Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Le Origini 1

 

Interpretazione biblica

 

 

 

 

L’opera si presenta in due volumi ed è organizzata come segue:

1° volume (Temi delle origini): Gli articoli introduttivi e i temi di approfondimento

2° volume (Esegesi delle origini): Il commento particolareggiato basato sul testo ebraico (comprende anche una traduzione letterale posta alla fine)

   Se si eccettua la prima parte del primo volume, che introduce a Genesi 1,1-5,1a, per il resto ambedue i volumi dell’opera sono suddivisi rispettivamente secondo le seguenti parti:
■ La creazione del mondo e dell’uomo 1,1-2,4a
■ L’essere umano nella creazione 2,4b-25
■ La caduta primordiale e il suo effetto 3
■ La fine del resoconto su Adamo 4,1-5,1a.

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

Le Origini 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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SINCRONIA E DIACRONIA

TRA DICOTOMIA E COMPLEMENTARIETÀ 2

 

 di Tonino Mele

 

■ 1. Introduzione

■ 2. Verso un nuovo concetto di metodo

■ 3. I nuovi sviluppi della linguistica

Prima parte

4. Nuovi sviluppi dell’esegesi: Aspetti teologici

5. Nuovi sviluppi dell’esegesi: Aspetti metodologici

6. Conclusione

Seconda parte

 

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Questa è la seconda parte dell'articolo di Tonino Mele. Qui di seguito si fa uso dei termini «sincronico» e «diacronico». Con «sincronico» s’intende il significato di un termine in un certo momento della storia, ad esempio al tempo del NT; mentre «diacronico» intende l’uso e lo sviluppo di un dato termine nel tempo, ad esempio durante il periodo di storia che va da Abramo a Malachia. Nella precedente parte è stato mostrata l'importanza di una complementarietà fra studio sincronico e diacronico, invece che una loro contrapposizione. Qui di seguito vengono mostrati i nuovi sviluppi teologici e metodologici dell’esegesi, che corroborano tale sinergia, invece che una dicotomia.

    Anche qui spetterà poi ai lettori verificare l'intera materia presentata, per considerarne la validità di tutti gli aspetti presentati e la loro utilità per lo studio della sacra Scrittura, affinché si «tagli rettamente la Parola della verità» (2 Tm 2,15). {Nicola Martella}

 

Se la scienza linguistica ha dovuto fare ben presto i conti (già dal 1929 con la scuola Praga) con una concezione troppo rigida dell’approccio sincronico, che, pur nella sua validità, rischiava di far arenare la ricerca su lidi desertici e sterili; anche la scienza biblica ha dovuto fare, a un certo punto, questo tipo di riflessione. Una riflessione che è avvenuta su due piani: uno più in generale, d’ordine teologico e uno strettamente metodologico. Tenere distinti questi due piani è importante perché ci aiuta ad avere una comprensione equilibrata della materia. Per contro, confondere i due piani rischierebbe di falsare la questione, perché porterebbe a dare giudizi di valore (piano teologico) su cose d’ordine metodologico e viceversa. Di seguito parleremo soprattutto di come è stata ripensata la dicotomia diacronia-sincronia nella seconda metà del secolo scorso.

 

 

4.  NUOVI SVILUPPI DELL’ESEGESI: ASPETTI TEOLOGICI: Iniziamo col piano più generale, quello teologico. In un’intervista riportata su «Essential Readings for Scholars in Religion», l’esegeta cattolico Brevard Childs ha riferito quanto segue: «Quando io pubblicai il mio commentario su Esodo nei primi anni ‘70, una preoccupazione notevole era di cercar di collegare una ricostruzione critica e storica dello sviluppo del testo col suo contenuto teologico. Per un certo tempo sembrò a molti che quel che Von Rad e la sua scuola avevano trovato era un modo appropriato, ma in modo crescente la natura speculativa della critica delle forme e l’esegesi storico-critica emersa finiva per frammentare ripetutamente il testo biblico. Poi, nel ventennio precedente [agli anni ‘70], in opposizione consapevole a tali metodi diacronici, vi fu una potente vocazione per una lettura sincronica e letteraria del testo, che all’inizio fu salutata con molto entusiasmo da molti... Comunque, divenne molto presto evidente che un modo letterario e sincronico di leggere poteva essere teologicamente inerte, come il più vecchio approccio storico… In questo contesto io cercai d’offrire nel testo un nuovo sentiero che avrebbe potuto integrare ambo le dimensioni, diacronica e sincronica, in un modo che faceva giustizia al suo ruolo canonico e sacro delle Sacre scritture».[1]

