In questo tema di
discussione diamo occasione ai lettori di esprimersi intorno all’articolo: «Lingue
bibliche e l’errore dell’etimologia».
I contributi, arrivati finora, fanno riferimento specialmente al secondo punto
dell’articolo, in cui Francesco Grassi parla dell’«errore etimologico»;
tale punto era in origine una nota a piè di pagina dell’articolo «Natura
divina e incorruttibilità in 2 Pietro 1,3-4», a cui era stato tolto.
Qui di seguito si fa uso dei termini «sincronico» e «diacronico». Col
primo s’intende il significato di un termine in un certo momento della storia;
mentre «diacronico» intende l’uso e lo sviluppo di un dato termine nel
tempo. Ad esempio, se da ragazzo io avessi mai usato in casa la locuzione: «…e
poi è successo un casino…», avrei mietuto subito un ceffone da mio padre.
Nell’uso sincronico, ossia in quel periodo, il termine «casino» richiamava
direttamente le «case chiuse» (o bordelli). Oggigiorno, la quasi totalità dei
giovani (e degli adulti) ignora lo sviluppo diacronico del termine in pochi
decenni e pensa che «casino» (o «casotto») significhi semplicemente «confusione,
parapiglia».
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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I contributi sul tema
▲ (I
contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori. I
contributi attivi hanno uno
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1. {Andrea
Poggi}
▲
■
Contributo: Pace, caro fratello Nicola, leggendo gli scritti sul tema le
lingue bibliche e l’errore dell’Etimologia, hanno attirato la mia attenzione due
affermazione nel punto del fratello Francesco Grassi. Premetto che non conosco
il greco né l’ebraico, quindi sono ignorante in materia e non posso esprimermi;
ma volevo prendere posizione circa l’affermazione di Paolo in Romani 1,10, dove
afferma che «l’Evangelo è potenza di Dio...». Faccio notare che, oltre
che a essere «potenza per la salvezza delle anime», e su questo neanche
si discute, personalmente non ho dubbi sul fatto che sia anche potenza
distruttrice (senza paragonarlo erroneamente alla dinamite) verso Satana, i
suoi demoni e la loro opera. Oltre a questa mia considerazione, avrei piacere se
Francesco mi potesse dire cosa significa secondo lui «partecipi della natura
divina». Grazie anticipatamente che Dio vi benedica abbondantemente un
abbraccio forte. {06-05-2010}
▬ Risposta: La questione del collegamento fra verrà
affrontato nel prossimo punto da Tonino Mele. Riguardo all’essere «partecipi
della natura divina», rimando all’articolo «Natura
divina e incorruttibilità in 2 Pietro 1,3-4» di Francesco Grassi. Tonino Mele ha risposto ad esso nel seguente suo
scritto: «2
Pietro 1,3-4 tra storia ed escatologia». L’intera discussione si
trova qui di seguito: «Natura
divina fra caparra e adempimento finale». {Nicola Martella}
2.
{Tonino Mele}
▲
Condivido in linea generale quanto dice Francesco Grassi, ma faccio notare
quanto segue.
■ Prima di studiare l’uso sincronico d’un termine, bisogna comunque conoscere
l’uso diacronico dello stesso, perché anche i termini hanno una loro storia che
poi si ripercuote nel loro uso nel tempo. Se l’esegeta deve diffidare di un’etimologia
forzata, che tende a dare ai termini un significato fisso, il solito
significato, deve diffidare anche di un’anarchia etimologica, dove i
termini assumono un significato insolito, senza alcun riscontro
diacronico. Questo mi pare anacronismo al contrario.
■ Tra la lingua del Nuovo Testamento e la nostra lingua esistono delle
connessioni etimologiche (es. dynamis ↔ dinamite,
antropos ↔ antropologia, kosmos ↔ cosmonauta, ecc.), che pur nella
loro diversità, hanno importanti punti di convergenza
(p.es. la «potenza» per la coppia dynamis - dinamite; «l’uomo» per la
coppia antropos - antropologia, ecc.).
