Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Offensiva intorno a Gesù 1

 

Antico Testamento

 

 

 

 

«Chi dice la gente ch’io sia?» — Offensiva intorno a Gesù 1: È ciò che dicono gli altri su Gesù.

Ecco le parti principali:
■ Gesù nei mass-media
■ Gesù fra teologia e filosofia
■ Gesù fra filosofia e ideologia
■ Gesù fra ideologie e religioni
■ Excursus: La via che porta a Dio

 

«E voi, chi dite ch’io sia?» — Offensiva intorno a Gesù 2: È ciò che la Bibbia dice su Gesù.

Ecco le parti principali:
■ Gesù nella Bibbia e nella storia
■ La questione giudaica
■ Aspetti conclusivi (Gesù e le donne, Il Gesù sacramentale, Interrogativi)
■ Dizionarietto dei termini

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

 Offensiva intorno a Gesù 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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SALMO 22 (2a parte)

«PERCHÉ MI HAI ABBANDONATO?» (Marco 15,34)

 

 di Desiderio Bereani

 

Articoli: [1] [2] [3] [4]

 

2a PARTE: SALMO 22,1-18

 

1. Il testo

2. Alcune note introduttive

3. L’esposizione

 

Clicca sulle frecce iniziali per andare avanti e indietro.

 

 

1.  IL TESTO: Riportiamo integralmente la prima parte del Salmo, per poi commentarla. I numeri indicano la suddivisione in versetti.

 

«Al direttore del coro. Su “Cerva dell’aurora”. Salmo di Davide. 1 Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito!2 Dio mio, io grido di giorno, ma tu non rispondi, e anche di notte senza interruzione.3 Eppure tu sei il Santo, siedi circondato dalle lodi d’Israele.4 I nostri padri confidarono in te; confidarono e tu li liberasti.5 Gridarono a te e furono salvati; confidarono in te, e non furono delusi.6 Ma io sono un verme e non un uomo, l’infamia degli uomini, e il disprezzato dal popolo. 7 Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo: 8 Egli si affida al Signore; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce!9 Sì, tu m’hai tratto dal grembo materno; m’hai fatto riposar fiducioso sulle mammelle di mia madre.10 A te fui affidato fin dalla mia nascita, tu sei il mio Dio fin dal grembo di mia madre.11 Non allontanarti da me, perché l’angoscia è vicina, e non c’è alcuno che m’aiuti.12 Grossi tori m’hanno circondato; potenti tori di Basan m’hanno attorniato; 13 aprono la loro gola contro di me, come un leone rapace e ruggente. 14 Io sono come acqua che si sparge, e tutte le mie ossa sono slogate; il mio cuore è come la cera, si scioglie in mezzo alle mie viscere.15 Il mio vigore s’inaridisce come terra cotta, e la lingua mi si attacca al palato; tu m’hai posto nella polvere della morte.16 Poiché cani mi hanno circondato; una folla di malfattori m’ha attorniato; m’hanno forato le mani e i piedi.17 Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e mi osservano:18 spartiscono fra loro le mie vesti e tirano a sorte la mia tunica» (Sal 22,1-18).

 

 

2.  ALCUNE NOTE INTRODUTTIVE

     ■ «Salmo»: I salmi sono stati concepiti come canti corali da eseguire nel tempio, riflettevano perciò un sentimento collettivo (oltre che individuale). In questo salmo, poi (come in diversi altri), la vocazione collettiva è esplicita, essendo indirizzato «al direttore del coro» del tempio. Essendo canti, coinvolgevano non solo i pensieri, ma anche i sentimenti: insomma, erano una specie di canzoni del tempo e ben conosciamo l’effetto trascinante che questo genere di composizione può avere.

