Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Manuale Teologico dell’AT

 

Bibbia (generale)

 

 

 

 

Dopo una introduzione alle problematiche della teologia dell’AT, segue il dizionario teologico dell’AT.

   Ecco le parti principali dell’introduzione alla teologia dell’AT:
■ Il compito e l’oggetto della Teologia dell’AT
■ Le posizioni teologiche più ricorrenti
■ I patti e gli altri approcci
■ Contro l’appiattimento storico e teologico dell’AT.

 

Al dizionario teologico dell’AT sono acclusi un registro delle voci e un registro ragionato delle stesse detto «percorsi teologici».

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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FRA TRADUZIONI IMPERFETTE

E VARIANTI NEI MANOSCRITTI

 

 di Tonino Mele

 

 

1.  PERCHÉ PARLARNE?

     Qualcuno, dopo aver letto l’articolo sulle traduzioni della Bibbia [► Le traduzioni della Bibbia sono fiori e spine], si chiedeva cosa può succedere se questo venisse letto da chi non è molto radicato nella fede. [► Parlando delle traduzioni della Bibbia] Anche Nicola Martella si chiedeva: «Faccio male a parlare di queste cose? Sarebbe meglio tacere e lasciare tranquilli i cristiani? Si solleverà un vespaio?». Penso che questa sia una preoccupazione comprensibile e legittima… ma poi bisogna fare una scelta e l’autore dell’articolo l’ha fatta, decidendo di pubblicarlo. Ha fatto bene? È un male parlare apertamente di queste cose? O è meglio fare come gli struzzi: chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie davanti a certe problematiche che sono comunque reali?

     Io credo che l’autore dell’articolo abbia fatto bene e lo incoraggio a continuare a mettere le mani su argomenti di questo tipo, compresa la critica testuale. Non credo che affrontare questo genere d’argomenti sia di per sé una minaccia all’ispirazione e all’inerranza della Scrittura, ma solo un modo di mettere in luce problemi reali che esistono intorno al testo biblico, sia «originale» che tradotto, per avvicinarci sempre più a quelli che sono i testi originali, i quali soltanto sono ispirati e inerranti. Io credo che anche nelle traduzioni, per quanto imperfette, si può leggere il messaggio che Dio ha voluto rivelare con la Sua Parola. E credo anche che il grado d’imperfezione delle traduzioni sia da mettere soprattutto in relazione con le varie sfumature d’un termine (campo semantico) e si possa ridurre in modo considerevole attraverso il confronto delle varie traduzioni.

 

 

2.  DALLE TRADUZIONI IMPERFETTE ALLA CRITICA TESTUALE

     Detto questo però bisogna ribadire il fatto che le traduzioni sono imperfette, non solo per una questione di sfumature dei termini, ma anche perché non c’è una base da cui tradurre, che possiamo identificare sic et simplicer, con gli originali inerranti che Dio ha ispirato. Questi originali sono andati perduti. Il Textus Receptus non è nel modo più assoluto il testo originale della Scrittura. Volerlo imporre come tale assomiglia un tantino alla fantomatica successione apostolica, con la quale si vuol fare credere che la linea di successione che va da San Pietro all’attuale papa non si sia mai spezzata, per cui, anche la tradizione orale della chiesa è rimasta intatta nei secoli. Non ci sono prove né per l’un caso, né per l’altro, anzi il contrario. Ribadisco dunque che non abbiamo il testo originale della Scrittura, però abbiamo migliaia di manoscritti, databili fino a qualche secolo dopo la stesura degli originali, che, ci aiutano a ricostruire un testo, il più possibile vicino all’originale (cosa peraltro unica nel panorama dei libri antichi). E qui c’imbattiamo in un problema ancor più radicale delle traduzioni: fra tutti questi manoscritti, che altro non sono se non copie delle copie degli originali, ci sono molte differenze, le cosiddette varianti, le quali ci mostrano che per arrivare al testo originale, non basta il semplice confronto di questi manoscritti, ma bisogna capire il perché di queste differenze, e, attraverso il loro studio e l’applicazione di regole, affinate nel tempo dagli studiosi, identificare quella che è la parola (lezione) originale. Questo è il lavoro che fa la critica testuale.

