Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Escatologia 1

 

Bibbia (generale)

 

 

 

 

Questa opera contiene senz’altro alcune novità. Leggendo i brani escatologici della Bibbia sorgono vari interrogativi, ad esempio i seguenti:
■ I credenti, quando muoiono, vanno in cielo o in paradiso?
■ I morti nell’aldilà sono solo inattivi o anche incoscienti?
■ I bimbi morti dove vanno?
■ Se nessuno sa il giorno e l’ora dell’avvento del Messia, perché diversi cristiani hanno fatto predizioni circostanziate per il loro futuro imminente?
■ Qual è la differenza fra escatologia e utopia?
■ In che cosa si differenzia la speranza biblica dalla speranza secolarizzata di alcuni marxisti?
■ Il «rapimento» precederà o seguirà la tribolazione finale?
■ Quando risusciteranno i credenti dell’AT?
■ Il regno millenario è concreto o solo spirituale?
■ Durante il suo regno futuro col Messia regnerà sono Israele o anche la chiesa?
■ Nella nuova creazione i credenti abiteranno in cielo o sulla nuova terra?
■ Lo stagno di fuoco esisterà per sempre?
■ I morti si riconoscono nell’aldilà?
■ Non sarà noioso vivere nel nuovo mondo?
■ Ci sarà il tempo nel nuovo mondo?
■ Ci sarà il matrimonio nel nuovo mondo?
■ Eccetera...

 

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Escatologia 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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TRADUZIONI, LINGUE BIBLICHE E MENTALITÀ EBRAICA

 

 di Argentino Quintavalle

 

Dobbiamo metterci tutti il cuore in pace che qualsiasi traduzione della Bibbia è già di per se stessa un’interpretazione (o forse meglio una parafrasi).

     La lingua italiana ha più di 900.000 parole, l’ebraico ne ha 60.000. Questo significa che in media per ogni parola ebraica da tradurre ne abbiamo a disposizione 15 in italiano. Se poi il traduttore nella scelta della parola più appropriata si lascia condizionare dalla sua teologia, ci troviamo in un bel pasticcio. Le cose non sono migliori nel Nuovo Testamento perché la lingua greca si trova a esprimere dei concetti ebraici, e non sempre ci riesce. Inoltre, molte parole, in ebraico, hanno sfumature di significato che non esistono in italiano. Un esempio classico è la parola ebraica Torah che significa «istruzione, insegnamento» che viene tradotta in greco con nomos «Legge», perdendo così molto del suo significato originario. Il concetto che ha un ebreo della parola Torà è ben diverso di quello che abbiamo noi della parola Legge (nomos).

 

Per l’approfondimento del concetto «Torà» cfr. in Nicola Martella, Manuale Teologico dell’AT (Punto°A°Croce, Roma 2002), gli articoli «Insegnamento», pp. 187s; «Istruzione», pp. 198s.

 

A costo d’essere considerato immodesto, colgo l’occasione per consigliare ai nostri Istituti Biblici di non focalizzare troppo la loro attenzione sulla teologia greca ed ellenistica, correndo il rischio di non munire i loro studenti con gli strumenti adatti che permetterebbero loro di fare una seria esegesi biblica. Questa è sicuramente una dichiarazione forte, ma sin troppo vera e triste. Bisogna studiare l’ebraico, la storia, la cultura e letteratura giudaica e rabbinica anche per comprendere il Nuovo Testamento. Il Nuovo Testamento è stato scritto in greco, ma Gesù parlava in ebraico.

     Possiamo notare ciò per esempio nella parabola del «figliuol prodigo»: «E venne a suo padre; ed essendo egli ancora lontano, suo padre lo vide, e n’ebbe pietà; e corse, e gli si gettò al collo, e lo baciò. E il figliolo gli disse: “Padre, io ho peccato contro al cielo, e davanti a te, e non sono più degno d’esser chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse: “…e vestitelo, e mettetegli un anello in dito, e delle scarpe nei piedi. E menate fuori il vitello ingrassato, e ammazzatelo, e mangiamo, e rallegriamoci”» (Luca 15,20-23 versione Diodati)

     Questo passo è un eccellente esempio d’una caratteristica sintassi ebraica. Il greco, come altre lingue europee, non struttura questo genere di frase ripetendo continuamente la congiunzione «e». Il greco preferisce subordinare una proposizione indipendente alla proposizione principale della frase. Ad esempio: «Quando mi sono svegliato, mi sono vestito. Non appena fatta colazione, mi sono lavato i denti. Poi ho letto il giornale del mattino, quindi sono andato al lavoro». L’ebraico, invece, preferisce unire le proposizioni con la congiunzione «e». Per un europeo, quest’uso continuo della «e» distoglie e a volte irrita. In ebraico, l’esempio precedente sarebbe letto: «E mi sono svegliato e mi sono vestito e ho fatto colazione e ho lavato i denti e ho letto il giornale del mattino e sono andato al lavoro».