     E se noi andiamo a leggere la parte introduttiva di quest’opera esegetica, cioè Il libro dell’Esodo, l’autore spiega meglio la sua posizione, che non può non indurci a riflettere. In un paragrafo dal titolo significativo «Lo scopo dell’esegesi» egli afferma: «L’autore non condivide la posizione ermeneutica di coloro che ritengono l’esegesi biblica un’impresa oggettivo-descrittiva, regolata esclusivamente dalla critica scientifica cui il teologo può, tutt’al più, aggiungervi qualche riflessione omiletica per amor di devozione. A mio avviso, la separazione rigida tra elementi descrittivi e strutturali dellesegesi intacca alla radice il dovere teologico di capire la Bibbia. Nondimeno, è compito dello studioso che vive nella chiesa, occuparsi seriamente del testo dell’Antico Testamento nella sua collocazione originaria dentro la storia d’Israele e fare uso dei risultati ottenuti da coloro che hanno una visione del lavoro esegetico molto diversa da quella che viene proposta».[2]

     L’approccio canonico di Childs, che parte da una comprensione più globale della Scrittura, combinando diacronia e sincronia (metodo), nonché trascendenza e immanenza (principio canonico), ha avuto una buona eco anche in campo evangelico. In una recensione del suo commentario su Isaia, Nicola Martella parla dei «meriti di Childs» e a un certo punto dice: «Secondo Childs, fare l’esegesi della Bibbia come Sacra Scrittura canonica significa praticare una scienza biblico-teologica, invece che una mera storia della religione. Qui non si può che essere daccordo con lui».[3] Nella sua «Teologia del Nuovo Patto», Rinaldo Diprose, traendo spunto dall’intuizione di Childs, dedica tutto un paragrafo al «metodo canonico» e afferma: «Accostarsi alla teologia utilizzando il metodo “canonico” viene associato al lavoro di Brevard Childs… Un metodo “canonico” che tiene conto delle categorie di “promessa/adempimento”, implica il rispetto per la dimensione storico-temporale della rivelazione… gli eventi descritti nel Nuovo Testamento acquisiscono particolare significato proprio alla luce delle aspettative suscitate dai profeti dIsraele nel popolo eletto… Tenendo presente la dimensione storico-temporale della rivelazione, la tesi di Stefano, secondo cui la venuta del “giusto” ha posto nell’ombra il ruolo del tempio (At. cap. 7), non appare più come il frutto d’una polemica antigiudaica; piuttosto essa rispecchia fedelmente la nuova tappa raggiunta nella storia della salvezza».[4] Anche Donald Carson esprime parole d’apprezzamento per Childs e il suo libro «Introduction to the Old Testament as Scripture» del 1977 [già il titolo è indicativo del suo approccio globale alla Scrittura], considerandolo «autorevole» e «stimolante».[5]

     Il favore positivo incontrato in ambito evangelico dall’approccio di Childs e più in generale dal movimento della Teologia Biblica (BTM) è stato tale che ben presto il BTM e gli evangelici fondamentalisti hanno fatto fronte comune contro il liberalismo, tra cui ritroviamo in prima linea, proprio James Barr, autore del libro «Semantic of Biblical Language». Ed è interessante notare come questo dibattito si sia imperniato sulla contrapposizione diacronia-sincronia. Di tale dibattito ci fa un resoconto Rinaldo Diprose, in una recensione[6] del libro di Paul Wells «James Barr and the Bible: Critique of a New Liberalism» del 1980. Diprose afferma: «Nel suo secondo capitolo, Wells esamina le critiche che Barr muove ai metodi d’interpretazione biblica adoperati da coloro che appartengono al BTM e dai fondamentalisti. Barr crede che l’unità, che i teologi del BTM dicono di trovare nelle Scritture, sia basata su presupposti inaccettabili. Egli pensa che l’accento messo sulla rivelazione storica (Heilsgeschichte), particolarmente evidente in autori come G. E. Wright e Oscar Culmann, sia mistificante. Inoltre giudica il metodo “diacronico” di studiare le parole e i concetti ormai superato e totalmente sbagliato linguisticamente… Dato che Barr rifiuta il metodo diacronico in sé, non sorprende che egli respinga anche l’idea centrale del BTM… Tale comprensione è senza dubbio legata al fatto che Barr considera la Scrittura come prodotto dell’ispirazione umana».