 

 

3.  DOBBIAMO AVERE PAURA DELLA CRITICA TESTUALE?

     Ora, si ha ben diritto di dire che se qualcuno non ha perso la fede con l’articolo sulle traduzioni, qui c’è il tanto per perderla davvero. Ecco perché molti cristiani non vogliono sentir parlare di critica testuale e guardano con sospetto chi se ne occupa. Mi ricordo d’un fratello che leggeva i testi «originali», ma puntualizzava di non leggere l’apparato critico (come se esso non fosse alla base del testo «originale» che lui leggeva). Ricordo anche d’una cara sorella che conosceva molto da vicino F. F. Bruce (1910-1990), la quale mi disse un giorno che non tutti i cristiani guardavano con favore alla sua attività d’esegeta e di critico testuale. Eppure, proprio Bruce ha avuto il grande merito (ma non solo lui) di mostrarci il valore della critica testuale per l’apologia della nostra fede. Il suo libro da poco tradotto dai GBU, «Possiamo fidarci del Nuovo Testamento?» che nella versione inglese titolava «Possiamo fidarci dei documenti del Nuovo Testamento?», è diventato ormai un classico dell’apologetica cristiana. In esso ci mostra come proprio i risultati della critica testuale confermino che lo stato di preservazione del testo biblico sia un fatto editoriale unico nella storia dei testi antichi, cosa di cui non si può dire d’altri testi quali il «De bello Gallico» di Giulio Cesare. Inoltre ha evidenziato l’irrilevanza sia sostanziale che teologica delle cosiddette varianti. Persino un critico stringente come Bart D. Ehrman (di lui parleremo fra breve) ha affermato: «In realtà, la maggioranza dei cambiamenti rilevati nei primi manoscritti cristiani non ha nulla a che vedere con la teologia o l’ideologia. La gran parte è il risultato di puri e semplici errori, errori di Scrittura, omissioni dovute al caso, aggiunte involontarie, parole dall’ortografia errata, grossolani errori di vario tipo... Questa forma più antica del testo è senza dubbio in rapporto stretto (molto stretto) con ciò che l’autore scrisse in origine... Si può dire con ragionevole certezza che la copiatura dei testi del primo cristianesimo fu nel complesso un procedimento “conservativo”... La loro principale preoccupazione non era quella di modificare la tradizione (testuale), bensì di preservarla per se stessi e per coloro che sarebbero venuti dopo».[1] Ricordiamo comunque che anche tali errori, per quanto irrilevanti, riguardano solo le copie delle copie degli originali. Perché dunque avere paura della critica testuale, dal momento che, essa, al pari dell’archeologia, può risultare una conferma dell’attendibilità della Scrittura?

 

 

4.  QUANDO LA CRITICA TESTUALE APPRODA AL CENTRO COMMERCIALE…

     Ma se si tratta di differenze così irrilevanti che non intaccano la sostanza della nostra fede e riguardano peraltro le copie delle copie degli originali, allora perché occuparsi della critica testuale? Perché alzare un polverone per niente? Questa domanda merita una duplice risposta. Una d’ordine esegetico, che in parte abbiamo dato, quando abbiamo parlato dell’utilità della critica testuale nel ridarci un testo biblico il più possibile vicino all’originale. È stato detto: «Nell’ambito della provvidenza di Dio e per Sua volontà, studiando seriamente tutti i documenti esistenti, applicando i metodi migliori, dobbiamo cercare di stabilire il vero testo originale, che sia migliore di ciascun manoscritto preso isolatamente».[2] L’altra risposta è d’ordine apologetico. Esiste infatti un modo di fare critica testuale, che non ha rispetto dell’ispirazione e dell’inerranza della Scrittura e c’è un fatto nuovo: questo modo di fare critica testuale, sta entrando nei circuiti di distribuzione di massa, approdando persino nei centri commerciali, a uso e consumo dell’uomo comune.

