«Perché, se tali cose si fanno al legno verde, che cosa sarà fatto al
legno secco?»
(Luca 23,31).
Questo verso ha portato Argentino Quintavalle a formulare una tesi interessante
e, per certi aspetti, avvincente. A essa risponde Nicola Martella con
osservazioni e obiezioni, quindi con un’antitesi. Sia il lettore stesso ad
approfondire ulteriormente le questioni e a trarre le sue eventuali conclusioni.
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1. La tesi
{Argentino Quintavalle}
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Questo verso è molto più comprensibile e chiaro quando viene analizzato il suo
sostrato ebraico. Infatti Gesù fa riferimento all’«albero verde» e all’«albero
secco» citati nella profezia d’Ezechiele contro Gerusalemme (Ez 21,1-8).
Allegoricamente, «l’albero verde» è «il giusto» e «l’albero secco» è «il
malvagio». Un fuoco nella foresta, che Dio accende, divora tutta la foresta del
Neghev. Il calore è così intenso che anche gli alberi verdi vengono bruciati.
In quella strada, in cui Gesù stava andando incontro a
una morte crudele, egli non è dimentico di quelle donne che si lamentavano e
piangevano per lui. Che terribile distruzione sarebbe avvenuta su Gerusalemme e
sui loro figli! Come Ezechiele, Gesù è straziato: «Perciò tu, figlio d’uomo,
gemi con i lombi rotti e gemi con dolore davanti ai loro occhi. E avverrà che
quando ti domanderanno: “Perché gemi?”, risponderai: “Per la notizia che sta per
giungere, ogni cuore si struggerà, tutte le mani s’indeboliranno, tutti gli
spiriti verranno meno e tutte le ginocchia si scioglieranno come acqua”. Ecco,
la cosa giunge e si compirà, dice il Signore, l’Eterno» (Ez 21,11s).
Le donne piangevano per Gesù. Se esse avessero saputo
quello che stava per venire, avrebbero pianto per sé stesse. «Non piangete
per me», dice Gesù, «piangete per voi stesse», poiché se fanno questo
a me, che cosa faranno a voi? In altre parole, se viene fatto questo all’«albero
verde» d’Ezechiele (cioè, al giusto Gesù), che cosa avverrà agli «alberi secchi»
(cioè a quelli che non sono giusti)? Gli «alberi secchi» affronteranno lo stesso
destino dalle mani dei Romani, anzi peggio.
Il testo greco legge letteralmente: «Se fanno queste
cose
nel legno verde» (cfr. la
traduzione del Martini). «Fare in (qualcuno)» è un idioma ebraico che ha messo
in difficoltà i traduttori. Alcune traduzioni, la Ricciotti, per esempio, nel
tentativo di dare un senso alla frase traduce: «Perché, se si tratta così il
legno verde, che ne sarà del secco?». Lo stesso idioma ricorre in Mt 17,12 in
riferimento a Giovanni Battista: «l’hanno
trattato [letteralmente «hanno
fatto in lui»] come hanno voluto». Qui, siccome il contesto è molto
chiaro, l’idioma «fare in» non ha causato alcun problema. Ma in Lc 23,31 c’è una
difficoltà in più: Gesù si sta riferendo a un passo del Vecchio Testamento. I
nostri traduttori non sono consapevoli di questo, e traducono «legno
verde» invece di «albero verde».
Nel 1901 William Wrede, uno studioso tedesco ha
proposto una teoria ancora ampiamente accettata. Wrede ha suggerito che
l’Evangelo di Marco fosse una grande apologia. Per spiegare perché quasi una
generazione dopo la morte di Gesù, la nazione giudaica non aveva accettato Gesù
come Messia, Marco avrebbe inserito nel suo Evangelo il concetto che Gesù ha
deliberatamente tenuta nascosta la sua messianicità. Wrede credeva che il Gesù
storico non pensasse d’essere il Messia e che non ha mai sostenuto d’esserlo.
Egli credeva che questa fosse un’idea inventata dalla chiesa dopo la morte di
Gesù.