     Bisogna comunque precisare che la prospettiva evangelica sull’opera di Barr è stata molto ambivalente. Di lui si è accolto il contributo metodologico allo studio della Bibbia (cioè il «Semantic of Biblical Language»), anche se con qualche distinguo, ma si sono respinti decisamente i suoi presupposti filosofici e liberali. Così Diprose, continuando la sua recensione afferma: «Wells riconosce il valore del contributo di Barr in campo esegetico. Secondo Barr l’analisi sincronica del testo deve avere il sopravvento su quella diacronica. Quindi l’elemento esegetico basilare non è costituito dalle singole parole bensì dai periodi in quanto unità grammaticali uniche». Tuttavia, come detto, si fanno dei «distinguo», che nascono dalla sensazione che si sopravvaluti troppo l’elemento linguistico, e che diventano vera e propria reazione quando si considera il presupposto filosofico-teologico di Barr. A proposito della «sensazione» appena accennata, Diprose riporta questa considerazione generale di Wells su Barr: «È probabile che Barr attribuisca troppa importanza ai fattori linguistici e culturali nello studio biblico, trascurando l’importanza del contenuto dei testi». Questa è un’impressione di tipo metodologico, il cui accenno al «contenuto dei testi» richiama però l’aspetto teologico. Così come, d’ordine teologico è la difesa che vien fatta del metodo diacronico. Nella recensione s’afferma: «A giudicare dall’uso dell’AT nel NT e dalla sostanziale continuità fra rivelazione veterotestamentaria e neotestamentaria (vedere Gal 3,16-26; Eb 12,39,40), anche il metodo diacronico, che segue lo sviluppo dei concetti dalla loro prima menzione nella Bibbia, ha la sua validità. C’è da aggiungere che il metodo diacronico riconosce l’unità sostanziale della rivelazione biblica. Barr, invece, tratta la Bibbia come una raccolta di scritti umani».

     Insomma, nel dibattito Childs-Barr, quest’ultimo pare avere ragione, finché resta sotto il piano strettamente metodologico, indicando nel metodo sincronico, il metodo più valido per studiare i testi della Scrittura. Del resto Childs non ha mai negato il valore del metodo sincronico. Ha negato il fatto che debba restare da solo. Ha optato per la complementarietà. Per cui, quando Barr assume un atteggiamento dicotomico ed esclusivista, nasce il sospetto se non stia sopravvalutando troppo il metodo e lo stia caricando d’una funzione che esso non ha e non può avere. Questo non fa più parte «dell’arco semantico» della parola, direbbe il già citato Marshall. Si sta confondendo tra metodo e merito, giudizi di metodo e giudizi di valore, metodi e principi. L’ermeneutica attiene anzitutto ai principi e poi ai metodi. Usare il metodo come un a priori diventa aprioristico. Jonathan Terino ha scritto in merito cose interessanti: «Le testimonianze empiriche sono finalizzate all’a priori della Rivelazione, la quale stabilisce i termini e gli obiettivi della riflessione… La questione dipende dalla portata delle testimonianze, dal loro contesto semantico. La parola è decisiva, ma deve essere valutata entro un complesso di relazioni più ampie che non è semplicemente linguistico… Quali affermazioni di natura letteraria e storica sono determinanti per il Credo e la fede biblica, quali sono invece contingenti e irrilevanti? Solo la teologia può decidere».[7]

