Nel corso degli anni, molte persone hanno voluto vedere Gesù come un pacifista —
e con buona ragione. Abbiamo qui un uomo che è stato disposto a morire piuttosto
che difendersi; un uomo che ha insegnato ai suoi discepoli a non uccidere, a non
resistere al malvagio, ad amare i loro nemici, a non temere quelli che uccidono
il corpo, fino al punto di spingersi a dire che solo quelli disposti a perdere
la loro vita saranno in grado di salvarla (Mt 5,21.39.44; 10,28; 16,25). Gli
insegnamenti di Gesù sembrano essere come quelli, altrettanto popolari, di
Tolstoj e Gandhi. Infatti, Tolstoj ha basato molte sue idee sui brani evangelici
(vedi «Il Regno di Dio è dentro di te», ristampa del 1984); Gandhi
invece, nel 1906, lottò contro il pregiudizio razziale in Sudafrica e lanciò una
campagna di disobbedienza civile non violenta. Nel 1910 ha fondato la Tolstoj
Farm per le famiglie degli uomini imprigionati nella lotta. Più tardi, in India,
Gandhi ha fondato altre simili comunità basate sull’ideologia di Tolstoj. Nel
1920 ha proclamato il suo programma non violento e di non cooperazione con i
governatori britannici dell’India, portandola all’indipendenza.
Gesù ha insegnato però che sia sbagliato difendersi da
un attacco? Ha veramente voluto dire che non si debba resistere al malvagio? In
Rm 12,9 Paolo dice: «Detestate il male»; e in Gcm 4,7 leggiamo: «Resistete
al diavolo». È chiaro da Lc 22,38.49 che i discepoli di Gesù erano armati, e
lo stesso Gesù consigliò loro di acquistare una spada (Lc 22,36).
Queste apparenti contraddizioni possono essere
conciliate riconoscendo le sfumature ebraiche dei testi evangelici e del
retroterra giudaico delle parole di Gesù.
Uccisione o assassinio?
Un verso comunemente citato a sostegno del pacifismo di Gesù
è Mt 5,21, che le nostre Bibbie rendono con «non uccidere». La parola greca così
tradotta in questo brano è una forma del verbo phoneuo. Nella traduzione
greca della Septuaginta questo verbo è stato sempre impiegato come l’equivalente
del verbo ebraico reṣāḥ, ed è il termine utilizzato nel
sesto comandamento (Es 20,13; Dt 5,17).
Sembra abbastanza certo che in Mt 5,21 Gesù citava il sesto comandamento.
I termini phoneuo e reṣāḥ
sono entrambe ambigue e possono voler dire «uccisione» o «assassinio», a seconda
del contesto. Tuttavia, Dio stesso ha comandato la pena capitale per certi reati
come l’assassinio deliberato (Es 21,12-15), alcuni casi di violenza carnale (Dt
22,25s), rapimento (Es 21,16), adulterio (Lv 20,10; Dt 22,22), stregoneria (Es
22,18) e molti altri reati. Il sesto comandamento, quindi, deve essere una
proibizione contro l’assassinio, non contro l’uccisione.
Nonostante questo, le nostre Bibbie usano il termine
«uccidere» piuttosto che «assassinare», quando traducono le parole di Gesù
riguardo a questo comandamento. Sebbene molte versioni moderne inglesi hanno
corretto questo errore (mettendo «murder» al posto di «kill»), le nuove
traduzioni italiane (Nuova Diodati e Nuova Riveduta) non l’hanno fatto.
Massima ebraica
Un altro detto di
Gesù, sul quale si basa il suo supposto pacifismo, si trova in Mt 5,39. Di
solito è tradotto: «Non resistere al malvagio» o «non contrastate il
malvagio». Tuttavia, quando il detto di Gesù è tradotto in ebraico, è una
citazione di un proverbio ben noto che possiamo vedere con una leggera
variazione in Sal 37,1.8 e Pr 24,19. Sal 37,1 e Pr 24,19 leggono entrambi:
’al titḥar bammerē’îm «non essere arrabbiato con i malvagi».
Sal 37,8 legge: ’al titḥar ’ak lehārēà
«non essere arrabbiato; può solo far male».
