1. LE LINGUE BIBLICHE: CHANCE E COMPLICANZE
(Nicola Martella): Quando insegnavo in una scuola biblica, sia nella scuola
residenziale, sia in quelle locali, gli studenti mi chiedevano spesso il
consiglio se fare o meno il corso di greco o di ebraico. Anche attualmente
mi viene fatta una simile domanda. Sento anche di sedicenti «professori» che
fanno corsi di lingue bibliche nelle chiese, spesso a persone che neppure
masticano la lingua italiana.
In rete vedo macedonie pseudo-teologiche basate su una supposta
conoscenza delle lingue bibliche. Gli autori fanno salti mortali etimologici per
dimostrare, con i loro sofismi speculativi, tutto e il contrario di tutto.
Spesso scuoto solo la testa su tale dotta ignoranza.
Che rispondo a chi mi chiede se studiare le lingue bibliche? Le lingue
bibliche o le si studia seriamente e ciò rimane un esercizio vita
natural durante, oppure ci si illude e si complica, inoltre, la vita a sé e
agli altri. Le infarinature
di lingue bibliche possono certo aiutare a leggere il testo greco per
controllare se lì è contenuto un termine o un altro, oppure per controllare il
variegato spettro di significati nei dizionari o in strumenti affini. Quando
però si passa da un uso personale a pretendere d’insegnare dal pulpito,
in articoli e sul Web cose perentorie, si rischia di fare solo confusione per se
e per gli altri. Ciò è particolarmente evidente laddove la dotta ignoranza si
serve proprio dell’etimologia per dimostrare una cosa o per contrastarne
un’altra.
Che rispondo, quindi, a chi mi chiede se gli consiglio di studiare le lingue
bibliche? Che cosa significa «studiare»? Alcuni intendono
semplicemente fare un corso di vari mesi o di un paio d’anni in una chiesa
locale o in una scuola biblica. Alcuni corsi
del genere sono seri, altri rappresentano una mera infarinatura; poi esistono
anche persone che insegnano singolari commistioni di lingue bibliche,
etimologia speculativa e numerologia nelle chiese, e i partecipanti si illudono
di stare a studiare greco o ebraico!
Tralasciando tali corsi pittoreschi e concentrandoci sui corsi seri, chiedo a
tali credenti se veramente vogliono investire tanto tempo ed energie,
sottraendoli ad altre importanti occupazioni (devozione, servizio, lavoro,
chiesa, famiglia, ecc.). Spesso le loro attese sono romantiche e
idealistiche, più che concrete e pragmatiche. Vale la pena imparare a memoria
centinaia, se non addirittura migliaia di vocaboli (infatti a ciò si riduce il
tutto in certi corsi di lingue), di cui poi, in pochi anni, si avrà dimenticato
la maggior parte? Lo stesso vale le declinazioni e le coniugazioni, per le
classi di regole e le loro eccezioni, per la grammatica e la sintassi.
L’illusione, che spesso accompagna la ricerca di tali infarinature con le
lingue bibliche, è che così si capirà meglio il testo biblico e si sarà in grado
di insegnare meglio nella chiesa locale! In molti di tali casi, potrebbe
succedere secondo tale motto: «Perché fare le cose facili, quando si possono
fare difficili?». Infatti, le lingue bibliche servono a chi insegna per capire
lui il testo, non per farne sfoggio dal pulpito!
Vale la pena fare tale sacrificio nel capire delle lingue
morte nell’intento di capire meglio la vita propria delle Scritture e
di servire meglio i vivi d’oggi? La risposta è sì, se si vorrà rimanere a
studiare le lingue bibliche per l’intera vita. La risposta è no, se si pretende
che, dopo un corso di mesi o di uno o due anni, si capirà meglio la Bibbia; è
una pia illusione. Nel secondo caso, di là dall’aspetto positivo di saper
leggere l’alfabeto greco, consiglio in genere di risparmiarsi un investimento
che non porterà molti risultati e ricavi né per sé né per altri (tacendo
qui sui possibili danni che può recare la dotta ignoranza).
Se si vuol rimanere a un’infarinatura delle lingue bibliche, in genere consiglio
a tutto ciò una migliore alternativa. Ci si comperi una decina di
traduzioni della Bibbia in italiano e in lingue estere, che si capisce, e si
faccia sempre uno studio comparato. Ci si meraviglierà di come si possa
avvicinare al pensiero di un autore biblico, senza sapere il greco o l’ebraico.
L’esegesi contestuale
è un atteggiamento soprattutto mentale (attitudine), mentre gli strumenti sono
solo ausili. Inoltre, ci sono poi abbondanti commentari esegetici seri in varie
lingue su ogni libro della Bibbia, scritti da persone che hanno studiato le
lingue bibliche e il testo biblico per tutta la loro vita. Un corso di greco o
d’ebraico non ci renderà esegeti.