     Qui non si tratta di favorire l’approccio dogmatico rispetto a quello biblico-esegetico. Infatti Terino stesso precisa: «Per “posizione dogmatica” il critico non intenderà dipendenza da dichiarazioni formali estrapolate dal loro contesto semantico».[8] Qui si tratta d’avere verso la Bibbia non solo un approccio settoriale e immanente, come documento umano da studiare in modo sincronico, ma un approccio globale che tenga conto del suo carattere soprannaturale e storico, oltre che linguistico. Barr non ammetteva condizionamenti di nessun tipo nello studio del singolo testo, nessuna sovrastruttura, sia che venisse dalla teologia, che da altre parti della Bibbia stessa. Ed in parte la sua posizione non può che essere condivisibile, visti gli abusi «versettologici» che spesso si fanno. Tuttavia, neppure Barr ha potuto evitare il problema dei «presupposti». Contrapponendo in modo rigido il metodo sincronico a quello diacronico, l’elemento linguistico e immanente a quello teologico e trascendente, fino a negare il carattere ispirato, soprannaturale, canonico, autorevole e inerrante delle Scritture, ha finito per elevare il metodo a principio, a presupposto auto-fondante. Il suo metodo, anche se supportato da argomenti linguistici validi, è stato eretto a principio ermeneutico delle Scritture, diventando esso stesso una sovrastruttura ideologica del testo.

     Ora, però, il metodo sincronico deve restare un metodo, un approccio procedurale parziale e provvisorio, che deve trovare altrove il suo principio fondante e la sua finalità ultima. Non possiamo accostarci al singolo testo senza una «pre-comprensione», un «a priori», una serie di «presupposti» che vengono dalla Rivelazione presa nel suo insieme. Diprose ha espresso molto felicemente questo concetto: «Per comprendere la Bibbia è necessario scoprire dalla Bibbia stessa quali siano gli interessi di fondo e ciò che essa dà per certo (i suoi presupposti)».[9] E indica fra questi presupposti i seguenti: ▪ 1. L’origine divina delle Sacre Scritture; ▪ 2. Il tema di fondo è la storia della salvezza, a opera di Dio; ▪ 3. L’interprete per eccellenza della Sacra Scrittura è lo Spirito Santo.[10] Anche Childs ha detto qualcosa del genere: «La storia della rivelazione può essere percepita nel modo più completo nella forma finale del testo biblico».[11] In definitiva, Childs non aveva tutti i torti: tra l’atomizzazione del metodo storico-critico (approccio diacronico) e l’isolazionismo del metodo sincronico di Barr ha preso una terza via, quella della complementarietà e dell’integrazione metodologica, partendo da un presupposto a noi molto caro, cioè il presupposto canonico. Childs ha avuto i suoi limiti nel percorrere questa via, ma la via è quella giusta.

 

 

5.  NUOVI SVILUPPI DELL’ESEGESI: ASPETTI METODOLOGICI: Se sotto il profilo teologico si è «ripensato» il rapporto tra linguistica ed esegesi, facendo degli opportuni distinguo tra principio e metodo, sotto il profilo metodologico il rapporto è continuato pressoché ininterrotto. L’esegesi infatti, ha continuato a servirsi delle nuove acquisizioni della linguistica con importanti risultati soprattutto nel campo delle traduzioni della Bibbia. Anche qui si può notare quanto abbiamo già visto per gli sviluppi della linguistica, ossia il graduale abbandono d’una visione dicotomica della coppia diacronia-sincronia, a favore d’un uso più complementare dei metodi di studio. Valdo Bertalot, nel suo libro «Tradurre la Bibbia» afferma: «Nel passato la linguistica ha avuto anche limiti ristretti; essa ha ricercato più l’oggettività dei metodi d’analisi che la comprensione dell’evento linguistico, soprattutto nel suo aspetto culturale, ricco invece di particolare valore. Al contrario, oggi la stessa scienza linguistica ritiene linterdisciplinarità un requisito importante della sua ricerca… Si definisce oggi un messaggio come l’insieme dei significati dell’enunciato che si fondano essenzialmente su una ricerca extralinguistica, che è più vasto della semplice somma dei segni linguistici che lo compongono… Inoltre la lingua non è una realtà omogenea. Si presenta come un insieme di varietà diverse tra loro (linguaggio comune, specializzato, intimo, formale, ecc.)».[12]