Di solito questa massima ebraica è tradotta: «Non
affliggerti a motivo dei malvagi» o «non irritarti a motivo di chi fa il
male». I traduttori della Bibbia hanno evidentemente supposto, dal contesto
delle frasi del Salmo 37 e di Pr 24, che evidenziano la distruzione dei malvagi,
che i giusti non dovrebbero preoccuparsi di loro o prestare loro la benché
minima attenzione. Questa supposizione è rafforzata dalla seconda metà del Sal
37,1 che, come viene di solito tradotto, consiglia di non essere invidiosi dei
malvagi. Sembra così che il verbo tradotto «non affliggerti» o «non irritarti»
sia tradotto correttamente. Tuttavia, altrove nella Bibbia questo verbo sembra
che abbia spesso, se non sempre, un significato connesso con «l’ira». Inoltre, i
due paralleli a questo verbo nel Sal 37,8, entrambi sinonimi di ira,
suggeriscono che il verbo in Matteo 5 debba avere anch’esso quel significato.
Il verbo in questione viene dalla radice (h-r-h),
il cui significato di base è «bruciatura». Da questa radice è derivato il
significato di «ira», un significato che tutte le parole ebraiche di questa
radice hanno in comune. (Come dire, in italiano, per esempio, è caldo, brucia,
bolle, prende fuoco, ecc.). In alcune ricorrenze di questa radice, l’ira è una
conseguenza della gelosia o della rivalità. La gelosia di Saul verso Davide ha
fatto sì che si adirasse (1 Sam 20,7.30).
La particolare forma del verbo utilizzato nel suddetto
proverbio è una forma per un’azione intensiva ed esprime così un’ira veemente.
Quest’ira furiosa conduce a una risposta altrettanto violenta. Questo conduce a
rispondere al male nei suoi stessi termini, a gareggiare nel fare il male con
quelli che ci fanno un torto. Quindi il verbo ebraico dà una sfumatura di
rivalità o competizione.
Sal 37,1 andrebbe tradotto: «non competere con i
malvagi». La traduzione di Sal 37,1.8 della «New English Bible» è: «Non
sforzarti di lottare contro i malvagi; non emulare quelli che fanno il male…»;
«Non arrabbiarti più, cessa dall’ira, non lottare contro chi fa il male».
Questa è una traduzione che riflette la sfumatura di rivalità o competizione del
verbo ebraico per «ira».
Così, la «Good News Bible» usa la parola «vendetta» o
un concetto simile, in Mt 5,39. Il contesto stesso richiede di non fare
vendetta, poiché il v. 38 parla di «occhio per occhio e dente per dente»,
cioè punire a seconda dell’offesa ricevuta.
Gesù non stava insegnando a sottomettersi al male, ma a
non cercare la vendetta. Come dice Pr 24,29, «Non dire: “Come ha fatto a me,
così farò a lui; gli renderò secondo l’opera sua”».
Resistete al male
La nostra risposta
al male deve essere la resistenza — è moralmente sbagliato tollerare il male.
Tuttavia, dobbiamo anche continuare a mostrare amore per il malvagio.
Dovrebbe essere osservato che amare e pregare per i
nemici non impedisce in alcun modo la difesa dagli stessi, quando la vita di
qualcuno è in pericolo. Siamo moralmente obbligati a preservare la vita, inclusa
la propria. Gesù non ha mai insegnato che è sbagliato difendersi dagli attacchi
contro la propria vita. Egli ha coerentemente insegnato ai suoi discepoli a
perdonare e a non cercare la vendetta. Come Pr 20,22 afferma: «Non dire:
“Renderò male per male”. Spera nell’Eterno ed egli ti salverà». La nostra
responsabilità è quella descritta in Rm 12,21: «Non essere vinto dal male, ma
vinci il male col bene».
Il pacifismo non è mai stato parte dell’opinione
giudaica. Secondo le Scritture, ad esempio, una persona che uccide un ladro di
notte, non è colpevole di omicidio: «Se il ladro, colto nell’atto di fare uno
scasso, è percosso e muore, il proprietario non è colpevole di omicidio nei suoi
confronti» (Es 22,2). La logica è che il ladro è pronto a uccidere chiunque
sorprende lui, così uno può difendersi dal ladro.
Alla luce di ciò, è molto improbabile che Gesù, un
Giudeo del primo secolo, perfetto osservante della Legge, avrebbe sposato il
pacifismo.
I brani interpretati per sostenere il pacifismo, in
realtà condannano la vendetta e non l’autodifesa.
Per l'approfondimento: ►
Controversia su cristianesimo e pacifismo {Nicola Martella}
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-Cristianesimo_pacifismo_Mt.htm
25-04-2007; Aggiornamento: 30-06-2010