Niente potrebbe essere più lontano dalla verità! Se
Wrede avesse conosciuto di più riguardo il metodo d’argomentazione rabbinico in
riferimento all’interpretazione delle Scritture, non avrebbe sbagliato in
maniera così plateale. La verità è che
sembra
che Gesù non abbia fatto dichiarazioni messianiche. Gesù, è vero, non ha mai
detto apertamente: «Io sono il Messia», come noi uomini moderni ci saremmo
aspettati; ma ha usato un modo molto rabbinico d’insinuare tale verità,
alludendo al Vecchio Testamento in riferimento al Messia promesso. In questo
passo, per esempio, Gesù parla di sé stesso come dell’«Albero Verde» —
un’affermazione messianica.
2. Osservazioni e obiezioni
{Nicola Martella}
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Partiamo da alcune osservazioni testuali. Faccio notare che il testo
greco di per sé recita letteralmente così: «Perché, se fanno ciò al legno
bagnato, che cosa succederà all’asciutto?» (Lc 23,31). Infatti hygrós
significa «umido» in contrapposizione a xērós
«asciutto». Al posto della particella en «in» (nel legno… nell’asciutto)
ci si sarebbe aspettato il dativo (tō
«al»). Blass e Debrunner fanno però osservare che «en
può stare anche per il semplice dativo» (cfr. Lc 2,14; At 4,12; Rm 1,19).
[Friedrich Blass - Albert Debrunner, Grammatik des neutestamentlichen
Griechisch
(Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 197915), p. 178 (= § 220.1)].
Tutto ciò ha a che fare semplicemente con la grammatica greca e non c’è bisogno
di scomodare un presunto «sostrato ebraico».
Che dire di un possibile richiamo all’AT e specialmente
a Ez 21,1-8? Notiamo al riguardo quanto segue.
■ L’espressione «legno / albero verde» non designa
sempre il giusto, in contrapposizione con «legno / albero secco» per
l’empio. È vero che in Gr 17,8, sebbene non ricorra l’espressione «albero
verde», c’è l’idea del giusto che prospera come un albero presso alle acque. Nel
Sal 37,35 però è «l’empio potente» a essere paragonato a un rigoglioso «albero
verde». In Ez 17,24 Dio afferma di aver fatto seccare «l’albero verde», e che ha
fatto germogliare «l’albero secco»; nel parallelismo il primo corrisponde all’«albero
ch’era su in alto» (persona orgogliosa e superba) e che è stato abbassato da
Dio, e il secondo all’«albero ch’era giù in basso» (misero, umiliato) e
che è stato da Lui innalzato.
■ Affermare quindi che in Ez 21,1-8
«allegoricamente, “l’albero verde” è “il giusto” e “l’albero secco” è «il
malvagio», non è evidente nel testo. In Ez 21,3 l’espressione «un fuoco
divorerà in te ogni albero verde e ogni albero secco», significa «tutto
senza eccezione» («tutto ciò ch’è sulla faccia del suolo»); ciò
corrisponde ad altre espressioni come «dalla testa ai piedi» (2 Sm 14,25), «capo
e coda» (Is 9,13), «dal più grande al più piccolo» (Gn 19,11; Gr 6,13).
■ Tra Ez 21,1-8 e Lc 23,31 non c’è nessun
parallelo. Infatti nel primo brano l’espressione intende, come abbiamo visto,
«tutto senza eccezione»; nelle parole di Gesù si intende una progressione: «Se
hanno fatto questo a X, quanto più faranno a Y» (ciò è tipico dei rabbini: dal
maggiore al minore).
■ È probabile che Gesù citasse semplicemente un
proverbio popolare, conosciuto a tutti; esso si basava sull’evidenza che il
«legno umido» (hygrón xylon) bruciasse più difficilmente di quello
asciutto (xērón xylon). Poiché Gesù stava andando al supplizio e fece
riferimento al giudizio che sarebbe venuto sopra Gerusalemme, è probabile che
intendesse col «legno umido» se stesso e con quello «asciutto» quelle donne che
piangevano e i loro figli (Lc 23,28). Non è però evidente una diretta
connotazione morale: «giusto Gesù» contro ingiusti Giudei.
■ Non è quindi evidente che «Fare in (qualcuno)» sia un
idioma ebraico, visto che ricorre abbastanza spesso nella grammatica greca.
È singolare che tutto ciò che a primo acchito sembra strano in un brano, venga
subito interpretato con un sedicente «substrato ebraico»! Anche in Mt 17,12
en
«in» sta per il semplice dativo (tō «al»), come affermano linguisti del
calibro di Blass e Debrunner, e si traduce semplicemente così: «Gli hanno
fatto come hanno voluto».
