Se non si prende in
considerazione l’antica esegesi giudaica, si può facilmente perdere il
significato pieno delle parole di Gesù, «spelonca di ladroni». Gesù
s’indirizzava soltanto ai venditori, o mirava a qualcosa di più grande?
Un passaggio affascinante per avere una visione
di come Gesù trattava i testi biblici per comunicare in maniera efficace con le
persone del suo tempo, è quello della Purificazione del Tempio. L’episodio è
registrato in tutti e quattro gli Evangeli (Mt 21,12s; Mc 11,15-18; Lc 19,,45s;
Gv 2,13-17). Quello di Luca è il più conciso. La sua descrizione è
caratteristica della prosa ebraica: molto succinta.
Citazione da Isaia
Avvicinandosi al
cortile esterno del tempio, Gesù si è voltato verso i venditori per sgridarli (probabilmente
dietro la parola greca ekballein «cacciare
fuori, espellere» c’è l’ebraico lehoṣî
«far uscire, portare fuori»). I venditori stavano facendo dei grossi
affari con le folle di pellegrini che erano venute a Gerusalemme per la Pasqua.
Gesù stava parlando a gente che conosceva a memoria molti brani del testo sacro.
Inoltre, alcuni erano particolarmente familiari, come del resto lui stesso, con
le Scritture. Quindi, ci si dovrebbe aspettare un certo grado di sofisticazione
nella maniera di parlare di Gesù.
Citando una frase da
un meraviglioso passaggio d’Isaia, Gesù ha comunicato con forza quello che il
tempio avrebbe dovuto idealmente essere. Il passaggio legge: «I figli degli
stranieri che si sono uniti all’Eterno per servirlo, per amare il nome
dell’Eterno e per essere suoi servi, tutti quelli che osservano il sabato senza
profanarlo e s’attengono fermamente al mio patto, li condurrò sul mio monte
santo e li riempirò di gioia nella mia casa d’orazione; i loro olocausti e i
loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa sarà chiamata
una casa d’orazione per tutti i popoli» (Is 56,6s).
Quando Gesù disse tre
parole, bêtî bêt tepillāh
«la mia casa è una casa di preghiera», citando Is 56,7, molti di quelli che lo
ascoltavano, in particolare scribi e sacerdoti, sono andati con la mente al
contesto originario d’Isaia. La gente è stata ricordata in maniera pungente del
nobile scopo che Dio aveva destinato al suo tempio.
Citazione da Geremia
Subito dopo aver
citato Isaia, Gesù disse: «Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladroni»!
La frase «spelonca di ladroni»,
me’ārat pāriṣîm, viene da Gr 7,11 (nella Riveduta Gr
7,10), dove il profeta chiede: «Questo tempio… è forse divenuto ai vostri
occhi un covo di ladroni?». Gesù ha cambiato la domanda retorica di Geremia
in un’accusa diretta. Il tempio, che era stato ideato per essere un luogo dove
tutti potevano rendere il culto, era degenerato in un luogo d’affari e
speculazioni. Il messaggio è evidente. Ma era questo tutto ciò che Gesù diceva?
S’indirizzava soltanto ai venditori e a nessun’altra parte colpevole?
Leggendo il contesto
più ampio di Gr 7,11 incontriamo quanto segue: «Così dice l’Eterno degli
eserciti, il Dio d’Israele: “Emendate le vostre vie e le vostre opere e io vi
farò abitare in questo luogo… Così voi rubate, uccidete, commettete adulteri,
giurate il falso, bruciate incenso a Baal e andate dietro ad altri dèi che prima
non conoscevate, e poi venite a presentarvi davanti a me in questo tempio su cui
è invocato il mio nome e dite: Siamo salvi! per poi compiere tutte queste
abominazioni. Questo tempio su cui è invocato il mio nome è forse divenuto ai
vostri occhi un covo di ladroni? Ecco, io ho visto questo”, dice l’Eterno… Ma
andate ora al mio luogo che era a
Šiloh, dove avevo inizialmente posto il mio nome e vedete che cosa ne ho
fatto a motivo della malvagità del mio popolo Israele…
io farò con questo tempio su cui è invocato il mio nome e in cui riponete la
vostra fiducia, con questo luogo che ho dato a voi e ai vostri padri, come ho
fatto a Šiloh» (Gr
7,3.9-12.14).