Come ho accennato sopra, le infarinature di greco e di ebraico, se si pretende
di usarle in un discorso teologico come strumento probatorio e risolutivo,
possono risultare addirittura a danno della comprensione reale del testo.
La poca conoscenza concreta fa proiettare nei termini dei significati generali.
Ogni termine però ha uno spettro di significati e il senso concreto del
determinato termine dipende sempre dal nesso logico, in cui è inserito in una
certa frase. Poi, il danno maggiore lo fanno coloro che partono
dall’etimologia e che si aiutano, inoltre, con l’allegoria, le
spiritualizzazioni, l’indebita versettologia, il falso sillogismo e quant’altro.
2. QUANDO L’ETIMOLOGIA NON AIUTA LA VERITÀ
(Francesco Grassi): Ricostruire lo sfondo di un brano biblico, è buono.
Tuttavia, volersi rifare al «principio etimologico» d’un termine, crea in realtà
più problemi di quanto non ne risolva. Questo fatto ha portato ormai gli
studiosi a parlare piuttosto di «errore etimologico» (vedi James Barr,
Biblical Semantics; cfr. D.A. Carson, Exegetical Fallacies,
Moisès Silva, Biblical words and their meaning). In sostanza, ciò che
conta non è l’uso diacronico del termine, ma quello sincronico,
ossia non è importante il significato che il termine ha avuto lungo il corso
della storia, ma quello che aveva, quando è stato usato da un certo autore.
Riconoscere questa problematica è indispensabile per non caricare un certo un
termine, che si sta analizzando, con tutto il significato che ha avuto nella
storia, nel bene e nel male, o perfino con il significato che esso ha assunto
oggi. Ad esempio, non è inusuale sentire che «l’Evangelo è la dynamis di
Dio», cioè «potenza, forza»; fin qui non ci sarebbe ancora nulla di
male, a parte lo snobismo, se non si aggiungesse quanto segue: «Infatti, questo
è ciò che fa la dinamite». Peccato che tale associazione d’idee, oltre a
rappresentare un errore anacronistico clamoroso su base «diacronica» (la
dinamite è un termine moderno!), l’Evangelo viene fatto diventare così una
forza distruttiva e non costruttiva e rigeneratrice.
Studiare, quindi, lo sfondo di un brano, non significa importare nel linguaggio
di un autore biblico tutto ciò, che un termine o una frase può aver detto o vuol
dire oggi (vedi anche l’errore del «trasferimento totale» negli autori sopra
citati). Ad esempio, in 2 Pietro 1,3-4 molti non vogliono accettare le parole di
Pietro in modo semplice e secondo una «normale esegesi», perché importano nella
locuzione «partecipi della natura di Dio», tutto il bagaglio
filosofico, che è possibile connettere a essa. Tuttavia questo non è
assolutamente corretto.
Nota redazionale: Questo punto era in origine una nota a piè di pagina
dell’articolo «Natura
divina e incorruttibilità in 2 Pietro 1,3-4», a cui era stato tolto per essere affrontato qui a sé. A tale articolo ha
risposto Tonino Mele qui: «2
Pietro 1,3-4 tra storia ed escatologia»; l'intera discussione si
trova qui di seguito: «Natura
divina fra caparra e adempimento finale».
3. ASPETTI CONCLUSIVI (Nicola Martella): Come l’etimologia di un termine possa essere usata
impropriamente come una clava per difendere le proprie posizioni
dottrinarie contro quelle altrui, rimandiamo ai termini «augurio, augurare;
auspicio, auspicare; fortuna, fortunato; propizio, propiziare». [►
Auguri tra incertezze e ideologia] In quest’ultimo articolo si
noti pure la distinzione fra etimologia e uso di un termine. Abbiamo
anche mostrato come alcuni, a causa di reminescenze etimologiche, evitano di
usare termini come «cazzuola», «cazzotto» e simili.
Inoltre, per approfondire l’intera questione rimandiamo ai seguenti articoli:
►
Gli scrittori del NT usarono il metodo allegorico per interpretare l’AT?
►
L’interpretazione biblica
►
La ragione delle cose
► Per approfondire ulteriormente le questioni, nell’opera di Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), rimandiamo ai seguenti articoli: «Ermeneutica»,
p. 155; «Interpretazione allegorica», pp. 192s; «Interpretazione deduttiva», p.
193; «Sistemi teologici», pp. 332ss; «Teologia biblica e dogmatica: confronti»,
pp. 352s; «Versettologia», pp. 378s.
►
Lingue bibliche e l’errore dell’etimologia? Parliamone {Nicola Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Lingue-BB_error_etimol_MT_AT.htm
05-03-2010; Aggiornamento: 30-06-2010 |