■ Come abbiamo visto, non è evidente che Gesù si
riferisse a un brano dell’AT; egli non cita qui, né direttamente né a senso,
parole tratte dal profeta Ezechiele o da altri libri dell’AT. È probabile, come
abbiamo detto, che si trattasse di un proverbio popolare.
■ Condivido le perplessità di Argentino riguardo a
Wrede (e ai suoi moderni discendenti) e al suo modo di argomentare intorno alla
consapevolezza di Gesù quale Messia. Ma non ritengo opportune le sue conclusioni
riguardo a Lc 23,31: il brano è troppo poco specifico per alludere qui a «un
modo molto rabbinico d’insinuare tale verità, alludendo al Vecchio Testamento».
3. Altri elementi della tesi
{Argentino Quintavalle}
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Rispondo alle osservazioni di Nicola seguendo il suo stesso ordine
d’argomentazione.
Osservazioni testuali
Prendo atto
dell’argomentazione grammaticale di Blass riguardo la particella en,
anche se questo non significa che non ci troviamo di fronte a un idioma ebraico.
Sarei quasi tentato di complimentarmi con il fratello Nicola per questa sua
ricerca se non sapessi che dietro si nasconde una teologia erronea e pericolosa.
Erronea, perché pensa con superbia di poter fare a meno del sostrato ebraico, e
pericolosa perché è la stessa che nei primi secoli della chiesa, considerò
eretico il cristianesimo giudaico. Neanche la Riforma è riuscita a debellare
questo male, ma il giudizio inizierà dalla casa di Dio. È sicuramente una
fortuna che gli Evangeli Sinottici siano stati scritti qualche decennio dopo i
fatti. Come ho già scritto altrove su questo sito, la ricerca mi ha condotto a
concludere che gli Evangeli Sinottici si basano su uno o più documenti originari
composti dai discepoli di Gesù e dalla chiesa di Gerusalemme. Questi testi sono
stati scritti originariamente in ebraico dopo un periodo di tradizione orale.
Successivamente, essi sono stati tradotti in greco e passati in diversi stadi di
redazione. È la traduzione greca di queste iniziali fonti ebraiche che è stata
usata dai nostri tre evangelisti. Solo quando sono studiati alla luce del loro
sostrato ebraico, gli Evangeli Sinottici preservano un’immagine di Gesù molto
più chiara di quanto sia generalmente riconosciuto.
Per capire Gesù, non è sufficiente la grammatica greca.
Abbiamo anche bisogno di possedere molta familiarità con il giudaismo. Il
materiale giudaico non è importante solo perché ci permette di comprendere Gesù
nel suo proprio tempo, ma anche per interpretare correttamente i suoi detti
ebraici originari. Ogni volta che possiamo essere sicuri che c’è una frase
ebraica dietro il testo greco degli Evangeli, è quella che dobbiamo andare a
considerare e non il greco letterale. Al di fuori di ciò c’è solo la presunzione
di cui Paolo ci mette in guardia in Rm 11,20.
■ 1) Il fatto che l’espressione «legno/albero verde»
non designa sempre il
giusto, in contrapposizione con «legno/albero secco» per l’empio,
non significa che nel caso in questione non sia così. Non esiste una regola
esegetica dove uno stesso simbolo vale necessariamente per tutta la Bibbia. Una
volta può significare una cosa, e un’altra volta può significare l’opposto;
dipende dal contesto. Nel nostro contesto significa «giusti e malvagi», e questo
lo dice Ezechiele stesso: «Eccomi a te! Io trarrò la mia spada dal suo
fodero, e sterminerò in mezzo a te
giusti e malvagi» (Ez 21,8).
■ 2) Dire che in Ez 21,1-8 l’albero verde e l’albero
secco significano semplicemente «tutto senza eccezione» è un’interpretazione
generalizzante. Vediamo l’intero contesto di Lc 23,28-31: «Ma Gesù, voltatosi
verso di loro, disse: Figliuole di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete
per voi stesse e per i vostri figliuoli. Perché ecco, vengono i giorni nei quali
si dirà: Beate le sterili, e i seni che non han partorito, e le mammelle che non
hanno allattato. Allora prenderanno a dire i monti: “Cadeteci addosso”; e ai
colli: “Copriteci”. Poiché se fanno queste cose al legno verde, che sarà egli
fatto al secco?»