La frase «covo di
ladroni» avrebbe scosso le menti degli scribi e dei sacerdoti e fatti andare al
contesto della profezia di Geremia. Infatti, essi erano sorpresi. Con le due
parole
me’ārat pāriṣîm «covo di ladroni» Gesù non solo si è
indirizzato a coloro che commerciavano, il cui interesse era unicamente il
profitto, ma egli ha censurato anche l’aristocrazia religiosa degli scribi e dei
sacerdoti. Essi erano la radice del problema. I venditori erano solo i sintomi
del male. Con la profezia di Geremia che contiene due versi dove è citato Šiloh,
Gesù ha dato a intendere che il tempio di Gerusalemme sarebbe stato distrutto
come lo era stato Šiloh.
A Šiloh, i due figli
d’Eli, Hofni e Finehas, hanno abusato dei loro privilegi sacerdotali. La collera
di Dio si è accesa contro i sacerdoti della casa d’Eli, con il risultato che Eli
e i suoi figli sono morti nel giorno che Israele è stato sconfitto dai Filistei
a Afek (1 Sm 4). Inoltre, le registrazioni bibliche indicano che i Filistei
hanno continuato la loro campagna militare fino a Šiloh (cfr. Gr 26,9; Sal
78,60). Dunque, un’allusione alla distruzione del tempio è ravvisabile dietro le
due parole me’ārat
pāriṣîm «covo di ladroni», che Gesù disse in quel giorno fatale. Così, più
di qualunque altro evento registrato negli Evangeli sinottici, questo fatto
avvenuto appena fuori il cortile del tempio, ha contribuito alla morte di Gesù a
Gerusalemme. Le autorità del tempio non hanno potuto sopportare d’essere
denunciati pubblicamente da un maestro Galileo che si comportava come un
profeta. I loro mezzi di sostentamento e la loro potenza derivano dal tempio ed
erano pronti a cospirare contro chiunque proclamasse la sua rovina. Sono stati
loro infatti a convincere i Romani a uccidere Gesù (Lc 24,20).
Il collegamento
Di tutti i versi che
Gesù avrebbe potuto scegliere, perché ha affiancato Is 56,7 con Gr 7,11? Altri
passaggi parlano riguardo alla gloria del tempio o di come il popolo l’aveva
profanato. Tali espressioni non mancano sulla bocca dei profeti. La chiave per
capire è probabilmente l’espressione bêtî
«la mia casa». I maestri giudei ai tempi di Gesù erano propensi ad affiancare
passi che avevano in comune una parola o una frase. Per esempio, in Lc 10,27 un
dottore della legge ha combinato insieme Dt 6,5 con Lv 19,18. Entrambi questi
versi contengono la frase we’āhabtā
«e amerai». Il fatto che questa parola ricorre in entrambi i versi,
benché non sia l’unica ragione, certamente ha aiutato il dottore della legge a
fonderli insieme per rispondere alla domanda di Gesù: «Che cosa sta scritto
nella Torah?».
Lo stesso fenomeno si
verifica in Lc 19,46 con l’espressione «la mia casa» (bêtî).
Questa espressione si trova in Is 56,7. Ma ricorre in Gr 7,11? Il testo ebraico
Masoretico legge, «questa casa»
habajit hazzeh; tuttavia la Septuaginta, l’antica traduzione greca
della Bibbia ebraica, ha qui «la mia casa» (ho oikòs mou = bêtî).