     ■ «Salmo 22»: Questa composizione si colloca subito prima di quello più conosciuto e amato: il Salmo 23 («L’Eterno è il mio pastore, nulla mi mancherà…»). Il Salmo 22 parla dell’abbandono di Dio, mentre il 23 della sua cura: bisogna far attenzione a non focalizzarci troppo su uno solo dei due, che sono entrambi di Davide e ne riflettono in qualche modo l’esperienza, fatta di gloria e di protezione divina, ma anche di accanita persecuzione e di sofferenza (vedi 1 Sam 16 e capp. seguenti).

     ■ «Su “Cerva dell’aurora”»: Altri, più esplicitamente, traduce: «Sulla melodia “La cerva dell’aurora”» (TILC). Ciò significa che questo salmo usava la musica di un altro canto già noto, al quale sostituiva le parole. Non conosciamo il canto «Cerva dell’aurora», ma il titolo (che era dato dalla sua prima frase) evoca un quadro di dolce poesia, che si contrappone all’inizio del Salmo 22 Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»). Quando una musica ha due testi, nel cantarne uno viene naturale pensare anche all’altro: sembra che nell’esprimere la notte del nostro animo, insomma, ci sia mescolato l’invito a ricordarci che, dopo la notte, c’è l’alba.

     ■ «Salmo di Davide»: Davide parla in prima persona («Dio mio, perché mi hai abbandonato»), ma ciò che esprime non riguarda solo lui. Oltre a estendersi alle altre persone del suo tempo (e di tutti i tempi), l’esperienza personale di Davide anticipa e sconfina in quella di Cristo, definito spesso come «Figlio di Davide» (vedere, per esempio, Mt 1,1; 9,27; 12,23). In altre parole, quando Davide parla di se stesso, essendo un uomo secondo il cuore di Dio (At 13,22), lo Spirito Santo lo conduce a volte a parlare di Cristo. L’apostolo Pietro sembra che avesse in mente anche il Salmo 22 quando disse che gli antichi profeti «cercavano di sapere l’epoca e le circostanze cui faceva riferimento lo Spirito di Cristo che era in loro, quando anticipatamente testimoniava delle sofferenze di Cristo e della gloria che doveva seguirle» (1 Pt 1,11). Lo stesso apostolo ha esteso a Cristo ciò che Davide sembra riferire a se stesso («Non lascerai l’anima mia nell’Ades», At 2,25-31 in confronto a Sal 16,10). Applicare il Salmo 22 a Cristo è comunque inevitabile, come si vedrà meglio in seguito.

     ■ Riassumendo: Di questo salmo si possono fare almeno quattro applicazioni:

     ▪ 1) a Davide, che ne è l’autore e che parla in prima persona;

     ▪ 2) ai credenti del suo tempo, essendo stato inviato al coro del tempio;

     ▪ 3) ai credenti di ogni tempo e luogo, perché fa parte della Bibbia;

     ▪ 4) a Cristo, che lo ha citato sulla croce.

 

Naturalmente, le quattro diverse letture non sono alternative, ma si arricchiscono l’un l’altra. Noi comunque privilegeremo l’applicazione al comune credente, perché spesso si riferisce il Salmo 22 solo a Cristo, come se non riguardasse anche noi, che siamo chiamati a seguirne le orme (1 Pt 2,21). L’idea che Cristo si sia sacrificato in modo che i suoi discepoli potessero poi vivere senza problemi, apre la via alla giustificazione di una vita per molti versi opposta alla sua, che contraddice tutto il Nuovo Testamento e la concreta esperienza degli apostoli. Questa idea si fece già strada fra i Corinzi, che pensavano di essere già arrivati a regnare, ma l’apostolo Paolo la contrastò radicalmente (1 Cor 4,8-16) e, nel Nuovo Testamento, i cristiani coerenti difficilmente riuscivano a vivere una vita comoda.

     ■ Dove comincia il v. 1?: Nella suddivisione in versetti c’è un po’ d’incertezza, perché in alcune versioni il primo versetto è dato dall’intestazione, mentre nella versione che abbiamo riportato la numerazione comincia dopo l’intestazione (in altre versioni, cioè, il nostro versetto n. 1 è indicato come il 2). (Ndr: Nella versione ebraica l’intestazione rappresenta il primo verso, come pure nella Settanta.)

