Come
si vede dall’indice, questo confronto con Fernando De Angelis si estende per sei
parti. Qui di seguito riportiamo la
parte conclusiva.
1. LE TESI (Fernando De Angelis): Ho
scelto di concentrarmi su un solo aspetto, perciò rispondo al resto sotto forma
di telegramma, ma con la disponibilità a essere in seguito più esplicito.
Anch’io rimando a un mio più ampio
scritto: il «Riassunto dell’Antico Testamento», che ti ho inviato. Il testo in Geremia 31,31 dice: «Con
la casa d’Israele e con la casa di Giuda»; leggerci «tutta»
la casa d’Israele e «tutta» la casa di Giuda non mi sembra necessario. Specie se
si considera il fatto che i profeti considerano il «residuo» come
qualcosa che rappresenta l’intero popolo (p.es. Is 1,9; 10,21).
Significativo è che Geremia riprenda il concetto nello stesso capitolo 31:
«Signore, salva il tuo popolo, il residuo d’Israele» (v.
7). È vero che Nehemia e Malachia
descrivono una situazione tragica di Israele, ma Aggeo certifica che qualcosa
del nuovo patto effettivamente avvenne (Aggeo 2,4-9) e il secondo Tempio
che fu ricostruito divenne un punto di riferimento per le sinagoghe, che con la
dispersione si erano diffuse in tutto il mondo allora conosciuto. Il nuovo patto di Geremia è stato
un fallimento? In un certo senso sì, eppure l’opera di Dio è avanzata
grandemente. A me sembra che tutto questo si applichi bene anche al nuovo
patto di Gesù, con lo splendore della chiesa, che si vede in Atti 2-5, e il
triste quadro che poi si può ricavare dagli ultimi scritti degli apostoli (2
Corinzi, 2 Pietro, Giacomo, Ebrei), ma sto andando fuori tema.
2. OSSERVAZIONI E OBIEZIONI (Nicola
Martella): Ad alcuni aspetti ho già risposto al mio interlocutore sia per
iscritto nelle altre parti precedenti, sia a voce in due discussioni
telefoniche.
2.1. LA NAZIONE TOTALE: Nelle altre parti
della trattazione abbiamo visto che in Geremia le locuzioni «casa d’Israele» e
«casa di Giuda» intendono due regni politici autonomi e presenti
sull’antico territorio d’Israele; essi saranno fusi insieme con a capo il nuovo
Davide. Infatti, «gli uomini di Giuda vennero e unsero qui Davide come re
della casa di Giuda» (2 Sm 2,4.7), ossia del regno politico di Giuda,
contrapposto a «Israele», su cui regnò per due anni ’Is-Bošet
(vv. 10s). Con tale locuzione si intendeva «tutta la casa di
Giuda» (1 Re 12,21.23; cfr. Ne 4,16). Geremia intendeva così l’intero
popolo del patto, che ritornerà in patria: «In
quei giorni, la casa di Giuda
camminerà con
la casa d’Israele, e verranno assieme dal paese del settentrione al
paese, che io detti in eredità ai vostri padri»
(Gr 3,18; cfr. neg. 5,11; 11,10.17; cfr. pos. 21,37.31; 33,14). Anch’egli
intendeva «tutta la casa d’Israele e tutta la
casa di Giuda» (Gr 13,11).
Ciò corrisponde in Ezechiele alla
locuzione «una sola nazione», ossia «non
saranno più due nazioni, e non saranno più divisi in due regni» (Ez
37,22). La «casa di Giuda» fu paragonata alle altre
nazioni (Ez 25,8), quindi si trattava di un’intera nazione. Tale
concezione e menzione della «casa» come intero «regno» si trovano anche altrove
(Os 1,6s; 5,12.14; Zc 8,13 + nazioni; 10,6s).