Talvolta s’usano queste «curiosità» storiche ed etimologiche, per illustrare e
arricchire la spiegazione del Nuovo Testamento, senza voler spiegare in toto
i primi sulla base dei secondi. Del resto, ritornando alla coppia dynamis
– dinamite, anche l’Evangelo, prima di rigenerare, «distrugge» i
legami forti creati dal peccato e da buona notizia che è, se accolto, può
trasformarsi in cattiva notizia, se respinto, perché diventa la base del
giudizio divino verso gli uomini. Inoltre, la dinamite può essere usata per
fini benefici, ad esempio per far saltare giù edifici pericolanti, che
altrimenti potrebbero creare maggior distruzione e morte. Mi pare una
forzatura tirar fuori quest’esempio dal linguaggio omiletico, per additare
un errore di carattere esegetico [ossia in 2 Pietro 1,3-4, N.d.R.]. Forse si
potevano trovare esempi più pertinenti. {07-05-2010}
3. {Vari e
minimi}
▲
■ Direi, con molta umiltà, che è meglio studiare bene l’italiano e poi
introdursi nelle lingue bibliche (greco ed ebraico). Devo, però, ammettere che
ci sono alcuni casi, in cui è indispensabile conoscere non solo il termine greco
o ebraico, ma anche il vero significato, e se esso è riportato uguale
nella lingua italiana moderna. {Salvatore Paone; 07-05-2010}
■ Premesso che
studiare va sempre bene, o in privato o in scuole apposite. Lo studio
maggiore per un credente dovrebbe essere di «meditare giorno e notte» le
Scritture, dedicarsi ad aiutare i poveri e a vivere in comunione col Signore. Vi
saluto nel Signore. {Volto Di Gennaro; 07-05-2010}
■ Questo argomento mi piace moltissimo (da ex-ex-ex-ex studentessa di lingue
«vive»). Contiene anche dei
consigli che trovo validi. Dopo aver letto tutto lo scritto, benedico in
cuor mio quei fratelli che,
senza pretese pretenziose, hanno saputo trasmettermi moltissimo.
{Graziella Prina; 07-05-2010}
■ Caro Nicola, shalom. Ho letto con molta attenzione questa tua (e del fratello
Grassi)
preziosa proposta di riflessione sull’omiletica e sull’ermeneutica
biblica. Ringrazio il Signore per la tua
analisi accurata e oggettiva. Se mi consenti una sola e sintetica
considerazione, non solo personale, ma penso a ragione oggettiva: Dio ti
benedica, e grazie al Signore per il suo Spirito Santo. Shalom. Benedizioni.
Shalom. {Pietro Calenzo; 07-05-2010}
■ Giusto. D’accordo con voi. La mia scelta è quella di confrontare ciò
che gli specialisti del settore affermano su un determinato testo, piuttosto
d’avere la
presunzione di spiegare il testo alla luce del (poco) greco che conosco.
{Gianni Rigamonti; 07-05-2010}
■ Ho trovato l’articolo molto istruttivo e interessante. Tante volte si dicono
cose in buona fede, senza sapere di sbagliare. {Antonio Capasso; 07-05-2010}
4. {Pietro
Calenzo}
▲
■
Contributo: Mi pare d’aver percepito, e il fratello Nicola mi perdonerà
se tale sensazione non è corretta, che egli non scoraggi lo studio
accurato ed esegetico, omiletico o ermeneutico della Scrittura; anzi, per mezzo
d’esso, possiamo accrescere la nostra devozione personale e, perché no, essere
di conforto anche ai nostri fratelli. Chi ha, anche delle conoscenze (spesso
scolastiche) di greco e potenzialmente d’ebraico, fa bene a metterle
a disposizione della chiesa locale o d’altri fratelli. Ciò che mi sembra non
sia da esaltare è l’atteggiamento di quei credenti che, in rete o in altra sede,
poggiando in maniera eccessiva sulla propria «dotta ignoranza» e usando altri
artefici metodologici (allegorismo, spiritualizzazione irrispettosa del
contesto, la cosiddetta Alta critica liberale - peste perniciosa mai doma), in
specifici casi, più o meno determinati, arrogano a sé interpretazioni
esegetiche fallaci e devianti; quest’ultime sono, non di rado, dannosi a
essi stessi, ma in primo luogo ad altri credenti.