 

 

3.  L’ESPOSIZIONE

     ■ «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (v. 1): Non è il bestemmiatore che qui si sente abbandonato, ma il fedele, cioè una persona che è così in intimità con Dio da dirgli e ripetergli «mio».

     Per chi ha fatto di Dio il centro della sua vita e dei suoi affetti, il sentirsi abbandonato senza comprenderne il motivo, senza aver coscienza di colpe specifiche, è peggio della morte. Si può morire, infatti, cantando di gioia al Signore, ma quanto più lo si ama, tanto più è insopportabile percepire che Dio si stia allontanando da noi, specie se ciò avviene per sua specifica e inarrestabile volontà.

     ■ «mi» (v. 1): Non usa il plurale («ci hai abbandonato»), ma il singolare («mi hai abbandonato») e ciò non è di poco conto. Quando Dio abbandona una città, il credente può sentirsi spiritualmente separato da quella città e non coinvolto direttamente da quell’abbandono. Se invece constata che a essere abbandonato è solo lui, mentre Dio continua a essere vicino e a curarsi degli altri (fra i quali molti sono peccatori almeno quanto lui), viene facilmente assalito da forti dubbi, non solo su se stesso, ma anche su Dio.

     ■ «Te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito!» (v. 1): Chi crede, ha chiara la percezione dell’esistenza e dell’onnipotenza di Dio, quando soffre ha così l’impressione che Dio sia lì, che vede e sente il lamento, ma non se ne cura: come se non lo riguardasse, come se non ci conoscesse, come se nel passato non ci avesse attirato a sé, come se non ci fosse mai stata quella intensa vita insieme, fatta di affetto e comprensione. Tutto ciò non può che sconvolgere!

     ■ «Dio mio, io grido di giorno, ma tu non rispondi» (v. 2): A questo punto il lamento non si esprime più con normali parole, ma con grida, che riempiono la casa e la scavalcano. Il disagio ha così travolto barriere e razionalità, manifestandosi senza più pudore anche all’esterno. Ciò non può che spaventare, sia i pochi che direttamente percepiscono le grida, sia i molti ai quali ne verrà poi fatto il racconto (che, strada facendo, di norma si ingigantisce e si deforma). Alle difficoltà personali, così, cominciano ad aggiungersi anche quelle sociali.

     ■ «E anche di notte senza interruzione» (v. 2): Quando si è passato il giorno a gridare, la sera si dovrebbe essere stanchi. Se invece si continua a gridare anche la notte, è segno che il dolore è molto grande. Qui si precisa, addirittura, che il gridare è «senza interruzione», facendo intravedere una condizione non lontana dalla follia.

     ■ «Eppure tu sei il Santo» (v. 3): Nonostante la sua tragica condizione, il fedele continua a credere nell’elevatezza morale di Dio, trovando così sempre maggiori difficoltà a conciliare le sue convinzioni con l’esperienza concreta che sta vivendo.

     ■ «Siedi circondato dalle lodi d’Israele» (v. 3): È giusto, doveroso e bello che il popolo di Dio canti le lodi del suo Signore, ma per chi si sente abbandonato da Dio, è difficile unirsi al coro; d’altra parte chi ha buoni motivi per cantare trova difficile simpatizzare con chi è nella prova. Ognuno è portato a chiedere all’altro di adattarsi, mentre la Parola di Dio chiama ciascuno a farsi carico dell’altro («Rallegratevi con quelli che sono allegri; piangete con quelli che piangono», è scritto in Rm 12,15). Per chi ha già molti pesi, però, è più difficile mettersene sulle spalle degli altri; logica vorrebbe, quindi, che lo sforzo di adattamento lo facesse maggiormente chi sta meglio, ma le questioni umane non seguono sempre la semplice logica, così succede che proprio chi è nella prova debba a volte farsi carico di consolare quelli che sono spaventati dal vedere la prova!

