Caro
Nicola Martella, ti scrivo per una curiosità. Nella Bibbia, precisamente in
Ebrei 10,5, si legge che Dio prepara un corpo al Signore. Questo passo è
stato attribuito al Salmo 40, dove si leggerebbe dai testi ebraici: «Tu mi
hai forato l’orecchio». Come si può spiegare questa apparente
contraddizione? In fede sono certo che riceverò la tua esauriente risposta.
Questo è stato e continua a essere oggetto di discussione in un gruppo in
Internet. Una risposta ben precisa e completa mi sarebbe di molto aiuto. Dio ti
benedica. {Danilo Ristagno; 18-03-2016} |
1. ENTRIAMO
IN TEMA: Quando ci si accosta alla sacra Scrittura, per trovare risposte
a questioni, che ci appaiono singolari, bisogna farlo con umiltà,
considerando che le contraddizioni sono perlopiù nella nostra testa, che
viviamo millenni dopo le asserzioni, che rappresentano per alcuni pietre
d’intoppo. Ora, bisogna considerare che le lingue usate nella Bibbia
(ebraico, aramaico e greco) erano solo una parte delle lingue correnti. Inoltre,
le lingue non sono qualcosa di fisso, ma di dinamico. Il significato particolare
di un termine dipende da vari fattori, ad esempio: il tempo storico, il luogo,
l’uso specifico (quotidianità, termine tecnico, uso concreto o traslato),
l’ambito (vita comune, tempio, ambiente dotto, letterario, ecc.) e così via.
Si pensi come dal termine casa (abitazione) siano nati molti derivati
concreti e traslati, ad esempio: casato (stirpe, famiglia), casata (discendenza,
dinastia), casale, casolare, casupola, casamento, cascina, cascinale, ecc.
Inoltre si veda «casa di Dio» per tempio e «casa del re» per reggia. Si veda
come da «casino», ossia piccola casa di campagna (cfr. cascina) o di caccia
(casotto), sia nato dapprima il significato di «casa dei piaceri», dove ci si
recava per festeggiare feste, poi fu usato eufemisticamente per le «case
chiuse»; da esso nacque anche «casinò» (casa da gioco). Se da ragazzo avessi
pronunciato la locuzione «che casino!», mi sarei preso per lo meno uno
schiaffo e un rimprovero da mio padre, essendo allora una parolaccia; oggigiorno
tale termine intende spesso solo «che confusione (o chiasso)!». Come si vede, la
lingua è qualcosa di dinamico, che muta nel tempo. I termini perdono alcuni
significati o ne acquistano altri. Ogni termine ha un vasto spettro di
significati, evidenziati a seconda del contesto o dalle espressioni idiomatiche
(p.es. avere la luna storta; essere lunatico); inoltre, esistono usi popolari e
termini tecnici, a cui si aggiungono usi locali e dialettali particolari certi
termini.
Tutto ciò, deve infondere in noi molta umiltà, quando analizziamo testi
biblici, a distanza di millenni, considerando che noi abbiamo solo la sacra
Scrittura (per la maggior parte solo in traduzione), ma i credenti di allora
parlavano almeno una delle lingue della Bibbia; gli Ebrei residenti nel Medio
Oriente (p.es. Giudea) ne parlavano più di una, come pure gli studiosi. Se ci
fossero state delle contraddizioni, sarebbero stati allora in tanti a
farle presenti. Quindi, le contraddizioni esistono spesso solo nelle menti della
gente d’oggi.
2. IL CONFRONTO FRA I TESTI: Effettivamente Salmo 40,6 recita nel
testo ebraico (v. 7) della versione masoretica (è scritto con vocali; fu redatta
nel Medioevo): «Tu non hai preso piacere in
sacrifici né in oblazioni; tu mi hai preparato orecchi».