2.2. IL RESIDUO: Il residuo rappresenta
l’intero popolo? La risposta è assolutamente «no». In Isaia 1,9 il
piccolo residuo non rappresentava la totalità, ma era
miserevolmente ciò, che era rimasto in vita d’essa, a propria vergogna
(confronto con Sodoma, e Gomorra). In Isaia 10,20-23 il «residuo di
Giacobbe» sarà ciò, che scamperà dallo sterminio
della massa (rena del mare vs. residuo; cfr. Mi 7,18 «residuo della tua
eredità»). Il «residuo
del suo popolo» intendeva ciò, che fu
deportato in Assiria, dopo che la maggioranza era caduta per la spada (Is
11,11.16). Non si trattava, quindi, di una rappresentanza (pars pro toto),
ma del «residuo del popolo, che sussiste
ancora» (Is 37,4), perché è scampato (vv. 31s). Essendo poca cosa, è
paragonato a un vermiciattolo (Is 41,14).
Anche in
Geremia il residuo è ciò, che rimane, dopo l’annientamento della massa
(Gr 8,3; 11,22s; 24,8; 25,20; 29,1; 31,7). Infatti, è scritto che «Nebuzaradan,
capo delle guardie, portò in cattività a Babilonia il residuo
della gente, che era ancora nella città,
quelli che erano andati ad arrendersi a lui, e il resto del popolo»
(Gr 39,9). Il resto della popolazione di Gerusalemme era morta. Mentre la massa
degli scampati fu deportata, «il re di Babilonia aveva lasciato un
residuo in Giuda e aveva stabilito su di loro Ghedalia»
come governatore (Gr 40,11; cfr. v. 15).
Ecco un’illustrazione per il residuo: una
goccia che cade da un secchio, come la polvere minuta delle bilance, il
pulviscolo che vola (Is 40,15). Ecco la definizione di residuo: «Di molti
che eravamo, siamo rimasti pochi, come lo vedono gli occhi tuoi» (Gr
42,2); e anche questo resto era a rischio (Gr 44,7). Eccone un’altra in
Ezechiele: «Io vi lascerò un residuo;
poiché avrete alcuni scampati dalla spada fra le nazioni»
(Ez 6,8; cfr. 14,22).
In Geremia
31,7 per «residuo d’Israele» non si intendeva una rappresentanza di tutto
Israele, ma tutto «Israele» (= Efraim), chiamato qui «Giacobbe» e «tuo popolo» e
«una gran moltitudine» (v. 8). In tal modo s’intendeva ciò, che era rimasto del
popolo, una volta fiorente e abbondante, che era stato decimato dalle
superpotenze mesopotamiche e disperso nel «paese del settentrione» (v. 8). La
menzione di Israele e di «Efraim è il mio primogenito» (v. 9) suggerisce
che tale paese era l’Assiria; ciò è corroborato da locuzioni, che indicano
Efraim: «vergine d’Israele» (vv. 4.21) e «monti di Samaria» (v. 5), che sono
distinti dal monte Sion (v. 6; cfr. v. 12). Si veda inoltre la menzione di
Rachele (v. 15) e di Efraim (vv. 18.20). Poi, nei vv. 23-26 Geremia parlò di
Giuda. Infine parlò della casa d’Israele e della casa di Giuda insieme
(vv. 27ss), riguardo a cui l’Eterno annunciò di voler ingiungere loro un
nuovo patto (vv. 31ss), perché diventino «mio popolo» (v. 33), ossia un solo
popolo del patto.
2.3. «QUALCOSA» DEL NUOVO PATTO?: Dopo le
nostre chiacchierate telefoniche, Fernando De Angelis ammette sopra che «Nehemia
e Malachia descrivono una situazione tragica di Israele»; poi però
vorrebbe in qualche modo pareggiare, suggerendo che Aggeo certificherebbe che «qualcosa
del nuovo patto effettivamente avvenne». Sorgono allora le domande: Il
nuovo patto è stato introdotto o no? Esiste un istituto giuridico come il patto,
che si realizza a rate? Gesù è stato un nuovo Mosè, oppure ha riverniciato un
presunto «nuovo patto» (con annessa nuova legislazione) già entrato in vigore
prima di Lui? E negli Evangeli perché l’autorità è la legge mosaica, espressione
del vecchio patto, e non la «legge nuova», espressione di un nuovo patto
seducentemente già esistente? E perché i giudaizzanti nelle chiese intendevano
applicare ai Gentili il vecchio regime legislativo, non menzionando un nuovo
regime legislativo seducentemente già esistente? (At 15; cfr Gal). Proprio in Aggeo 2,4-9 Dio ingiunse
al popolo di darsi da fare nel ricostruire il tempio, non come istituzione del
nuovo patto, ma «secondo il patto, che feci con
voi, quando usciste dall’Egitto» (v.
