Un lettore ci ha presentato le seguenti questioni.
Qualche anno fa, in una rivista cristiana lessi un articolo, in cui l’autore
sosteneva che in 2 Corinzi 6,14 il «giogo» si riferisce anche a fratelli in
affari e in società con non credenti. Personalmente condivido anch’io questo
pensiero. Infatti, se legati da interessi con increduli, si potrebbe facilmente
cadere in cose poco trasparenti; magari ci si mette in società con qualcuno che
potrebbe essere una persona malvista dagli altri, e i cattivi pensieri su di lui
potrebbero estendesi anche nei confronti del credente.
Un conto è essere dipendente di qualcuno e avere come colleghi di lavoro anche
persone, che non sono degli stinchi di santo e di cui magari non tanto si parla
bene. Un’altra cosa è invece è entrare in società con non credenti.
Ora mi sento un po’ confuso per una situazione simile che coinvolge un credente
della nostra comunità. Egli, pur avendo una qualifica professionale, per
mancanza di lavoro nel suo settore era costretto a fare ben altro in un altro
settore; per la crisi purtroppo perse anche tale lavoro. Per questo aveva
chiesto alla comunità di pregare per un nuovo lavoro. Cercò diverse possibilità
di lavoro, ma inutilmente. Dopo qualche tempo, ci comunicò che, non trovando
altro, era entrato in società con altri suoi colleghi dello stesso mestiere.
Ora, sono sicuramente iscritti alla Camera del commercio come ditta, hanno
sicuramente la partita IVA e ottemperano agli altri adempimenti richiesti dello
Stato. Sono quindi una società a tutti gli effetti, avendo anche alcuni operai.
Nicola, fammi capire per favore come avere le idee chiare intorno a questa
vicenda. Grazie del tuo impegno. {Gino Clacia, ps.; 6 agosto 2009}
Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondiamo qui di seguito. |
Le questioni sono due: ▪ 1) Che cosa afferma veramente 2 Corinzi 6,14; ▪ 2) Che
cosa pensare, quando un credente entra in società con un non credente. È meglio
tenere formalmente distinte le due questioni per non prevaricare a priori il
significato del brano.
1. IL CONTESTO DI 2 CORINZI 6,14:
Nella questione di 2 Corinzi 6,14 bisogna distinguere la spiegazione contestuale
del verso (esegesi) dalle possibili applicazioni. L’esegesi intende appurare il
pensiero dell’autore; le applicazioni agiscono secondo il principio
dell’analogia.
L’intento di Paolo era che i credenti di Corinto non dessero un «motivo di
scandalo in cosa alcuna» (v. 3) e al riguardo presentò sé e la sua squadra
missionaria come esempio (vv. 3-10). I Corinzi avevano smesso di averli come
modello (vv. 11ss), ossia da quando avevano cominciato a seguire i
«superapostoli» giudaici di stampo gnostico (leader carismaticisti d’allora; 2
Cor 11). Sotto tali concezioni gnostiche, diversi cristiani di Corinto avevano
cominciato a mutare il loro comportamento morale. Alcuni ritenevano perciò che
potevano partecipare ai riti pagani, dove si mangiava, beveva e non di rado si
finiva a praticare orge in nome degli dèi. Altri si recavano dalle prostitute e
dai prostituti, che operavano presso i templi in onore della deità di
riferimento. La motivazione morale era che oramai il loro spirito era salvato e
potevano fare ciò, poiché il loro corpo era destinato, in un modo o nell’altro,
alla distruzione. Alla presunta libertà di andare dalle prostitute sacre Paolo
aveva già risposto in 1 Corinzi 6,9-20. Alla presunta libertà di partecipare ai
banchetti nei templi in onore degli dèi, con annessi e connessi, l’apostolo
aveva risposto in 1 Corinzi 8; 10,7.14-33; 12,2.