     ■ «I nostri padri confidarono in te [ ...] e non furono delusi» (vv. 4-5): Non solo il popolo di Dio di oggi, ma anche quello di ieri ha gustato la benevolenza e le risposte del Signore. Ciò stimola sempre più a chiedersi: «Perché a me no?»; e quando la domanda è senza risposta, lo smarrimento tende ad aumentare.

     ■ «Ma io sono un verme e non un uomo, l’infamia degli uomini, e il disprezzato dal popolo» (v. 6): Quando le condizioni precipitano oltre un certo livello, si comincia ad avere la sensazione di non far più parte della società. Anche gli altri cominciano a considerarci come persone da evitare e della cui presenza è meglio non tenerne conto. Sembra quasi di diventare trasparenti, invisibili. Domande e saluti rivolti a persone vicine, sembra che non riescano più a penetrare in quegli orecchi una volta molto sensibili. Indifesi e schivati, ci si comincia a vergognare, preferendo nascondersi per proteggersi da sguardi indifferenti, quando non ostili. Sempre meno «uomini fra gli uomini», quindi, e sempre più simili a «vermi».

     ■ «Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo: Egli si affida al Signore; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce!» (vv. 7-8): Quella stessa fede che, nella prosperità, suscita ammirazione e rispetto, quando si è nella sventura diviene ridicola per «chiunque»: credenti e non credenti, colti e ignoranti, giovani e vecchi. Illuminante, a tal proposito, è l’esperienza di Cristo; tutti alla fine gridarono: «Sia crocifisso» (Mt 27,22-23). Chi si allontanò da quella folla forcaiola, si rassegnò a esserne rappresentato. Perfino Pietro, l’apostolo più stimato da Cristo, sebbene con grande dispiacere, proclamò tre volte di non conoscerlo (Mt 26,69-75): e se così fece il migliore...

     ■ «M’hai fatto riposar fiducioso sulle mammelle di mia madre. A te fui affidato fin dalla mia nascita» (vv. 9-10): La fede qui considerata affonda le sue radici in una famiglia devota a Dio, nella quale si sono vissute gratificanti esperienze religiose fin dalla prima infanzia. La crisi di fede, perciò, incrina i rapporti non solo col popolo di Dio, ma anche col proprio retroterra famigliare.

     ■ «Non allontanarti da me, perché l’angoscia è vicina, e non c’è alcuno che m’aiuti» (v. 11): Colui che perde al gioco, dice Dante, si ritrova solo e rimugina, mentre è col vincitore che se ne va tutta la gente. Chi si trova immerso nell’angoscia avrebbe bisogno d’aiuto, invece gli altri scappano. E a scappare, naturalmente, non sono quelli a lui più lontani (quelli si sentono già al sicuro), bensì quelli che, essendo vicini (parenti o amici), hanno più timore di doversi far carico delle difficoltà altrui.

     C’è chi si allontana con fragore e chi in punta di piedi, chi per un motivo di qualche credibilità e chi con pretesti inconsistenti: il risultato comunque non cambia e intorno al malcapitato si fa presto il vuoto.

     Le lodevoli eccezioni non mancano e Cristo stesso ebbe qualcuno che rimase ai piedi della croce (Gv 19,25-26), ma si sa che le eccezioni non contraddicono la regola.

     ■ «Grossi tori mi hanno circondato; potenti tori di Basan m’hanno attorniato; aprono la loro gola contro di me, come un leone rapace e ruggente» (vv. 12-13): Quando ci si percepisce come «vermi» (v. 6), non ci vuol molto a vedere mostruosamente quelli che ci sono intorno, che vengono rassomigliati ai più forti e pericolosi animali: i tori, che con la loro forza tutto abbattono, e i leoni affamati, che a nessuno lasciano scampo.