     Abbiamo già accennato al ruolo che ha avuto la ritrovata libertà metodologica per le ricerche portate avanti da Jakobson sul valore connotativo d’una lingua. Questo è uno sviluppo che riguarda molto da vicino l’esegesi della Bibbia perché ci aiuta ad apprezzare meglio le sue sfumature. Bertalot distingue tra sfumature «al livello della parola», che chiama connotazioni, e sfumature «al livello dell’enunciato e del paragrafo», che chiama funzioni del linguaggio. Le connotazioni sono «la parte soggettiva del significato d’una parola… e include tutti gli altri tratti distintivi del significato, che possono essere o non essere aggiunti alla denotazione[13] e che sono percepiti dall’ascoltatore. Nella frase: “Io mangio una mela”, il termine “mela” si riferisce, per denotazione al frutto d’un certo tipo d’albero, mentre per connotazione, riguarda la realtà contadina che produce quel frutto o la tentazione biblica di Adamo ed Eva o altro ancora».[14] Il linguaggio della Bibbia, in particolare l’Antico Testamento è molto connotativo come afferma ancora Bertalot: «La Bibbia ebraica… è senz’altro un’opera letteraria, ma non in maniera esclusiva; ha una forte incidenza di connotazione, ha una pluralità di generi e di stili dalle importanti caratteristiche».[15]

     Importanti sono anche le funzioni del linguaggio. Jakobson né indicava sei. «La funzione “emotiva sottolinea l’atteggiamento del parlante nella comunicazione. La funzione “referenziale o informativa si riferisce al contesto della comunicazione. La funzione “poetica indica il modo in cui il messaggio si struttura formalmente, comprendendo anche le caratteristiche strutturali della poesia. La funzione “fàtica del linguaggio è costituita da quegli enunciati che stabiliscono un contatto tra il parlante e l’ascoltatore. La funzione “metalinguistica si ha quando il linguaggio adopera se stesso per descrivere la sua struttura. La funzione “conativa del linguaggio sottolinea il ruolo dell’ascoltatore, quando si vuole per esempio influenzare il comportamento dell’ascoltatore con un ordine».[16] Ricerche di linguistica più recenti hanno «superato le posizioni acquisite da Jakobson», talché «il numero delle funzioni non è più limitato a sei», ma viene considerato «in base agli usi effettivi».

     Come la connotazione, anche le funzioni del linguaggio sono molto utili ai fini d’una miglior comprensione delle Scritture, soprattutto dei Salmi e della poesia biblica in genere.

     Bertalot afferma: «Ora nella traduzione biblica, si cerca di recuperare le varie funzioni nel testo, specie nei Salmi». Ma non solo i Salmi possono essere interessati da questi studi linguistici, anche gran parte dell’Antico Testamento. Bertalot infatti aggiunge: «L’A.T. esprime in poesia la sua storia, le sue leggi, la sua morale, la sua fede. Certamente in italiano una sentenza di condanna non è strutturata in termini di poesia, come invece leggiamo nel libro d’Amos».[17]

     Questi aspetti soggettivi del linguaggio (connotazione e funzioni) all’inizio sono stati percepiti come un ostacolo insormontabile ai fini della traduzione. Si pensava di poter tradurre solo l’elemento denotativo del linguaggio, colto anzitutto nella sua dimensione sincronica, nelle connessioni del testo. Poi c’è stata una svolta, quando si è iniziato a concepire il linguaggio in termini meno oggettivi e statici, ma soggettivi e dinamici. Si è iniziato a considerare la dimensione «sociale» del linguaggio. Al riguardo Bertalot scrive: «La descrizione del linguaggio in funzione d’una situazione in cui vi sono il parlante, il messaggio e l’ascoltatore, pone esattamente il problema linguistico in termini sociali. Il linguaggio non vuole riprodurre la stessa esperienza del parlante nei confronti dell’ascoltatore, ma comunicare quegli elementi invariabili che permettono all’ascoltatore d’individuare l’esperienza del parlante… In seguito a questa precisazione la linguistica valuta i vari aspetti d’una situazione in rapporto alla loro socialità… l’ostacolo quasi insormontabile delle connotazioni risulta superabile. La connotazione ha anch’essa un grado di socialità più o meno elevato, la descrizione etnografica o filologica indica il grado di socialità della connotazione d’una parola».[18] Si ricuperano così gli aspetti extralinguisti ed extratestuali del discorso, come la socialità e l’etnografia e s’usano metodi diacronici come la filologia per studiare l’elemento connotativo del testo biblico.