     È in un centro commerciale che ho acquistato il libro di Bart D. Ehrman, «Gesù non l’ha mai detto», edito dalla Mondatori nel marzo 2007. Questo è nientemeno che un libro sulla critica testuale del Nuovo Testamento, fatto apposta per l’uomo della strada. Così lo presenta l’autore: «Questo è proprio quel tipo di libro: per quanto ne so, è il primo nel suo genere. È scritto per coloro che sono digiuni di critica testuale, ma che potrebbero essere interessati a sapere come gli scribi modificarono le Sacre Scritture e come ora sia possibile capire dove lo hanno fatto. È scritto sulla base dei miei trent’anni di riflessioni sull’argomento e dalla mia prospettiva attuale, successiva ai radicali mutamenti verificatisi nel mio modo d’intendere la Bibbia».[3] Chi ha letto il libro sa che non c’è niente fuori posto in queste parole, le quali riassumono molto bene il contenuto del libro. Questo è veramente un libro sulla critica testuale. Esso spiega cos’è la critica testuale, la sua importanza, le sue vicissitudini e le sue acquisizioni. Questo è veramente un libro «rivolto a un pubblico di profani, vale a dire a coloro che non sanno nulla sull’argomento, non conoscono il greco né le altre lingue necessarie a un tale studio approfondito».[4] Ed è un libro fatto molto bene, perché sa coniare precisione scientifica e semplicità divulgativa. Questo è veramente un libro scritto da una persona competente, che ha avuto come mentore una delle massime autorità nel campo della critica testuale, cioè Bruce M. Metzger, a cui il libro è anche dedicato. Questo però, e dico questo con rammarico, è anche un libro scritto dalla «prospettiva attuale dell’autore», alla quale è giunto dopo «radicali mutamenti» nel suo «modo d’intendere la Bibbia». Tutto il libro infatti è incastonato in una sorta d’introduzione e conclusione autobiografica, dove l’autore descrive il suo itinerario «spirituale» e intellettuale, che a seguito dei suoi studi, lo hanno portato a perdere progressivamente la sua fiducia iniziale nell’infallibilità della Bibbia. Queste sono le sue parole: «In breve, lo studio del Nuovo Testamento in greco e le mie ricerche sui manoscritti che lo contengono mi condussero a un ripensamento radicale della mia interpretazione di cosa sia la Bibbia. Fu un cambiamento rivoluzionario per me. Prima d’allora, a partire dall’esperienza di rinascita [nuova nascita?] alle superiori, fino ai giorni del fondamentalismo al Moody [Moody Bible Institute di Chicago] e al periodo evangelico a Wheaton [Wheaton College di Chicago], la mia fede s’era basata su una certa visione della Bibbia in quanto parola infallibile e pienamente ispirata di Dio. Ora (dopo aver studiato nel seminario di teologia di Princeton d’indirizzo liberale) non la vedevo più in questo modo; essa cominciava ad apparirmi come un libro molto umano. Proprio come degli scribi umani avevano copiato e modificato i testi delle Sacre Scritture, così, in origine, autori umani li avevano scritti... Dal leggere la Bibbia come un programma infallibile per la nostra fede, la nostra vita e il nostro futuro al considerarla un libro umanissimo, con punti di vista molto personali, assai diversi uno dall’altro e nessuno in grado di fornire la guida sicura di come dovremmo vivere, il cambiamento è radicale. Questa è la svolta subita dalle mie convinzioni».[5]

 

5.  LA VECCHIA BUGIA CHE SI RIPRESENTA SU LARGA SCALA

     Purtroppo, il diavolo è molto abile nel farci vedere il classico «bicchiere mezzo pieno», come se fosse «mezzo vuoto», per portarci poi a vederlo vuoto del tutto. Sin dall’inizio, egli non ha smesso di dare per vera una mezza verità (che però nasconde una mezza bugia) per portarci poi a credere una bugia completa, come se fosse una verità intera. Questo è successo purtroppo quando la critica testuale, da strumento di lavoro per appurare il testo più vicino all’originale è stata eretta a strumento di giudizio della Scrittura, nella sua totalità. Così, si è iniziato a dare troppa rilevanza alle varianti (malgrado la loro irrilevanza) e al fatto stesso che esistano delle varianti, per mettere in dubbio l’ispirazione e l’inerranza della Scrittura. Ecco perché molti critici testuali, tra cui Erhman, hanno un approccio liberale alla Scrittura. Solo che, finora questo fenomeno era rimasto relegato soprattutto al mondo accademico, con i suoi pochi eruditi, ma ora si sta facendo strada fra la gente comune, mentre i cristiani preferiscono dormire «sonni tranquilli».