Preparare l’orecchio era il procedimento che faceva il maestro verso il
discepolo (cfr. Is 50,4; v. 5 pātach-lî ’ozën «ha aperto a me
l’orecchio»). Al tempo, in cui il testo ebraico pre-masoretico fu
tradotto in greco (Settanta), esso era scritto ancora senza vocali. Ciò
significa che lo stesso gruppo di consonati poteva essere letto in differenti modi, sebbene il
contesto della frase limitava l’arbitrio, così anche certe consonanti segnaposto
per certe vocali, come pure la tradizione di lettura. |
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Il termine «orecchio» è in ebraico ’ozën
(’ZN). Nel nostro testo compare il plurale ’āzenajim (’ZNJM).
Il testo greco di Ebrei 10,5 recita: sõma dè katērtísō moi «un corpo però
preparasti a me». Al contrario, nella Settanta è scritto: ōtía dè katērtísō
moi «orecchi però preparasti a me». Quindi, l’autore biblico non citò qui la
Settanta.
Certo rimane un mistero come ōtía «orecchi» sia diventato sõma
«corpo». Una possibilità è che il termine ebraico consonantico (’ZN) poteva
essere letto diversamente; si pensi alla radice consonantica «PN» in italiano,
da cui si può leggere: PaNe, PeNa, PiNo, PoNe (da porre), ecc. Oppure il termine
’ozën aveva in origine più di un
significato; anche in italiano abbiamo per lo stesso grafema significati
differenti, ad esempio «calco» per «stampo, impronta» e (per «io calco») «io
pigio, premo, schiaccio»; a ciò si potrebbe aggiungere «calca» per «ressa,
folla». Si veda pure capitàno (capo, comandante), càpitano (succedono) e
capitanò (guidò, diresse), e altri derivati.
Approfondiamo ora maggiormente il termine ebraico
’ozën (’ZN), che nelle nostre Bibbie viene tradotto con
«orecchio» nel Salmo 40,6.
La radice verbale ’aZaN (da cui proviene ’ozën)
significa «sentire, udire, ubbidire». Esiste un’altra radice ’aZaN, che ricorre
solo in Ec 12,9 eb. (= ND; = 12,11 R, NR) nella forma di ’izzen
«ponderare». A ciò si aggiunga il sostantivo ’āzën, che ricorre solo in
Dt 23,14 eb. (= v. 13 it.) ed è tradotto con «pala, vanga, piolo». Poi esistono
vari nomi propri di persona o di città, che contengono la radice ’aZaN (cfr. Nu
26,16 ’oznî e ’ozniti;
Gs 19,34 ’aznôt-tabôr; 1 Cr 7,24
’uzzen-Šë’ërāh;
Ne 10,10 (= v. 9 it.) ’azanejāh).
Ciò mostra come lo stesso grafema poteva avere uno spettro di significati molto
più ampio di quanto ci si aspetti. È possibile, quindi, che nell’ebraico
corrente, al tempo del NT, esistesse un termine, derivato dalla radice ’aZaN,
che significasse «corpo», oppure una parte d’esso (cfr. «membra»), che
metaforicamente era applicato al tutto (cfr. «carne» per «corpo»). Se si guarda
agli sviluppi linguistici degli ultimi decenni, si prenderà atto come gli stessi
termini siano cambiati di significato o ne abbiano acquisiti altri.
Un altro elemento è la nuova rivelazione.
L’evento cristologico dava un nuovo senso alle cose. Si pensi in Michea 5,1 a
Betleem, che era «troppo piccola per essere tra le migliaia di Giuda»; a
causa della nascita del Messia Matteo rese tale citazione come segue: «non
sei affatto la minima fra le [città] principali di Giuda» (Mt 2,6).
Premettendo l’analisi linguistica sopra esposta, si
aggiunge che in Ebrei 10,5 si può trattare di una fenomenologia simile,
che induce l’autore ad adattare la citazione alla realtà cristologica riguardo
al mistero dell’incarnazione.