     Non è poi un solo «toro» che qui insidia il fedele, che è circondato da una mandria che chiude ogni via di scampo («m’hanno attorniato»). Gli uomini tendono ad agire in branco e così il malcapitato non si ritrova un solo avversario, ma un’intera folla. Lo scontro porta allora inevitabilmente alla sconfitta dell’assalito, anche quando avesse ragione. Le vicende bibliche (ed extrabibliche) sono piene di persone che poi la storia ha onorato, ma la vittoria nel futuro l’hanno di norma pagata con l’emarginazione e la sconfitta durante l’esistenza.

     ■ «Io sono come acqua che si sparge, e tutte le mie ossa sono slogate; il mio cuore è come la cera, si scioglie in mezzo alle mie viscere» (v. 14): Ormai la reazione a catena è innescata e si scende sempre più giù. Vedersi come un «verme» (v. 6) era poca cosa, ma almeno c’era ancora un senso di identità; ora invece si arriva a sentirsi «come acqua che si sparge», cioè qualcosa che si disperde e finisce.

     ■ «Il mio vigore s’inaridisce come terra cotta, e la lingua mi si attacca al palato» (v. 15): La morte non viene solo se ci si disperde come acqua, ma anche se ci si pietrifica come mattoni («terra cotta»), perdendo quel segno primario della vita che è la parola. Chi è abbandonato da Dio e dagli uomini non può fare altro che tacere. Le parole di chi è nella prova, infatti, tendono a essere respinte o deformate da chi l’ascolta: «Nelle circostanze in cui si trova si capisce perché parla in modo così pessimista»; «Quello fa l’ottimista! Ma non si rende conto in che condizioni si trova? Per me capisce poco, o finge». Non è un caso che Gesù, dal suo arresto in poi, scelse più il silenzio che la parola, riprendendo solo dopo la risurrezione a parlare e a insegnare largamente (Lc 24,27; At 1,3).

     ■ «Tu mi hai posto nella polvere della morte» (v. 15): Questa frase riassume tutto il senso di questa prima parte del salmo. Le vicende fin qui descritte, infatti, non somigliano a un brutto scivolone (dopo il quale ci si rialza curandosi le ferite), ma all’essere capitati fra le «sabbie mobili», nelle quali si sprofonda ancor più se si tenta di riemergere. In questi casi l’esito che si intravede non può essere che la morte.

Sia l’azione degli uomini sia quella delle circostanze non sono viste come casuali ma, in ultima analisi, come provocate e dirette da Dio. Egli ha cominciato con l’abbandonare il credente (cioè col non fargli più del bene, v. 1), per poi finire col porlo egli stesso in quelle difficili circostanze («Tu mi hai posto»).

     I tre versetti che seguono, piuttosto che mutare scenario, si soffermano più in dettaglio su questa condizione estrema e si applicano alla crocifissione di Cristo in modo molto evidente.

     ■ «Poiché cani mi hanno circondato; una folla di malfattori m’ha attorniato» (v. 16): È una caratteristica della poesia ebraica quella di fare il parallelismo fra due concetti simili, piuttosto che curare l’assonanza della rima. Le due soprastanti espressioni, perciò, rappresentano due modi diversi di esprimere lo stesso pensiero e fanno vedere come quei «cani» siano in realtà dei «malfattori», cioè persone che assomigliano a cani pronti a mordere: ciò conferma che è stato corretto intendere i «tori» e il «leone» dei vv. 12-13 come persone moralmente deformi. Anche qui si parla di un branco che circonda e chiude ogni via di scampo.

     Dio e la sua giustizia sembrano spariti, mentre sono i malfattori che, almeno momentaneamente, portano in trionfo la «potenza delle tenebre» (Lc 22,53). Durante la crocifissione di Cristo (pur se avvenuta nelle ore centrali del giorno) «si fecero tenebre su tutto il paese» (Mt 27,45), rendendo percepibile anche all’occhio fisico ciò che stava succedendo.