In 2 Corinzi 6 la risposta di Paolo non si limitava al v. 14, ma va almeno fino
a 7,1. Dopo aver affermato «non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo
che non è per voi», fece seguire coppie antitetiche:
Tipo di relazione |
Aspetto positivo |
Aspetto negativo |
Comunanza (v. 14) |
giustizia |
iniquità |
Comunione (v. 14) |
luce |
tenebre |
Armonia (v. 15) |
Cristo |
Beliar (da Bel = Baal =
Belzebù) |
Cosa in comune (v. 15) |
fedele |
infedele |
Accordo (v. 16) |
tempio di Dio |
idoli |
Le coppie antitetiche mostrano che una relazione non è possibile nelle cose che
l’apostolo aveva in mente. Esse erano nell’ambito etico-religioso (fornicazione
e idolatria). Chi pratica tali cose e si chiama ancora «cristiano», rischia di
aver «ricevuto la grazia di Dio invano» (6,1). Chi è il «tempio del
Dio vivente» (v. 16b) non può aver comunione con altri templi. Chi è entrato
nel patto del Signore (il suo giogo), prendendo il Dio vivente come suo Dio ed
entrando a far parte del popolo del patto (v. 16c), non può entrare in altri
vincoli. La prova che si è entrato nel patto del Signore, diventando un figlio
di Dio, è proprio l’uscita dal sistema peccaminoso dell’etica abominevole e del
culto contaminato (vv. 17s). Non è un caso che poi esorta i credenti così: «Purifichiamoci
d’ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione
nel timor di Dio» (7,1).
2. UN CREDENTE IN SOCIETÀ CON NON CREDENTI:
Quella, che abbiamo appena vista, è l’esegesi contestuale del brano. Altra cosa
sono le varie ed eventuali applicazioni morali che si fanno d’esso. Gli
uni l’applicano alle relazioni sentimentali fra credenti e increduli. Altri lo
fanno anche per le relazioni d’affari e società, ritenendo che per un credente
sia difficile mantenersi moralmente integerrimo con un socio che agisce secondo
le regole di questo mondo. Tali principi sono veri, bisogna valutare, però, se
tali applicazioni corrispondano proprio alla spiegazione contestuale del brano.
Altrove si parla più esplicitamente di sposarsi solo nel Signore (1 Cor 7,39),
ossia fra credenti. Viene ribadito però esplicitamente nel NT di non fare
società con gli increduli? Bisogna ammettere che, di là da 2 Corinzi 6,14 e ai
significati che si traggono da tale brano, ciò non avviene in modo specifico e
chiaro. Possiamo solo fare deduzioni.
Paolo aveva indicato le cose che escludevano dall’ereditare il regno di Dio (1
Cor 6,9ss). Aveva esortato a separarsi assolutamente da chi, «chiamandosi
fratello», praticava ancora tali trasgressioni o abomini (1 Cor 5,11s). Egli
puntualizzò: «V’ho scritto nella mia epistola di non mischiarvi con i
fornicatori;
non del tutto però con i
fornicatori di questo mondo, o con gli avari e i rapaci, e con gli idolatri;
perché altrimenti dovreste uscire dal
mondo» (vv. 9s). Chiaramente qui parlò solo di contatti sociali
all’interno di una collettività, non intendeva certo la possibilità di fare
società insieme agli increduli.
Paolo, dopo aver esortato i Tessalonicesi a distinguersi moralmente dai pagani
(1 Ts 4,3ss), aggiunse: «Nessuno faccia prevaricazioni né sfrutti il
fratello negli affari, perché il Signore è un vendicatore su tutto ciò»
(v. 6). Ciò potrebbe almeno significare che i credenti privilegiassero di fare
affari tra di loro.