     E dobbiamo essere grati a questa svolta metodologica verso la complementarietà, se oggi possiamo recuperare importanti sfumature e funzioni del linguaggio biblico.

 

 

6.  CONCLUSIONE: Dio ha parlato nella storia, e le Scritture ne sono la trasposizione fedele. Questo è il presupposto fondante d’ogni metodo di studio della Bibbia «adeguato al suo oggetto». Tale metodo sarà «adeguato» se saprà cogliere l’elemento unificante di questa Parola, che attraversa il tempo e la storia, in quanto espressione della trascendenza e dell’eternità del parlante, che è l’eterno Dio. La semantica di questa Parola non può essere riferita al singolo testo, al singolo momento, alla singola parola, per cui non può essere colta in modo sincronico. In altre parole, l’approccio sincronico non ci da la dimensione definitiva e assoluta di questa Parola. Tuttavia, questa Parola è stata pronunciata in parole, in momenti precisi e in testi circostanziati, per venire incontro alla natura immanente e storicamente determinata del destinatario di questa Parola, cioè l’uomo. Qui l’approccio non può che essere sincronico e la finalità di questo approccio è quella di definire la semantica della singola parola, del singolo testo, del singolo momento. Ma anche nel singolo momento e nel singolo testo, noi ritroviamo l’elemento teologico, trascendente ed eterno. Anche lì troviamo la Parola eterna, che non può essere colta solo in modo linguistico, o in modo rigidamente sincronico. Anche nella singola parte troviamo una forte eco e un forte richiamo al tutto.

     A scanso d’equivoci e per evitare altre fughe in avanti, ribadisco che qui non si è discusso ne posto in discussione la validità del metodo sincronico, ma una sua sopravvalutazione. Esso è una importante acquisizione dell’esegesi moderna, seppur mutuata dalla linguistica. Ma rimane un metodo, da usare con discrezione e non come una camicia di forza metodologica. Esso dev’essere considerato un’ancella al servizio dell’esegesi e non una sovrastruttura ideologica dell’esegesi. L’esegeta deve essere lasciato libero di scoprire il suo percorso esegetico, in base all’evidenza del suo oggetto di studio. È stato detto: «Nessun oggetto di ricerca può essere ben compreso, se non da un modo di conoscere adeguato al suo oggetto». E questa considerazione viene prima anche del metodo sincronico.

     «È ovvio che la Bibbia... è un patrimonio culturale per tutta l’umanità. Possono... vagliare le singole espressioni scritte: lo storico... l’archeologo... il filologo... il linguista. Ed ognuno può offrire le riflessioni pertinenti a seconda del metodo d’approccio... Non si può a priori scongiurare il rischio che il singolo studioso, dal proprio punto di vista sconfini; e alla risposta richiesta dia un valore così globale e così totalizzante, da pretendere da un angolo parziale e ben delimitato di dire ciò che la Bibbia può dare nella sua totalità d’essere e di senso. È una conclusione non preventiva e non corretta; certamente impertinente e disorientante».[19] Che sulla scia di Saussure, Barr abbia «sconfinato» esagerando l’elemento arbitrario della lingua, ce lo mostra lo stesso Silva, il quale ha contestato la posizione di Barr, affermando che l’autonomia della lingua non è assoluta ed esistono connessioni universali tra le lingue che rendono possibili le traduzioni.[20] Inoltre, si è contestato il fatto che certi termini tecnici presenti nella Bibbia s’apprezzano meglio con uno studio diacronico piuttosto che sincronico. Lo stesso dicasi dei brani rievocativi (citazioni e allusioni all’AT): essi richiedono uno studio diacronico. Lo stesso dicasi degli Evangeli, dove l’autore scrive anni dopo i fatti narrati: qui bisogna tornare indietro nel tempo, a quando i fatti son accaduti. Martella parla anche d’uno «sviluppo terminologico», talché «il linguaggio usato dai profeti più antichi influenzò quelli più recenti. Anzi, in certi casi, le immagini dell’uno, divennero in seguito dei veri e propri termini tecnici».[21]