Gesù non ha fatto semplicemente uso del principio
rabbinico «dal maggiore al minore», ma si è servito anche della tecnica
dell’allusione. La prova che Gesù stava alludendo al Vecchio Testamento è
nell’espressione «cadeteci addosso… copriteci» che è presa da Os
10,8 e Gesù la riferisce alla distruzione di Gerusalemme. Similmente, l’albero
verde è preso da Ez 21,3 il quale accenna a una catastrofe imminente, ma anche
al ruolo di Gesù come Messia poiché l’albero verde come abbiamo visto sopra
rappresenta il giusto.
La gente che ha sentito Gesù pronunciare queste parole
sulla strada della crocifissione ha certamente inteso che il riferimento
indiretto verso sé stesso, in quanto «albero/legno verde», era una «audace»
affermazione messianica. Era anche un avvertimento, poiché Gesù stava dicendo
alla gente: «Se questa terribile cosa capita a me, quanto più faranno a
voi». La scure era già posta alla radice degli alberi (Mt 3,10).
È degno di nota che un altro saggio (rabbino) fece una
dichiarazione simile circa 150 anni prima di Gesù, mentre anche lui si trovava
sulla strada della crocifissione. Yose ben Yoezer, uno dei più antichi saggi
citati nella letteratura rabbinica, non solo era un grande studioso, ma ci si
riferisce a lui come «molto devoto nel sacerdozio» (Mishnah, Hagigah 2,7). La
dichiarazione che fece portando la croce mentre si recava sul luogo
dell’esecuzione è strutturalmente identica a quella di Gesù; e contiene anche le
parole chiave della formula «kal vaḥomer»: «Se è così per quelli che fanno la
Sua volontà, quanto più sarà per quelli che Lo provocano a ira» (Midrash su Sal
11,5ss).
■ 3) Dire che tra Ez 21,1-8 e Lc 23,28-31 (l’intero
contesto) non c’è alcun parallelo è come dire che Gesù non stava alludendo al
Vecchio Testamento. Ciò non è vero. Innanzitutto il primo brano non significa
«tutto senza eccezione», ma, come abbiamo visto, «giusti e malvagi» (Ez 21,8).
Secondo, Gesù ha in mente non solo Ezechiele ma anche il cap. 10 del profeta
Osea che egli applica alla sua situazione. In esso Israele viene descritta come
«una vigna lussureggiante», molto fruttifera (v. 1), ma ingrata a Dio (v.
2). Quindi, dice Osea, essi diranno «Non abbiamo più re, perché non abbiam0
temuto l’Eterno; e il re che potrebbe fare per noi?» (v. 3); non hanno avuto
fiducia né in Dio né in suo figlio, che cosa di buono avrebbe potuto fare il Re
Gesù? «Essi… giurano il falso… perciò il castigo germoglia, come erba
venefica» (v. 4), come veleno, come quando l’irregolare riunione del
Sinedrio ha illegalmente condannato Gesù. Come punizione, «Israele sarà
coperto d’onta» (v. 6), in modo che «essi diranno ai monti: Copriteci!
E ai colli: Cadeteci addosso!» (v. 8), piuttosto che subire tale
vergogna. Non solo questo, ma «io [Dio] li castigherò a mio talento; e i
popoli
[i Gentili]
s’aduneranno contro di loro» (v. 10). La soluzione per un popolo che si
trova in un simile stato è: «Seminate secondo la giustizia, mietete secondo
la misericordia, dissodatevi un campo nuovo! Poiché è tempo di cercare l’Eterno»
(v. 12). In altre parole, pentitevi, ritornate a Dio. Il consiglio è valido per
tutte le epoche, lo è per i nostri giorni così come lo era per i giorni di Gesù
o per quelli d’Osea, specialmente alla luce di Lc 23,31, che dice che se delle
cose così terribili accadono quando il legno è verde e non può bruciare bene,
cioè, quando l’innocente e il giusto Gesù viene condotto alla morte come un
criminale, quanto peggio sarà per coloro che rifiutano il Messia (specialmente
per quelli che nonostante tutto dichiarano d’agire nel nome di Dio).
■ 4) Secondo me Gesù non stava citando un proverbio
popolare, poiché il suo era un discorso basato esclusivamente su concetti
del Vecchio Testamento dei profeti Osea e Ezechiele dove si parla dei giusti e
degli ingiusti. Gesù è l’innocente messo ingiustamente a morte, la nazione è la
colpevole.