Come affermano il
fratello Nicola e il fratello Grassi, una molteplicità di versioni della
santa Parola sono sempre le benvenute, con dizionari, concordanze, commentari,
interlineari e tutti i sussidi, che il Signore ci consente e ci provvede.
Una sana analisi delle proprie conoscenze, ma in primo luogo dei carismi che il
Signore dona alla sua chiesa, è d’uopo; e ringraziamo il Signore per quei
dottori o insegnanti che Egli ha donato per mezzo dello Spirito al suo Corpo,
per il nostro perfezionamento e per la nostra crescita in fede e conoscenza
delle stupende vie del Signore. Benedizioni nel santo nome del Messia Gesù.
{07-05-2010}
▬
Osservazioni: Un proverbio recita: «Ciabattino, rimani alle
tue suole». Ossia bisogna usare gli strumenti, di cui si è veramente
competenti. Chi conosce le lingue, in cui fu scritta la Bibbia, e sa praticare
un’esegesi contestuale rigorosa e onesta, è certamente una risorsa per le
chiese, se ha rispetto per le Scritture e timor di Dio. Il problema sono
quelli che con un neologismo chiamerei «quasiologi»: hanno appena
un’infarinatura di ebraico e greco e pretendono di dire che cosa ci sia
veramente nei testi originari. Condiscono i loro articoli o, peggio, le loro
predicazioni con un paio di termini in ebraico e greco e pensano così di poter
dimostrare qualcosa. Essi sono in genere un danno per le chiese, poiché non
conoscono veramente la materia, di cui parlano, e si radicalizzano su quelle
quattro nozioni terminologiche che sanno.
A tutto ciò è legato anche un aspetto di disonestà. In vari articoli in
rete, invece di citare quale studioso ha detto che cosa, usando le virgolette e
la citazione precisa dell’autore e dell’opera, si fa un fraudolento «taglia e
incolla» senza paternità e tutto appare come farina del proprio sacco. Non sarà
certamente un tale modo scorretto di procedere a fare di una tale persona uno
«studioso».
Non bisogna avere un
complesso di inferiorità, se non si conoscono le lingue originali della
Bibbia. Ribadisco ancora una volta a chi ha una passione per lo studio e
l’insegnamento della Bibbia: usa varie versioni della Scrittura in
italiano e lingue estere, se conosciute; usa tutti i sussidi allo studio
esegetico che è possibile avere. Poi cita correttamente gli studiosi, da
cui attingi. Sii onesto verso la Parola (e verso i tuoi strumenti), ed
essa ti parlerà, illuminandoti.
{Nicola Martella}
5. {Gianni
Siena}
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Direi che lo studio
d’un termine greco o ebraico-aramaico, alla luce della grammatica e della
dottrina biblica, fa solo bene al credente. Io stesso ricorro a questo
espediente quando il termine tradotto, nell’insieme delle versioni disponibili,
non mi dà un senso soddisfacente.
Per esempio, affrontai l’aggettivo ebraico «chug» (Is 40,22) che
significa estensivamente «qualunque oggetto rotondo». Per esso mi giocai una
amicizia ma da quell’esperienza ne trassi un duplice ammaestramento: ▪ 1)
L’amico aveva ragione benché il mio opposto ragionamento non fosse sbagliato. Da
allora non «questiono» più, ma ho imparato ad ascoltare l’altro. ▪ 2) Quando ci
si trova a essere contrapposti all’altro, spesso, nessuno dei due ha quella
conoscenza complessiva che consente di sintetizzare le due posizioni che poi, si
scopre, non essere opposte e inconciliabili. Io cercavo il senso letterale
di «chug», riferito al pianeta terra, ma il mio interlocutore mi faceva notare
che esso rendeva più spiritualmente il senso di Dio seduto sul trono
(sopra la volta celeste), da dove vede gli umani come cavallette. Un rabbino
mi disse che avevamo entrambi ragione, ma io vedevo sfumare il risultato di mesi
di studio faticoso. Con calma riesaminai i miei dati e le obiezioni del mio
amico cristiano… le cose stavano così. Il mio interesse al senso «letterale» era
determinato da una ricerca sulle conoscenze geografiche degli antichi. La
terra è rotonda e in Isaia c’è scritto qualcosa che avvalorava le mie
conclusioni ma se, invece, quell’aggettivo ebraico aveva un senso spirituale mi
bruciava un’importante argomento. Le cose non stavano così: con il procedere
delle ricerche arrivai alla conclusione certa che Isaia allude in effetti alla
rotondità del pianeta «visto» in un certo modo con occhi spirituali... e
premessa una peculiare concezione dei cieli e la terra.