     A proposito della complementarietà tra approccio diacronico e sincronico, l’esegeta cattolico Giuseppe Barbaglio ha scritto: «Possiamo applicare il metodo diacronico e quello sincronico a un unico testo. Per esempio ai capitoli 10 e 11 degli Atti. La lettura diacronica illustra storicamente il problema dei pagani e dei giudei. La lettura sincronica individua la struttura della entrata-uscita, cioè che la chiesa deve uscire dal ghetto e aprirsi al mondo. Le due letture pervengono allo stesso risultato. Naturalmente questa convergenza ci dà una garanzia in più che la lettura è fatta bene. Il limite della lettura sincronica è che non si situa il testo nella storia».[22] Anche Giuseppe Segalla pare seguire una prospettiva complementarista nello studio dei sinottici: «La critica redazionale usa un metodo diacronico, l’analisi strutturale quello sincronico, l’analisi socio-culturale quello funzionale. È dall’uso concertato e critico di questi metodi, senza che l’uno escluda l’altro che si può arrivare a delle conclusioni plausibili sul ruolo e la teologia degli evangelisti nella composizione del loro vangelo».[23]

     Personalmente studio la Bibbia per libri dello stesso autore, studiandoli in modo consecutivo. Prima faccio lo studio panoramico del singolo libro, cercando di capire la dinamica del libro, in base all’autore, ai destinatari, alla situazione d’entrambi, allo scopo, al messaggio e al tema del libro. In questa sede mi ricostruisco il linguaggio e la struttura del libro in base alle parole che più si ripetono e che più sono connesse allo scopo del libro. Finito questo studio introduttivo al libro nel suo insieme, passo a studiare i singoli brani della struttura, precisando il senso delle parole in base al contesto immediato, in cui compaiono, o in base al contesto di tutto il libro o d’altri scritti dello stesso autore. Raramente m’allargo fino a includere uno studio più diacronico delle singole parole, ma non per ragioni metodologiche, quanto per mancanza di tempo. Quando però trovo il tempo di farlo, lo trovo interessante, arricchente e talvolta risolutivo. Non vedo dunque perché dovrei trattare questo metodo in modo dicotomico e non complementare a quello sincronico. Non solo questi metodi non s’escludono, ma si possono completare, e comunque non sarà mai l’elevazione aprioristica d’un metodo e l’abbassamento pregiudiziale d’un altro, che mi priveranno della libertà di valutare e scegliere di volta in volta, il metodo più appropriato al mio oggetto di studio.

     Mi trovo dinanzi a un testo letterario? Un testo poetico? Un testo con un alto grado di connotazione? Qui non è solo la convenzione linguistica che conta, ma anche l’abilità creativa dell’autore, che in modo originale, soggettivo e dinamico combina parole e sfumature diverse. Qui l’analisi non può essere solo linguistica, ma anche stilistica, non solo sincronica, ma anche diacronica, perché il linguaggio non è solo denotativo, ma anche connotativo ed evocativo.

     Mi trovo dinanzi a un testo degli Evangeli? Esso è un resoconto attuale d’un fatto passato. Il fatto riguarda un tempo, situazioni e protagonisti diversi dal tempo, situazioni e protagonisti coinvolti dal resoconto. Da dove devo trarre la struttura, in cui inserire l’arco semantico delle parole? Può l’analisi lessicale da sola rispondere a questa domanda? Non si deve fare a monte una «critica redazionale» che è diacronica?