Questo viene riportato in nota anche dalla Stuttgartensia. Ciò suggerisce che
Gesù intendeva Gr 7,11 secondo la tradizione preservata nella Septuaginta —
l’espressione in comune «la mia casa» poteva essere stata una ragione perché
Gesù combinasse i due versi.
Conclusione
Questo articolo
presenta due modi d’interpretazione scritturale che Gesù impiegava quando
insegnava. A Gesù piaceva accennare a un brano della Scrittura prendendo un
vocabolo da esso. Facendo questo, egli era in grado di far capire con forza
l’intero contesto del verso solo con una o due parole (cfr.
Lc 11,20 con Es 8,19: utilizzando l’espressione il «dito di Dio», Gesù ha
intelligentemente raggiunto quelli che lo opponevano. I maghi pagani alla corte
di Faraone hanno riconosciuto la potenza di Dio, ma gli avversari di Gesù no).
Dire «spelonca di ladroni» equivaleva a dire che il tempio sarebbe stato
giudicato come il luogo santo di Šiloh. Questo metodo d’insegnamento presuppone
un alto livello d’istruzione scritturale tra gli ascoltatori.
Una seconda tecnica
che Gesù ha impiegato per dar forza a un verso delle Scritture è stata quella
della condivisione della stessa parola o frase. Questo dava un nuovo significato
a entrambi i versi, dato che ognuno veniva nuovamente capito alla luce
dell’altro. In Lc 19,46 la parola in comune ha dato coesione a un contrasto
stridente: «La mia casa è casa di preghiera, ma voi ne avete fatto un covo di
ladroni»!
Vivendo quasi venti
secoli dopo Gesù, i cristiani del moderno occidente possono facilmente perdere
le sottigliezze del suo insegnamento. Ci sono separazioni culturali, religiose e
temporali tra il mondo d’oggi e quello di Gesù. Tuttavia, con un ritorno al
linguaggio biblico e allo studio della letteratura e cultura giudaica, queste
separazioni possono essere colmate, e la freschezza, il genio, e, a volte,
l’impatto di molte parole di Gesù possono essere recuperati.
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Nota: Dove stavano i
venditori?
Quasi tutti i
commentari del Nuovo Testamento identificano il cortile esterno del tempio, a
volte chiamato Cortile dei Gentili, come il luogo dove stavano i «venditori del
Tempio». Sembra strano, però, che a quei commerci fosse permesso stare in quel
posto, anzi, era impensabile che una qualsiasi attività commerciale potesse
avere luogo nei cortili del tempio, tra cui il Cortile dei Gentili. Non era
permesso salire sul monte del tempio neanche con una borsa (Mishnah, Berachot
9,5). I posti più probabili per i «venditori» erano il Portico Reale o i negozi
nelle vicinanze della scala meridionale.
Ci si sarebbe
aspettato che chi s’avvicinava al tempio per adorare, passasse prima dai
venditori, quindi procedeva verso le
mikvaot pubbliche per le abluzioni rituali, saliva l’imponente scala
meridionale, entrava nella Porta Huldah (cfr. Mishnah, Middot 1,3) e saliva per
una rampa sotterranea da cui usciva nel Cortile dei Gentili. Dei negozi formati
da volte sono stati trovati negli scavi archeologici nella parte meridionale del
muro, sia nell’angolo occidentale che in quell’orientale. La scala meridionale
saliva da questo passaggio pedonale di fronte alla Porta Huldah. I venditori
citati in Lc 19,45 potevano svolgere i loro affari nei negozi incorporati nelle
volte adiacenti alla scala (The New Enciclopedia and Archaeological
Excavation in the Holy Land, 2, pp. 739s).
Due altri posti entro
il recinto del tempio dove si svolgevano degli affari commerciali erano le
stanze del Portico Reale e i negozi intorno alla base dell’Arco di Robinson (The
Ophel Archaeological Garden, pp. 13s).
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-Gesu_esegesi_Esc.htm
05-04-2007; Aggiornamento: 24-04-2007 |