     Vediamo spesso la stessa sintassi nel Vecchio Testamento. Un esempio: «E la terra era una cosa deserta e vacua; e tenebre erano sopra la faccia dell’abisso e lo Spirito di Dio si moveva sopra la faccia dell’abisso e Iddio disse: Sia la luce. E la luce fu e Iddio vide che la luce era buona e Iddio nominò la luce Giorno, e le tenebre Notte e [trad. «così»] fu sera, e poi fu mattina, e (trad. «che») fu il primo giorno» (Gn 1,2-5 versione Diodati).

     Dove voglio arrivare con questi discorsi? Voglio arrivare a dire che delle parole che troviamo nelle nostre Bibbie non significano quello sembrano significare. Se avessimo a disposizione una traduzione ebraica, vedremmo una gamma più ampia di significati in molte della parole utilizzate. Per esempio, in ebraico, «casa» non significa solo una «abitazione», ma «patria», «famiglia», «discendenza», «tribù», «stirpe», una «scuola rabbinica» (cioè, i discepoli d’un certo maestro) e «tempio». Può anche voler dire «ricettacolo», così come «posto» o «luogo». In ebraico, «figlio» può voler dire non solo «una prole maschia», ma anche «discendente», «cittadino», «membro» e persino «discepolo».

 

Per l’approfondimento cfr. in Nicola Martella, Manuale Teologico dell’AT (Punto°A°Croce, Roma 2002), l’articolo «Lingua – mentalità – approccio al mondo», pp. 216s; cfr. anche «Globalità», p. 180.

 

Spesso intere frasi, anche interi passi, dei nostri Evangeli traducono parola per parola un originale ebraico. Quando Gesù ha mandato in missione i suoi discepoli, ha detto loro: «E in qualunque casa entriate, dite prima: “Shalom a questa casa”. E se vi è un figlio di shalom, il vostro shalom si poserà su di lui; se no, esso ritornerà a voi» (Luca 10,5,6). In italiano, è inutile parlare così, non si dice «shalom» o «pace» a una casa, né può la «pace» posarsi su qualcuno o ritornare da qualcuno. In ebraico, però, tutto questo ha un suo proprio e profondo significato.

     Questi esempi illustrano come gli idiomi ebraici sono entrati nelle nostre traduzioni quasi inosservati. La parte sfortunata della storia è che molti di questi ebraismi sono spesso inosservati dai nostri traduttori, inclusi quelli delle traduzioni più recenti.

     Nel Nuovo Testamento le parole non vogliono dire sempre quello che sembrano voler dire. Ecco alcuni esempi qui di seguito.

     ■ Ricordare: «E Dio si ricordò anche di Rachele… così ella concepì e partorì un figlio». «Ricordare» a volte significa «concedere un favore a qualcuno» o «intervenire a favore di», come in Gn 30,22s. Potremmo mai supporre che Dio abbia dimenticato Rachele e che poi improvvisamente si sia ricordato di lei? Certamente no!

     In Gn 40,14 Giuseppe ha chiesto al capo-coppiere di «ricordarsi» di lui quando sarebbe stato ripristinato nella sua posizione alla corte di Faraone. Ma il capo-coppiere non si è affatto «ricordato» di Giuseppe, anzi l’ha «dimenticato» come è dichiarato nel v. 23. Dovremmo supporre che Giuseppe abbia chiesto al capo-coppiere di ricordarsi di lui nel senso di pensarlo di tanto in tanto? No, Giuseppe chiedeva al capo-coppiere d’intercedere a suo favore con Faraone. In Luca 23,42 il ladro sulla croce fece una richiesta a Gesù: «Ricordati di me quando verrai nel tuo regno». Gesù non ha aspettato per concedere il favore. La sua risposta immediata fu: «Oggi tu sarai con me in paradiso».

     ■ Dimenticare: «Il capo-coppiere però non si ricordò di Giuseppe, ma lo dimenticò». «Dimenticare» è un’altra parola che non sempre significa quello che sembra nelle traduzioni italiane della Bibbia. Può significare «non intervenire a favore di» o «abbandonare». Come in Gn 40,23, citato sopra, il capo-coppiere «dimenticò» Giuseppe o più semplicemente, non fece niente per lui. In 1 Sm 1,11, Anna pregò il Signore di «non dimenticare» la sua serva, o abbandonarla, ma di «ricordarsi» di lei; in altre parole, di mostrarle favore con un figlio.

     ■ Cielo: «Il battesimo di Giovanni da dove veniva? dal cielo o dagli uomini?». Al tempo di Gesù, i Giudei avevano sviluppato una certa avversione a utilizzare il nome di Dio per paura di violare il terzo comandamento. Essi hanno sostituito il nome di Dio con dei sinonimi come «il Nome» (Ha Shem), «il Luogo», «la Potenza» e «Cielo» (come in Mt 21,25). Nella frase «Regno dei Cieli», questa sostituzione è vista ancora più chiaramente. In Luca 15,18 il figlio prodigo dice: «Ho peccato contro il cielo…». Qui «cielo» è un chiaro sostituto per «Dio».

