanni 4,16ss ed Efesini 5,22-33. È vero, esegeticamente Efesini 5,22-33 assume in greco letterale un spiegazione ancor più avvincente e specifica. Nel Nuovo Testamento conoscevo che «donna» senza pronome può riferirsi sia a femmina che a moglie, ma non avevo posto mente che anche «uomo» o marito, seguono le stesse regole sintattiche. Certamente l’esegesi del testo originale richiede a volte più tempo, ma senza dubbio è di una utilità eccezionale, poiché non solamente ci fa essere maggiormente consapevoli ed edotti nella Parola di Dio, ma ci fa assaporare e penetrare. in modo più ancor profondo. i versi delle Scritture. Grazie, e il Signore faccia prosperare grandemente il tuo servizio ai santi di Gesù il Cristo, il Vivente. Shalom Nicola. Dio ti benedica. {09-01-2014}

 

Vincenzo Esposito: Grazie, Nicola, per l’informazione, ma resta isolata, perché non abbiamo la possibilità di studio del greco; mi piace tanto lo studio della parola. {09-01-2014}

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/T1-Marito_moglie_manca_Avv.htm

08-01-2014; Aggiornamento:

 

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