3. ASPETTI CONCLUSIVI: Si tenga presente che lo scrittore del
Salmo 40 fu Davide, che visse mille anni prima di Cristo! Da allora ne
era passato di tempo fino a quando scrisse l’autore della lettera agli Ebrei. La
lingua ebraica, come tutte le lingue, ne aveva fatti di cambiamenti! A ciò si
aggiungevano le contaminazioni linguistiche con l’ambiente, visto che nei secoli
la Giudea era stata dominata da varie superpotenze (cfr. le parole latine negli
Evangeli).
Abbiamo visto che l’autore non citò il testo greco della Settanta. Ci sono
alcune possibilità. o tradusse direttamente il testo ebraico, o si rifece
a una traduzione a noi sconosciuta, o si basò sul consenso tra gli studiosi
giudaici d’allora sul significato del termine ’āzën nel testo ebraico.
Voglio portarvi un altro esempio eloquente di come un termine possa
intendere eufemisticamente altro (p.es. parte per tutto), di come il linguaggio
muti e di come bisogna tradurre oggigiorno dinamicamente per far capire. In
Proverbi 3,8 il testo ebraico recita letteralmente: «Questo
sarà farmaco al tuo ombelico e linfa
alle tue ossa». Ombelico (eb. šor
anche «cordone ombelicale» Ez 16,4) stava eufemisticamente per il ventre (o
forse il «basso ventre»; cfr. Cc 7,3 sinonimo qui di bëṭën
«grembo, pancia, interiore», quindi «corpo» secondo il principio la parte per il
tutto), ma lo sapevano solo gli Ebrei; per questo già nella Settanta fu tradotto
con sõma «corpo». Per gli Ebrei la salute e il vigore (come
il contrario) erano legati specialmente alle ossa (Gb 20,11; 21,24; 30,30;
33,19.21; Sal 31,10; 51,8; 102,3.5; Pr 12,4; 14,30; 15,30; 17,22). Come è
successo per šor
«ombelico», può essere accaduto anche per ’āzën, che aveva uno
spetto di significati più ampio. Tutto ciò bisogna tenerlo presente,
quando noi occidentali, immersi nella nostra cultura, vogliamo capire o
giudicare aspetti testuali distanti di millenni dagli scrittori biblici e dal
loro mondo culturale, linguistico e religioso.
Gli scrittori biblici non erano sprovveduti. L’autore dell’epistola agli Ebrei
scriveva con la consapevolezza, che il suo scritto sarebbe arrivato in mano agli
apologeti del giudaismo, che si sarebbero attaccati anche alle virgole,
pur di discreditare il suo trattato teologico. Infatti era nata una vasta
letteratura giudaica anticristiana. Si noti che dovunque arrivavano i
predicatori cristiani, i Giudei «pieni di invidia»
iniziavano una controffensiva apologetica, usando tutti i mezzi
per screditare i missionari cristiani (At 5,17
misero le mani sopra agli apostoli; 13,45
contraddicevano; 17,5 misero in tumulto la città).
Poi, esistevano Giudei come quelli di Berea, che
soppesavano ogni parola dei predicatori cristiani, «esaminando
tutti i giorni le Scritture, per vedere se le cose stavano così» come
dicevano loro (At 17,10). A ciò si aggiungevano i falsi fratelli
(2 Cor 11,26), i quali si infiltravano di nascosto tra
i credenti «per spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, con
l’intenzione di renderci schiavi» (Gal 2,4). Inoltre, gli scrittori biblici
scrivevano i loro trattati e le loro epistole con la consapevolezza che «gli
uomini ignoranti e instabili» li avrebbero travisati, «come anche le
altre Scritture, a loro propria perdizione» (2 Pt 3,15s).
Quindi, gli scrittori biblici sapevano ciò,
che scrivevano, ed erano consapevoli che sarebbero stati attaccati da avversari
interni (cfr. Fil 1,17s) ed esterni (At 24,1), che si sarebbero attaccati a ogni
iota, pur di screditarli.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Orecc_corp_OiG.htm
30-03-2016; Aggiornamento: |