«…Avanzava pel
campo direttamente, con una lentezza misurata. Gli copriva il capo una berretta
di lana verde e nera con due ali che scendevano lungo gli orecchi, all’antica
foggia grigia, un sàccolo bianco gli pendeva dal collo per una striscia di
cuoio, scendendogli davanti alla cintura, pieno di grano. Con la manca teneva
aperto il sacco, con la destra prendeva la semenza e la spargeva. Il suo gesto
era largo e sapiente, moderato da un ritmo uguale. Il grano, invallandosi dal
pugno, brillava come faville d’oro e cadeva sulle zolle umide, egualmente
ripartito. Il seminatore avanzava con lentezza, affondando i piedi umidi nella
terra cedevole, levando il capo nella santità della luce. Il suo gesto era
largo, gagliardo, sapiente, tutta la sua persona era semplice, sacra e
grandiosa…».
Così scriveva lo scrittore Gabriele D’Annunzio nel suo romanzo
«L’innocente» del 1892, intento a descrivere il duro lavoro del contadino
nell’atto del seminare, dal cui raccolto, che resta sempre incerto, trae il
sostentamento per sé e per la sua famiglia. Similmente è suggestivo «Il
Seminatore al tramonto» (1888), un dipinto a olio di Vincent Van Gogh. In
esso campeggia il giallo del sole e il viola del campo oltre che della figura
del contadino. Una scena di fatica contadina portata avanti sotto un sole
ancora caldo. La semina era fatta manualmente fino a qualche tempo fa. In genere
a Ottobre i contadini, tenendo un sacco di semi a tracolla, come l’agricoltore
del dipinto di Van Gogh andavano nei campi e, procedendo lentamente, spargevano
i semi a destra o a sinistra, con il lungo gesto del braccio.
Sia il testo di D’annunzio che il dipinto di Van Gogh ci richiamano, non certo
senza fascino, la parabola evangelica del seminatore tramandata dai
Vangeli sinottici. Se seguiamo il testo di Marco possiamo notare che la
narrazione parabolica è preceduta da racconti, che fanno risaltare
l’incredulità della classe religiosa dirigente d’Israele e persino della
sua famiglia, che lo crede addirittura pazzo. Il tema centrale del racconto
parabolico di Marco 4 è il seme. La cornice dentro la quale si snoda
l’insegnamento di Gesù, è la riva del Mar di Galilea o Lago di
Gennesaret, dove s’accalcava una folla numerosa per ascoltare Gesù seduto su una
barca, che sembra essere una sorta di pulpito galleggiante. La folla appare
essere più duttile nel ricevere l’insegnamento di Gesù, contrariamente ai capi
religiosi, che lo avversavano. Egli inizia a insegnare, raccontando la parabola
del seminatore.
Gesù esordisce invitando l’uditorio all’ascolto solenne della Parola di Dio.
Egli dice: «Ascoltate…». Con questo imperativo Gesù non intende
richiamare l’uditorio a stare attenti come l’insegnante richiede l’attenzione
dei suoi alunni. L’invito di Gesù ad ascoltare è un appello alla folla di
Galilea perché sappia riconoscere l’ora della storia della salvezza che
Dio ha riservato a essa. Gesù chiede alla folla di porre la loro attenzione,
perché egli sta per dire qualcosa di grande importanza. Si può considerare qui
l’imperativo antico-testamentario di Dio al singolare: «Ascolta Israele: il
Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con
tutto il tuo cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze…» (Dt 6,4-6),
come un tempo fece sentire Mosè; Gesù, però, superando l’antica legge, propone
alla folla il disegno di Dio.
Di seguito, Gesù narra diverse storielle tratte dalla vita dei campi. La prima
delle quali è quella che a noi interessa particolarmente. È la cosiddetta «parabola
del seminatore» o la parabola dei diversi terreni. Se noi osserviamo
attentamente l’azione del seminatore, cogliamo una tecnica della semina
scriteriata secondo la metodologia occidentale della seminagione. Secondo la
parabola la semina avviene prima dell’aratura. Ed è in effetti questa
tecnica che prevale nella Palestina del tempo. La seminagione avveniva a
Novembre, quando le prime piogge avevano reso umido il terreno disseccato. La
semenza era sparsa nei campi prima dell’aratura. Il seminatore attraversava il
campo pieno di stoppie, gettando il seme sui
viottoli tracciati dagli avventurieri, perché il suo intento era quello
d’arare anche quelli. Egli dissemina il suo seme anche tra la sterpaglia
per sotterrarla insieme col seme. È sorprendente che molti chicchi cadessero
sulla roccia, ma non stupefacente, se noi consideriamo che spesso le
rocce calcaree erano coperte da un sottile strato di terreno molliccio, di modo
che era difficile riuscire a distinguerle dal resto del campo. Il narratore
della parabola presenta complessivamente un terreno frastagliato, su cui
egli semina: la strada tutta calpestata, la roccia, il terreno ricoperto di
spine e il terreno buono, offrendo condizioni del tutto differenti per la
crescita del seme. I chicchi seminati sulla
strada sono divorati dagli uccelli prima dell’aratura. Sulla roccia
il seme non può mettere radici profonde: esso viene fatto seccare dal calore
dei raggi del sole. Anche il seme gettato tra le spine non ha migliore
sorte: esso viene soffocato dalle spine. Solo il seme caduto sul
terreno buono porta frutto, rendendo il trenta, il sessanta e il cento.