■ 5) A me sembra non strano, ma pericoloso,
chiamare «sedicente» il substrato ebraico. Quelli che hanno cercato d’eliminare
l’ebraicità dal cristianesimo hanno portato solo dolori e false dottrine (che la
Riforma non ha riformato). Sia ringraziato Dio che nessuno sarà mai in grado
d’eliminare il substrato ebraico, non solo degli Evangeli, ma di tutto il Nuovo
Testamento. Gli evangelici hanno quasi idolatrato la Riforma, come se le loro
radici si trovassero lì, ma se la chiesa vuole veramente un risveglio deve
andare molto più indietro della Riforma per trovare le sue radici. Troppi
evangelici vivono senza rendersene conto un cattolicesimo riformato, e farebbero
bene porsi delle domande.
■ 6) Spero d’aver dimostrato l’infondatezza
dell’affermazione: «Egli non cita qui, né direttamente né a senso, parole tratte
dal profeta Ezechiele o da altri libri dell’AT» (vedi punto 2 e 3).
■ 7) Gloria a Dio siamo d’accordo su Wrede.
Conclusione
Al di là della disquisizione tecnica su Lc 23,31, che
lascia il tempo che trova, il problema è molto più profondo e serio. Comunque,
il destino di Gesù è stato dichiarato da Dio, per mezzo dell’angelo, a Maria: «Questi
sarà grande, e sarà chiamato il Figlio dell’Altissimo, e il Signore Dio gli darà
il trono di Davide suo padre, ed egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno,
e il suo regno non avrà mai fine» (Lc 1,32s). Se il regno di Cristo è un «Regno
davidico», possiamo concludere che il sistema e la struttura di cose che
verranno impiegate in esso e in cui vivremo, saranno quelle che ci sono state
date da Dio attraverso i Giudei.
4. Altre osservazioni e obiezioni
{Nicola Martella}
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Ritengo inutile ritornare sulla tesi dell’ipotizzato «sottotesto
ebraico» del NT alla base di quello greco, visto che Argentino non ha
addotto neppure una sola prova documentaria. Si può ragionare solo sulle
prove oggettive, mentre è difficile scardinare le convinzioni soggettive e
personali. Fino a quando egli non addurrà prove documentarie chiare
(manoscritti o frammenti d’essi) e non solo il «si dice» (Papia, ecc.), per me
l’argomento è chiuso.
Sorvolo sull’addebito ricorrente di una «teologia
erronea e pericolosa». È la solita storia: quando non si hanno argomenti,
si passa alle accuse di antisemitismo (!), a minacciare il «giudizio divino» e a
mettere in guardia con Rm 11,20. Transeat.
Ragionare sui presunti «sostrati
ebraici» è come parlare di «Neverland»:
tutti dicono che c’è, ma nessuno sa indicare dove sia. L’asserzione: «Solo
quando sono studiati alla luce del loro sostrato ebraico, gli Evangeli Sinottici
preservano un’immagine di Gesù molto più chiara di quanto sia generalmente
riconosciuto», ha poco contenuto reale, letterario, scientifico e teologico, non
esistendo nessun manoscritto ebraico del genere. È difficile ragionare
sulle sublimazioni mentali e sulle convinzioni personali senza prove.
Per capire Gesù, abbiamo «la parola
profetica, più ferma, alla quale fate bene di prestare attenzione, come una
lampada splendente in luogo oscuro, finché spunti il giorno e la stella
mattutina sorga nei vostri cuori» (2 Pt 1,19). La letteratura ebraica del
Medioevo può essere interessante, ma è sempre un abbaglio pretendere con essa
«di comprendere Gesù nel suo proprio tempo» e di «interpretare correttamente i
suoi detti ebraici originari». È come se, ad esempio, con il romanzo «Gli
indifferenti»
di Alberto Moravia volessi comprendere la Divina Commedia, solo perché sono
ambedue appartenenti alla stessa terra e cultura italiane; se si vuole un
esempio giudaico, allora è come se con gli scritti satirici e umoristici dello
scrittore israeliano Ephrem Kishon volessi spiegare il Talmud (cfr. «Mein Kamm»
[Il mio pettine] quale parodia di «Mein Kampf» [La mia lotta] di Hitler).
