In Gn 10,23 Uz,
Ḥûl, Gheter e Maš (Mešek)
sono chiamati figli di Aram, mentre in 1 Cr 1,17 compaiono direttamente come
figli di Sem. Come bisogna intendere questo fatto? Come possono i nipoti essere
figli del nonno? Per un caso speciale vedi p.es. Gn 48,5.16. Per l’approfondimento cfr. Nicola
Martella, «Figlio»,
Manuale Teologico
dell’Antico Testamento
(Punto°A°Croce, Roma 2002), pp. 163s.
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1.
{Argentino Quintavalle} ▲
Nella Bibbia la parola «figlio» ha un significato più
ampio di quello che siamo abituati a dargli nella nostra cultura: significa
«discendente».
Giacobbe fa una cosa molto
strana: arriva Giuseppe con i suoi due figli e il nonno li benedice, anzi li
eleva dal grado di nipoti a quello di figli. È come se tra i figli di Giacobbe
ci fossero due Giuseppe. La loro elevazione a figli rappresenta la doppia parte
di eredità che spetta a Giuseppe.
Giacobbe è cieco, Giuseppe lo sa
e avvicina i figli al padre in maniera che il primogenito sia sotto la mano
destra e il secondogenito sotto la sinistra. Giacobbe (cieco) senza dire una
parola, incrocia le mani e pone la destra sul secondo (elevandolo a primogenito)
e la sinistra sul primogenito biologico. Giuseppe gli dice: «Non così, padre
mio». La risposta di Giacobbe può riguardare anche le nostre tante domande:
«Lo so figlio mio, lo so». Parafrasando: «Ci sono tante cose che io so
e tu non sai!».
Da ciò impariamo che molto spesso
le cose vanno oltre ciò che «sembra». Dio sa quello che noi non sappiamo e vede
quello che noi non vediamo. Ecco così che i nipoti possono essere considerati
figli del nonno. Ecco che i figli di Aram (1 Cr 1,17) possono benissimo essere
chiamati figli di Sem, oppure il profeta Zaccaria può essere chiamato figlio di
Berekia in Zac 1,1.7, ma anche figlio di suo nonno Iddo in Esd 5,1; 6,14.
Dio sa il perché, a noi il
privilegio d’indagare: «È gloria di Dio nascondere una cosa, ma è gloria dei
re investigarla» (Pr 25,2). In genere il motivo è teologico (ma non sempre).
Nel caso di Zaccaria, per esempio, Esdra, che scrisse per la comunità del dopo
esilio, associò il nome di Zaccaria a suo nonno, che era un sacerdote famoso.
Inoltre, il Midraš sostiene che anche Iddo era profeta, e questo sarebbe un
ulteriore motivo per cui Esdra associò Zaccaria al nonno, ambedue profeti e
sacerdoti.
In Zac 1,1.7, invece, oltre al
nonno viene nominato anche il padre Berekia. Ci sono delle profonde motivazioni
teologiche anche per questo, sulle quali non mi dilungherò.
Ogni caso va analizzato
singolarmente. Per quanto riguarda 1 Cr 1,17, va notato che nel testo ebraico,
sotto la parola Aram c’è quello che si chiama ’atnah, un accento che ha
lo scopo di dividere il versetto in due parti equivalenti, essendo un accento
disgiuntivo, cioè corrisponde al nostro punto e virgola. Quindi dopo di esso si
deve fare una pausa, ma le nostre traduzioni non riportano questa particolarità.
Il Testo Masoretico, citando la Versione Arabica, riporta al margine: «benê
’arām ’ûz» (figli di Aram Uz…).
Un altro caso particolare di cui
poco si parla è che la parola figlio viene associata anche al «genero».
Giuseppe (il marito di Maria) è figlio di Giacobbe per nascita (Mt 1,16) e
figlio di Eli per matrimonio con Maria (Lc 3,23). Questo è comprovato dalla giusta lettura di Luca
3,23, il quale, secondo Lachmann, Tischendorf, Tregelles, Alford, Westcott e
Hort, dovrebbe leggersi, «E Gesù, quando cominciò a insegnare, aveva circa
trent’anni ed era figliolo, come credevasi, di Giuseppe, figlio di Eli». Il
verbo
nomizw
(nomizo) significa «assegnare, mettere
a disposizione, considerare, ritenere qualcuno come…». Qui non si riferisce a
qualche supposizione su Gesù come figlio di Giuseppe, ma alla
autorizzazione legale e pratica abituale di considerare Giuseppe come figlio di
Eli attraverso il matrimonio con Maria. Vedere Rut 1,11ss, dove Rut a seguito
del matrimonio con il figlio di Naomi fu chiamata sua figlia; Ne 7,63,
dove Koz, dopo il matrimonio con la figlia Barzillai fu «chiamato con il loro
nome»; e Nu 36,11s dove le figlie di Zelofehad, per volontà divina, «si
maritarono con i figli dei loro zii… e la loro eredità rimase nella tribù della
famiglia di loro padre». Questo fu esattamente quello che era avvenuto con
Maria che, secondo il Talmud di Gerusalemme (Chagghigà 77,4), era chiamata la
figlia di Eli: il suo matrimonio con Giuseppe, che era in realtà figlio di
Giacobbe, fece sì che quest’ultimo fosse chiamato, secondo l’usanza (nomizw), figlio, o piuttosto genero, di Eli.
Questo
significa che, Giuseppe, che era il vero figlio di Giacobbe (poiché è scritto «Giacobbe
generò
Giuseppe», Mt 1,16), era potuto diventare il figlio
legale di Eli solo per il suo matrimonio con la figlia di Eli, Maria. Per
questo non fu detto, in Luca 3,23, che Eli generò Giuseppe, ma che era «figlio
di Eli». La parola «figlio», essendo un’espressione più ampia, denotava
che egli era
legalmente il genero di Eli, per il suo matrimonio con Maria, la vera
figlia di Eli.
Mentre
Gesù, quindi, era il vero figlio di Maria, poteva essere considerato il figlio
legale di Giuseppe, e discendeva da Natan attraverso Eli, come pure da Salomone
attraverso Giacobbe.
Molto spesso le cose vanno oltre ciò che «sembra».
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/T1-Figli_ebraici_MT_AT.htm
2007; Aggiornamento: 30-06-2010
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