5). Il secondo tempio fu realizzato sul fondamento del vecchio patto!
Fernando De Angelis chiede: «Il nuovo patto di
Geremia è stato un fallimento?». Egli annuisce, suggerendo così che esso
sia stato effettivamente stipulato al tempo dell’AT. No, come abbiamo mostrato
altrove in questo studio, non furono mai realizzate le premesse, perché
esso fosse inaugurato al tempo dell’AT. Il «nuovo patto di Gesù» è
l’unico, che è stato stipulato; Egli non ha ripitturato un presunto «nuovo
patto», inaugurato precedentemente, dandogli solo una patina di novità.
2.3. ASPETTI CONLUSIVI: Quello di Fernando
De Angelis non è un approccio teologico basato sull’esegesi contestuale, ma una
presentazione filosofica della Scrittura basata su un’intuizione
soggettiva. Egli non accerta la consistenza probatoria delle sue affermazioni
mediante l’esegesi contestuale (letteraria, storica, religiosa, culturale,
ecc.), che rispetta tutti gli elementi testuali, ma prende qui e là degli
elementi e li lega insieme arbitrariamente secondo il suo progetto di
filosofia della Scrittura. È come chi traccia la sagoma di un elefante,
prende dalla Scrittura tante pulci (parole, locuzioni, parte di versi), le
attacca alla sagoma, riempie il resto col soggettivismo e il personale arbitrio
interpretativo e cerca di convincere prima se stesso e poi gli altri che tale
elefante sia veramente esistito. Quando gli si chiede, dove in concreto nella
storia dell’AT fosse stato inaugurato un tale importante paradigma teologico
(nuovo patto), che avrebbe messo in ombra il vecchio regime legale mosaico e che
avrebbe realizzato una trasformazione interiore tale, che lui la identifica con
la «nuova nascita», e dove ciò fosse stato registrato dagli scrittori biblici
come svolta epocale, egli non sa dire nulla di concreto. Tale evento straordinario —
paragonabile a un nuovo esodo di tutto Israele, a un nuovo Sinai (nuovo patto,
nuova legislazione), a una nuova conquista di Canaan da parte di tutto Israele e
che comprende un «nuovo Mosè» (nuovo patto e nuova legislazione) e un «nuovo
Davide» (nazione unica, Messia), una pace e una sicurezza perpetue per Israele e
la supremazia del popolo del patto su tutte le altre nazioni, e così via, —
non si è mai realizzato nella storia dell’AT. Mancavano semplicemente le
premesse. I fedeli dell’AT agivano come coloro che, avendo la caparra delle
promesse, aspettavano la realizzazione delle promesse di Dio, che si sarebbero
concretizzate con l’avvento dell’Unto a re (Simeone
Lc 2,25-32 Gesù salvezza e luce delle genti e gloria
del tuo popolo Israele; Anna vv. 36ss «tutti quelli che aspettavano il
riscatto di Gerusalemme»). Ben concluse l’autore della lettera
agli Ebrei, dopo aver sintetizzato gli atti eroici e le sofferenze dei credenti
dell’antico patto: «E tutti costoro, che
ricevettero testimonianza mediante la fede, non conseguirono la promessa,
avendo Dio previsto qualcosa di meglio riguardo a noi, affinché essi non
fossero perfezionati senza di noi» (Eb 11,39s).
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Nov_Patt6_Fin_MT_AT.htm
07-03-2016; Aggiornamento: |