     ■ «M’hanno forato le mani e i piedi. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e mi osservano: spartiscono fra loro le mie vesti e tirano a sorte la mia tunica» (vv. 16-18): L’eccezionalità di questa descrizione (che anticipa di circa mille anni la crocifissione) spinge alla contemplazione e al silenzio, come certi scenari che catturano irrimediabilmente lo sguardo e i pensieri. Dopo aver contemplato un quadro a distanza, però, ci si avvicina per coglierne i dettagli; cosa che ora faremo, sapendo che contemplazione e analisi si integrano.

     Davide parla in prima persona, ma lo Spirito di Dio più che altrove lo trasfigura, ed egli profeticamente assume la veste del suo discendente Messia.

     Intorno alla croce gli uomini «guardano e osservano» e per chi sta subendo l’umiliazione del denudamento (spartizione degli indumenti, poter contare tutte le ossa) quegli sguardi di curiosità sono un ulteriore oltraggio. Si arriva così al punto che gli occhi del crocifisso non incontrano più veramente quelli dei crocifissori, ma l’uno si rende estraneo all’altro. Anche quando tacciono, i persecutori sembrano dire: «Noi siamo forti e non tu, perché siamo noi che possiamo disporre di te; noi siamo benedetti da Dio e non tu, che sei stato giustamente messo fra due altri malfattori». Così l’interesse per i vestiti diventa maggiore dell’interesse per la persona che l’indossava, per la sua tragica condizione, per il significato di quella vita: guardano e osservano, ma con indifferenza, come si osserverebbe uno spettacolo al circo.

     Non vedendo ormai più i suoi persecutori, è con Dio che il perseguitato sente ancora il desiderio di parlare, è solo a Dio che può ancora indirizzare le sue ultime gocce di speranza. Così Gesù, come se stesse tutto solo, mentre stava spirando, «gridò a gran voce: Elì, Elì, lemà sabactàni? cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). Contiamo di tornare più avanti (cap. 4) su questa citazione che fa Gesù del Salmo 22, per ora invitiamo solo a prender coscienza di quanto profondo sia stato il pozzo nel quale Dio ha condotto il suo Figlio prediletto.

     Alcuni di noi saranno certamente esclusi da esperienze particolarmente amare, ma a volte non riusciamo a sopportarne nemmeno il pensiero. Però, se all’immacolato Gesù è potuto succedere tutto questo, perché non potrebbe succedere a noi peccatori? Forse perché siamo meno peccatori di altri? Non c’è motivo valido per pensare che Dio non possa permettersi di mettere alla prova anche il migliore (come abbiamo visto essere Giobbe e Giovanni Battista): C’è crudeltà da parte di Dio? L’esperienza di Cristo e di Davide riflesse in questo salmo la escludono, perché proprio nel fondo del pozzo essi hanno trovato la corda per una piena risalita. Davide, per esempio, sperimentò una lunga e penosa persecuzione (da 1 Sam 19 a 2 Sam 2), ma alla fine ebbe una specie di risurrezione: quel popolo stesso che aveva tentato di ucciderlo (costringendolo a rifugiarsi in mezzo ai nemici Filistei), poi lo incoronò re (2 Sam 5,4-5), così che Davide concluse la sua vita «sazio di giorni, di ricchezze, e di gloria» (1 Cr 29,28). È comprensibile che in circostanze come queste ci si scoraggi, anche perché la saggezza umana in questi casi conta poco, rendendo inevitabile il ricorrere alla paolina pazzia della fede (1 Cor 1,17 a 2,16). Solo la fede piantata da Dio, però, può reggere alle prove che vengono da Dio: le umane illusioni di ragionamento e di forza, di fronte alle sfide più serie, non bastano.

     In questa prima parte del salmo abbiamo visto una progressiva discesa nell’abisso, mentre nella seconda parte Davide descrive la risalita. Questa riscossa si è verificata anche per Cristo, con una risurrezione che coinvolgerà pure quelli che seguono le sue orme: che portano sì ai monti, ma spesso attraversando qualche valle.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-Salmo22,1-18_OiG.htm

06-04-07; Aggiornamento: 30-06-2010

 

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