     In questo libro di Erhman si può vedere benissimo cosa succede quando la critica testuale viene eretta a strumento di giudizio della Parola di Dio. Si cade in una sorta di schizofrenia. Pur riconoscendo che il bicchiere è in gran parte pieno e che gran parte del testo biblico è stato ricostruito, e che questo è un fatto editoriale unico, ci si fissa sul fatto che il bicchiere non è del tutto pieno (a causa delle varianti peraltro irrilevanti) e s’inizia a dare un giudizio di merito alla Scrittura nella sua totalità, considerandola non ispirata in nessuna sua parte. La tesi d’Erhman è la seguente: visto che tutte le copie delle copie degli originali presentano molti errori (errori dei copisti), ne consegue che anche gli originali erano pieni d’errori e non ispirati. Ma egli arriva a dire qualcosa di più radicale: visto che non abbiamo i primi manoscritti originali, che senso ha parlare d’ispirazione? Se Dio ha ispirato gli originali, perché non ce li ha conservati intatti dalla prima all’ultima parola? Perché è necessaria la critica testuale per ricostruire le parole ispirate di Dio?

     Questi interrogativi sembrano di primo acchito essere disarmanti, salvo poi riflettere e capire che in realtà, la critica testuale non s’occupa di tutto, ma solo di quella parte del testo biblico che ci è stato tramandato attraverso delle copie che non sono corrispondenti in tutto e per tutto l’una con l’altra. Bisogna dunque precisare alcune cose, prima di diventare così categorici nei giudizi: ● 1. Il problema delle varianti non riguarda il testo originale, ma le copie delle copie d’esso, ed è abbastanza plausibile che tali copie, essendo state scritte a mano da persone diverse, in tempi e luoghi diversi, presentino degli errori intenzionali o meno; ● 2. Il problema delle varianti non riguarda che la minima parte del testo biblico, il che vuol dire che la gran parte del testo ispirato ci è giunto tale e quale e di ciò ne è prova proprio la grande mole di manoscritti che ci sono pervenuti, a consacrazione del fatto che Dio non si è disinteressato della trasmissione e preservazione del testo; ● 3. Lo stesso Ehrman riconosce l’irrilevanza di queste varianti quando afferma: «La gran parte d’esse è, però, del tutto irrilevante. In genere dimostra solo che gli antichi scribi non conoscevano l’ortografia meglio della maggioranza di noi».[6]

     Mi rammarico che questo libro l’abbia scritto chi vede il sole dalla parte sbagliata e quindi vede solo le zone di «ombra». Forse è venuto il momento che iniziamo anche noi a scrivere di più su tali cose, noi che vediamo il bicchiere come esso è realmente, quasi tutto pieno. Dopo il successo del Codice da Vinci, e la riscoperta degli apocrifi (Vangelo di Giuda compreso [► Riscoperto l’evangelo di Giuda: fatto sensazionale o strategia di marketing?]) da parte di molta gente comune credo che anche questo libro sulla critica testuale a uso e consumo di tutti (bugie comprese), non resterà invenduto. E noi cosa facciamo nel frattempo?

 

Sulla critica alla Bibbia e sul liberalismo teologico cfr. in Nicola Martella, Manuale Teologico dell’AT (Punto°A°Croce, Roma 2002), l’articolo «Criticismo storico», pp. 127-130s; cfr. anche «Sistemi teologici», pp. 332ss.

 

 

      [1]. Bart D. Ehrman, Gesù non l'ha mai detto (Mondadori, Milano 2007), pp. 65, 73, 205.

      [2]. J.H. Skilton, The infallible Word, citato in R. Pache, L’ispirazione e l’autorità della Bibbia (Uceb, Roma 1978), p. 186.

      [3]. Bart D. Ehrman, op. cit., p. 21.

      [4]. Ibid.

      [5]. Bart D. Ehrman, op. cit., pp. 17, 19.

      [6]. Bart D. Ehrman, op. cit., p. 16.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-Traduzioni_varianti_MT_AT.htm

26-05-2007; Aggiornamento: 12-09-2008

 

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