Che cosa vuole trasmettere Gesù con una siffatta piacevole storiella? Questa
parabola è intesa come una parabola di contrasto. Da un lato in essa è
descritta il lavoro spesso infruttuoso del contadino, dall’altro contrappone al
maggese incolto il campo con i frutti maturi. Gesù è ottimista
nonostante la predicazione sembra essere a volte infruttuosa e priva di
successo: il Regno di Dio registrerà un raccolto tanto ricco da superare ogni
aspettativa. Il punto di paragone della parabola non è il seminatore, ma
il terreno. Benché il terreno non sia ideale e molti semi, che vi germogliano,
non portano frutto, il raccolto è comunque ricco. La parabola infatti finisce
con una nota incoraggiante: il Regno ha uno sviluppo inarrestabile, cresce e
produce. Dio è al lavoro in Gesù, e il Vangelo produce frutto al di là
dell’apparente fallimento.
La parabola assume un duplice significato. Per prima cosa, l’Evangelo è
un messaggio di vita, che incide profondamente nelle strutture sociali e
negli uomini, a cui esso è rivolto. Come allora anche adesso sono molteplici le
forze oppositrici all’Evangelo: il benessere, il facile e dissacrante
edonismo, l’ateismo, l’assoluta fiducia nella ragione e nella scienza, senza
contare il formalismo religioso e alcune religioni aggressive, apertamente
ostili al cristianesimo. Ma queste forze ostili all’Evangelo, per quanto
poderosa e feroce possa essere la loro opposizione, tuttavia non impediscono
l’avanzata e l’affermazione dell’Evangelo. Come il Messia-Seminatore era
ottimista, credendo che l’annuncio dell’Evangelo avrebbe portato successo,
nonostante l’apparente fallimento iniziale, così i cristiani mostrano fiducia e
ottimismo nell’annuncio dell’Evangelo in un ambiente ostile, incassando anche
umilianti insuccessi; infatti, nonostante tutto, il Dio nascosto, che agisce
nella persona, nell’insegnamento e nell’opera di Gesù, renderà fruttuosa la
fatica
dei cristiani-seminatori (non dimentichiamo che è particolarmente prezioso
il sangue versato dei testimoni di Gesù, perché esso è frumento santo, che rende
la semente fruttuosa, attraverso cui biondeggiano i campi arati della società
umana).
In secondo luogo, l’ascolto dell’Evangelo è anche un momento di verifica
della profonda incisività d’esso nella vita del credente. A quale livello è
caduto il seme di vita nella vita del cristiano? Esso è penetrato nei
meandri della vita interiore, oppure ha appena scalfito l’emotività, ha appena
stuzzicato l’intelletto? L’adesione all’Evangelo è stata una semplice
adesione intellettuale o una rabbiosa reazione alla religiosità
istituzionale, come può essere il cattolicesimo in Italia, o l’anglicanesimo in
Inghilterra, il luteranesimo in Germania? Detto in altre parole, esso ha
iniziato un profondo e radicale processo di rinnovamento interiore, che
si traduce in pensiero, azione e condotta, che conferiscono quasi «un corpo»
alla fede?
La «parabola del seminatore» si staglia dunque su due binari. Essa
incoraggia il credente-seminatore a persistere nel processo di
seminagione, perché «chi semina con le lacrime mieterà con giubilo.
Nell’andare, se ne va e piange, portando la semenza da gettare, ma nel tornare
viene con giubilo, portando i suoi covoni» (Salmo 126,5-6). Nello stesso
tempo c’interroga: A che profondità è caduto il seme della libertà? «Se
rimanete fedeli alla mia parola, sarete miei discepoli, conoscerete la verità e
la verità vi farà liberi» (Gv 8,31-32).
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-Seminatore_liberta_Avv.htm
23-04-2010; Aggiornamento: |