Nell’AT Dio proibì di fare alleanza di nessun tipo con le popolazioni
pagane di Canaan (Es 23,32s) e tanto meno d’imparentarsi con loro (Dt 7,2s),
perché esse avrebbero indotto gli Israeliti a peccare contro l’Eterno, come poi
accadde (Gdc 2,2). Dio rimproverava e minacciava così l’Israelita infedele: «Se
vedi un ladro, tu ti diletti nella sua compagnia, e sei il
socio degli adulteri» (Sal
50,18). La sapienza d’Israele descriveva bene la situazione, in cui un credente
faceva società con un empio: «Chi fa
società con il ladro odia l’anima sua;
egli ode la esecrazione e non dice nulla»
(Pr 29,24). Ciò significa che, come dice un proverbio: «Chi va con lo zoppo,
impara a zoppicare»; o anche: «Le cattive compagnie rovinano i buoni costumi».
Alla fine si fa il «callo morale», non si percepiscono più certe cose per
la loro gravità (imprecazioni, mezze verità, bugie, pratiche disoneste) o
addirittura si trovano scusanti, ad esempio: lo Stato mette troppe tasse; se
dichiariamo tutto, chiudiamo…
Un giorno vennero da Giovanni Battista diverse categorie professionali
per chiedere che cosa fare in vista del regno di Dio. «E vennero anche dei
pubblicani [= esattori delle tasse per conto dei Romani] per esser battezzati, e
gli dissero: “Maestro, che dobbiamo fare?”. Ed egli rispose loro: “Non riscotete
nulla di più di quello che v’è
ordinato”. Lo interrogarono pure dei soldati, dicendo: “E noi, che dobbiamo
fare?”. Ed egli a loro: “Non fate
estorsioni, né opprimete alcuno con false denuncie e
accontentatevi della vostra paga”»
(Lc 3,12). Nel primo caso (lavoro autonomo) era facile gestire il lavoro come si
voleva; bastava attenersi a quanto indicava il contratto con i Romani (i
pubblicani erano i più ladri e i più odiati). Anche nel secondo caso (lavoro
dipendente) bastava attenersi alle direttive contrattuali. Il problema sorgeva
nel primo caso, quando ci si metteva in società con qualcuno che aveva una
sensibilità morale differente.
Ecco
l’esperienza di Paolo. Nel periodo in cui questo apostolo aveva bisogno di
soldi per vivere, poiché i suoi discepoli erano lontani, non si mise in società
con chiunque, ma con un suo simile nella cultura religiosa e nella fede: «E
trovato un certo Giudeo, per nome Aquila… con Priscilla sua moglie… s’unì a
loro. E siccome era del medesimo mestiere,
dimorava con loro, e lavoravano; poiché, di mestiere, erano fabbricanti di tende»
(At 18,2s); essi erano giudei cristiani (vv. 18.26ss). Paolo non si mise in
società con chiunque, ma solo con persone timorate di Dio, sì cristiane.
L’esperienza insegna che è difficile mettere sotto lo stesso giogo fisico un
bue e un asino, a causa della loro differente natura, e farli tirare un carro o
un aratro insieme. Tanto più è difficile mettere insieme, sotto lo stesso giogo
morale, un credente e un incredulo, chi vuol servire Dio e chi vuol farlo di
Mammona. Gesù insegnava che non si può servire due padroni allo stesso tempo (Mt
6,24).
Nella mia esperienza non ho visto andare bene le società fra credenti e
increduli. Prima o poi sono sorti problemi e a rimetterci sono stati proprio i
credenti. Di là dal fatto se tali credenti di mia conoscenza si sono adeguati o
meno alla sensibilità morale dei loro soci increduli, fatto sta che per una
fiducia mal risposta hanno perso quanto avevano investito nella ditta; e alcuni,
per uscire dai guai societari, prodotti da tali soci, hanno perso anche la loro
proprietà personale (casa, ecc.), oltre alla pace e alla serenità.
►
Il giogo diseguale fra credenti e increduli {Nicola Martella} (T)
►
Non vi mettete con gli infedeli {Nicola Martella} (D)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Giogo_2Cor6-14_societa_UnV.htm
14-08-2009; Aggiornamento: 30-06-2010
|