L’autodidatta, senza una preparazione specifica, tende ad assumere un
atteggiamento da «professore» verso gli altri. È arroganza all’ennesima potenza
esponenziale, l’ho vissuta sulla mia pelle, sbagliando così: raccomando a queste
persone d’essere umili e imparare ad ascoltare. Chiedo ancora umilmente perdono
a chi offesi in quell’occasione, e la lezione m’è servita. {10 maggio
2010}
6. {Nicola
Martella}
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Risalire al
significato specifico di un termine greco ed ebraico, non è sbagliato. Il
problema è a dove si attinge. A ciò si aggiunga che un termine è «modulato» dal
suo contesto. Inoltre, nel tempo si modifica lo spettro dei significati, nel
senso che si specializza (termine tecnico) o si generalizza, si estingue e
rimane soltanto in modi di dire o si «tinge» del significato di termini simili.
Ci vuole quindi molta sobrietà e discernimento.
Ad esempio, il citato termine
ḥûg
ricorre soltanto tre volte nell’AT e significa semplicemente «cerchio,
circonferenza, volta» e non «qualunque oggetto rotondo». Il verbo corrispondente
ricorre soltanto in Giobbe 26,10 e intende quanto segue: «Un limite ha
tracciato come un cerchio sulla superficie delle acque fino all’estremo confine
della luce e delle tenebre». Anche il sostantivo intende semplicemente il
cerchio dell’orizzonte. In Giobbe 22,14 si parla di Dio che «passeggia sulla
vòlta dei cieli». In Proverbi 8,27 sembra descrivere la terra primordiale
caotica e Dio che le imprime una sfericità. In Isaia 40,22 viene descritto Dio
che «sta assiso sulla circonferenza della terra». Bisogna stare attenti a
non scientifizzare tale linguaggio, visto che due dei tre termini
si trovano nella letteratura sapienziale e descrivono l’esperienza
dell’osservatore. D’altra parte, non bisogna neppure spiritualizzare tale
termine, poiché dove ricorre, viene inteso sempre in senso materiale. I termini
in se stessi non hanno un valore «spirituale», ma è il contesto a mostrare un
ragionamento concreto o figurato.
Gli
autodidatti, non avendo la preparazione adeguata in campo linguistico,
tendono a radicalizzare le poche scoperte che fanno. Al riguardo non ci guadagna
la verità, che spesso è molto più complessa. Si fa perciò sempre bene a
consultare diversi studiosi (quelli veri) su una data questione e a citarli
correttamente anche nelle loro diversità e sfumature. Solo così ci si avvicinerà
maggiormente alla verità. Ammetto che fa un po’ effetto, e non proprio positivo,
leggere testi di persone sgrammaticate o senza proprietà di linguaggio e senza
capacità teologica, che si riempiono la bocca con termini greci ed ebraici e
affermano con assolutezza un dato significato, senza neppure citare le loro
fonti. Si rendono essi stessi stravaganti, a dir poco, e poco credibili. Quindi,
anche qui ci vuole onestà intellettuale!
7. {}
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8. {}
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9. {}
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10. {}
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11. {}
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12. {}
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/T1-Lingue-BB_error_etimol_R56.htm
07-05-2010; Aggiornamento: 11-05-2010
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