     Inoltre, l’elemento arbitrario d’una lingua, scoperto da Saussure e rilanciato da Barr, ma in parte mitigato dalla linguistica successiva, con la scoperta degli «universali linguistici», non trascura anche l’elemento di continuità del linguaggio biblico, dovuto alla tradizione orale, alla trasmissione orale e scritta, all’insegnamento e alla ripetizione degli stessi concetti, che alla fine si possono chiamare «tecnici»? Se l’elemento fondante della concettualità biblica è la Parola eterna di Dio, attorno alla quale sono nate scuole e istituzioni come la sinagoga con lo scopo dichiarato di tramandare e perpetuare questa Parola nel tempo, quale può essere il grado d’arbitrarietà della lingua della Bibbia? Siamo d’accordo che bisogna fare i conti col contesto in cui viene usata, perché è soprattutto quello che ci deve indicare l’uso che se ne fa. Ma chi può escludere che il retaggio teologico d’una parola «tecnica» non sia presupposto, anche se non espressamente esplicitato nel testo? Lo può escludere a priori un metodo che parte dal preconcetto che la lingua è arbitraria, cioè quello sincronico, oppure lo deve escludere un metodo che tiene conto della continuità e dell’alta tecnicità delle parole? Non è meglio verificare questo fatto con tutti e due i metodi? E non è più giusto che l’esegeta, sia libero d’usarli entrambi?

     Limitare la libertà dell’esegeta con camicie di forza metodologiche non significa anche, in qualche modo limitare la guida dello Spirito Santo che vuol illuminare l’esegeta? Su cosa cade questa illuminazione? Sul metodo o sull’esegeta? Qualcuno direbbe sul testo. Ma forse è più giusto dire sull’esegeta, e questo spiegherebbe perché Dio ha preservato la sua chiesa nella verità anche prima dei moderni metodi di studio della Bibbia.

 



[1]. Brevard Childs, Essential Readings for Scholars in Religion (Westminster John Knox Press, Fall 2000).

[2]. Brevard Childs, Il libro dell’Esodo (Piemme, Casale Monferrato 1995), p. 11.

[3]. Nicola Martella, «Il commentario su “Isaia” di B. S. Childs considerato alla luce del suo approccio teologico», Lux Biblica 33 (IBEI, Roma 2006), p. 145.

[4]. Rinaldo Diprose, «La teologia del Nuovo Patto», Lux Biblica 26 (IBEI, Roma 2002), pp. 10-13.

[5]. Donald A. Carson, «L’ermeneutica: una breve valutazione di alcune tendenze recenti», Studi di Teologia 12 (1a serie; IBE, Roma 1983), p. 232. articolo pubblicato originariamente su Themelios nel 1980.

[6]. Rinaldo Diprose, «James Barr e la Bibbia: valutazione Critica di Paul R. Wells», Studi di Teologia 9 (1a serie; IBE, Roma 1982), pp. 122-138.

[7]. Jonathan Terino, «Reazioni liberali al fondamentalismo», Studi di teologia 4 (nuova serie; IFED, Padova 1990), pp. 186-189.

[8]. Ibid, p. 189.

[9]. AA.VV., Colonna e sostegno della verità (UCEB, Fondi 1984), p. 23.

[10]. Ibid, pp. 25-32.

[11]. Brevard Childs, Biblical Theology in crisis (Philadelphia, Westminster 1970), p. 75; citato in Lux Biblica 3, p. 112.

[12]. Valdo Bertalot, Tradurre la Bibbia (Elle Di Ci, Torino 1980), p. 43.

[13]. Denotazione è «la parte oggettiva del significato di una parola… e include la quantità minima di tratti oggettivi comuni grazie ai quali si può definire un termine».

[14]. Valdo Bertalot, Tradurre la Bibbia (Elle Di Ci, Torino 1980), p. 34.

[15]. Ibid, p. 44.

[16]. Ibid, p. 35.

[17]. Ibid, p. 90.

[18]. Ibid, pp. 37.42.

[19]. Luciano Pacomio, L’esegesi cristiana oggi (Piemme, Casale Monferrato 1991), p. 6.

[20]. Pietro Bolognesi, Repertorio bibliografico su Bibbia e teologia (IFED, Padova 1993), p. 41.

[21]. Nicola Martella, Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), p. 63.

[22]. Giuseppe Barbaglio, Leggere la Bibbia (Relazione tenuta a Verbania Pallanza, 23-24 Novembre 1979).

[23]. Giuseppe Segalla, Problemi e prospettive di scienze Bibliche (Queriniana, Breascia 1981), p. 313.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-Sincron_diacro_complement2_Ori.htm

08-06-2010; Aggiornamento: 29-06-2010

 

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