Come «possiamo essere sicuri che c’è una frase ebraica
dietro il testo greco degli Evangeli», se non esiste un testo ebraico di
riferimento? Aprite allora le porte al soggettivismo del singolo autore,
all’arbitrio eisegetico, alle proiezioni personali dettate dai propri desideri!
Per il resto Argentino non aggiunge nulla di nuovo,
se non ripetere le sue tesi. Esse però non acquistano così più probabilità e
credito. Prima si presume che sia così, poi si afferma che è così. Il resto è
contorno. Non c’è nessuna vera prova che Gesù abbia citato Ez 21,3 e abbia
inteso il giusto e l’empio. Non c’è neppure la probabilità che tali donne (qui
rese teologhe e profonde conoscitrici di allusioni veterotestamentarie!) abbiano
capito tale presunto gioco di parole (legno/albero verde = giusto; legno/albero
secco = empio). Sono solo opinioni personali che, come detto, valgono il tempo
che trovano e sono difficili da dimostrare o da estirpare.
Della formula retorica «dal maggiore al minore»
ne avevo parlato io stesso e ciò è l’unica realtà delle parole di Gesù:
un’intensificazione dell’argomentazione. Le parole di Yose ben Yoezer (se le ha
mai pronunciate veramente, essendo state scritte nella Mishna vari secoli dopo
Cristo) riproducono tale formula dialettica, ma non aggiungono nulla alla
dimostrazione della testi iniziale.
Il resto sono tutte supposizioni, basate su
assunti aprioristici, senza il minimo elemento di dimostrazione testuale
concreto. Ci si muove in cerchio, ripetendo gli argomenti e sperando così di
convincere. La sostanza rimane la stessa: l’argomentazione è, a mio parere,
inconcludente. La citazione dal libro di Osea (anche nell’excursus fatto da
Argentino) non integra di credibilità la presunta allusione di Gesù a Ez 21,3 e
al significato attribuito al «legno / albero». Non è aggiungendo mele (e
spiegandole bene) che le «non-pere» diventino «pere».
Poi si ritorna nuovamente al «sedicente substrato
ebraico» e con un falso sillogismo si vede (come al solito) nella mia
obiezione il tentativo «d’eliminare l’ebraicità dal cristianesimo hanno portato
solo dolori e false dottrine». Qui si confondono piani differenti. La lingua
batte dove il dente duole. Quando non si arriva con argomenti attendibili, si
cade nelle stesse false manovre mentali e dialettiche. Si fa bene a esercitare
l’onestà intellettuale! Chi non è convinto di un sedicente «sottotesto ebraico»
— perché manca una prova documentaria — non diventa automaticamente negatore
dell’ebraicità del primo cristianesimo o addirittura antisemita! Ciò non ha
nulla a che vedere con la Riforma (o una presunta idolatria d’essa), ma con
l’onestà intellettuale: dove non ci sono chiare prove documentarie, esistono
solo ipotesi e convinzioni soggettive; ciò vale tanto nella scienza che nella
teologia. Certo che si «deve andare molto più indietro della Riforma per trovare
le sue radici»: si deve fare una corretta esegesi del testo biblico che abbiamo
e nella lingua che c’è stato trasmesso! I riferimenti al giudaismo possono
essere interessanti (se congruenti al testo biblico), tuttavia non sono una
prova esegetica, ma tutt’al più esempi e paralleli che fanno da contorno — tanto
più che come fonte letteraria provengono molti secoli dopo Cristo. Citare un
rabbino non è una prova esegetica. Chi imbriglia il testo biblico con sedicenti
sottotesti ebraici (ossia le citazioni rabbiniche), fa solo danno al testo e
rischia di non capirlo veramente; lo stesso fa chi pretende di intendere il NT
con il platonismo o un altro filosofo greco (p.es. proiettando il «logos»
filosofico di Platone in Gv 1).
In conclusione, tale ripetizione non ha aggiunto
nulla all’argomentazione della tesi iniziale e non ha quindi dimostrato in alcun
modo la presunta infondatezza della mia obiezione, che rimane: Gesù non cita
qui, né direttamente né a senso, le parole di Ez 21,3. Anche la conclusione di
Argentino non aggiunge purtroppo nulla al chiarimento di Ez 21,3.
Qui ritengo perciò definitivamente chiuso il confronto
su questo tema.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Legno_verde_secco_Car.htm
29-09-07; Aggiornamento: 11-10-2007
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