     ■ Giustizia: «La mia rettitudine è vicina, la mia salvezza sarà manifestata…» (Is 51,5). In ebraico, ci sono molti sinonimi per «salvezza». La stessa parola «salvezza» è poco utilizzata (contrariamente a quello che ci si potrebbe attendere, il sostantivo «salvezza» ricorre solo sette volte negli Evangeli). Altre parole esprimono questo concetto in maniera più forte. La «rettitudine» è un sinonimo di «salvezza». Sion è chiamata «la città della giustizia» (Is 1,26). Il germoglio di Davide è chiamato «L’Eterno nostra giustizia» (Gr 23,6; 33,16). Nella sua distretta, Davide chiese a Dio di punire i suoi nemici: «Aggiungi questa colpa alla loro colpa, e non giungano mai ad aver parte della tua giustizia. Siano cancellati dal libro della vita e non siano iscritti fra i giusti» (Sal 69,27,28). Gesù ha esortato i suoi discepoli: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33). «Beati sono coloro che sono affamati e assetati di giustizia» (Mt 5,6). Di loro è il regno dei cieli (Mt 5,10).

 

Per l’approfondimento della «giustizia redentiva» e della «giustizia punitiva» cfr. in Nicola Martella, Manuale Teologico dell’AT (Punto°A°Croce, Roma 2002), l’articolo «Giustizia di Dio», pp. 178s; cfr. anche «Giustizia», pp. 177s; «Giusto», pp. 179s.

 

«Ecco il mio servo che io ho scelto; l’amato mio in cui l’anima mia si è compiaciuta. Io metterò il mio Spirito su di lui, ed egli annunzierà la giustizia alle genti» (Mt 12,18; Is 42,1). Anche la parola ebraica «giudizio» (o «giustizia») può significare «salvezza». Nello stesso modo, il verbo «giudicare» spesso significa «salvare». Quando Davide è nella distretta, egli grida, «Fammi giustizia, o Dio…» (Sal 43,1). I giudici del Vecchio Testamento erano i salvatori e i liberatori del popolo, e non solo giudici nel senso moderno della parola. Dio è chiamato «il giudice» (Gdc 11,27; Is 33,22), o «il giudice di tutta la terra» (Gn 18,25; Sal 94,2). «Giustizia e diritto formano la base del tuo trono» (Sal 89,14). Ripetutamente, il profeta Isaia usa la parola «giudizio» come sinonimo di «salvezza»: «Perciò la rettitudine è lontana da noi e la giustizia non giunge fino a noi… aspettiamo la rettitudine, ma essa non giunge; la salvezza, ma essa è lontana da noi… La rettitudine si è allontanata e la giustizia è rimasta lontana» (Is 59,9.11.14).

     Naturalmente «giudizio» non è sempre un sinonimo di «salvezza» nella Bibbia. Esso è spesso sinonimo di «distruzione» o «dannazione». Come, allora, possiamo distinguere tra i due significati? Non possiamo farlo, a meno che non siamo consapevoli che il testo che leggiamo è una traduzione dall’ebraico, e a meno che non sappiamo che la parola ebraica «giudizio» ha dei significati aggiuntivi che non esistono in italiano. Equipaggiati con tali conoscenze, possiamo fare quello che un qualunque lettore ebreo fa — decidere sulla base del contesto quale significato è richiesto alla parola «giudizio».

     ■ Ubbidire: Un altro esempio: «Mosè stesso infatti disse ai padri: "Il Signore Dio vostro susciterà per voi un profeta come me in mezzo ai vostri fratelli; ascoltatelo in tutte le cose che egli vi dirà. E avverrà che chiunque non ascolterà quel profeta, sarà distrutto tra il popolo"» (Atti 3,22s; Dt 18,15.18s). «Ascoltare», a volte significa «ubbidire», come in Luca 9,35: «Questi è il mio amato Figlio; ascoltatelo».

 

Per l’approfondimento del termine «ascoltare» cfr. in Nicola Martella, Manuale Teologico dell’AT (Punto°A°Croce, Roma 2002), l’articolo «Ascoltare (attivamente)», pp. 94s; cfr. anche «Udire intelligente», p. 370.

 

Da quel poco d’ebraismo di cui ho parlato, si può facilmente vedere l’importanza di leggere il Nuovo Testamento ebraicamente. Solo quando iniziamo a riscoprire l’ebraico che si cela dietro il greco del Nuovo Testamento (specialmente degli Evangeli) ci sarà possibile capire completamente le parole di Gesù. Si può solo sperare che presto ci sia una nuova traduzione basata su una comprensione ebraica del testo. Personalmente non ci spero molto, ma Dio può fare l’impossibile.

 

Traduzioni, lingue bibliche e mentalità ebraica? Parliamone {Nicola Martella} (T)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-Traduzioni_ebraicita_Esc.htm

26-05-2007; Aggiornamento: 10-06-07

 

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