1. ENTRIAMO IN TEMA: Tempo fa,
in un gruppo, a cui sono stato iscritto, ho trovato le seguenti e interessanti
questioni sulla storia di Eliseo e Ghehazi. Scrissi per me la risposta,
ma non la ricopiai in rete, per non mettere subito fine alla discussione. Ho
aspettato che qualcuno desse una risposta, ma probabilmente gli altri lettori
erano troppo occupati con altro, ritenevano la questione poco rilevante o
avevano paura di scottarsi le mani con una problematica troppo complessa, per
cui bisogna fare una ricerca più approfondita e per cui bisogna avere un
minimo di preparazione teologica. Non risponderò a tutte le questioni, ma solo
ad alcune (la questione del morbo cutaneo), per permettere ad altri di
intervenire. La domanda si presta bene come esercizio per affinare le proprie
capacità ermeneutiche (o interpretative) per capire brani biblici che ci
appaiono ostici.
2. LE QUESTIONI: La storia
di Eliseo è in ordine cronologico? Infatti, al servo di Eliseo è stata passata
la lebbra di Naaman, ed era bianco come neve, quindi la malattia era a uno stato
avanzato (2 Re 5,27). Nel frattempo ci sono stati altri eventi e 7 anni di
carestia (2 Re 8). Almeno 7 anni dopo, ma saranno stati di più, troviamo Gehazi
al cospetto del re a parlare delle gesta di Eliseo. Si tratta di omonimia?
Perché difficilmente avrebbe potuto sopravvivere 7 anni e, comunque, non si
sarebbe potuto presentare a un re in quelle condizioni. O sbaglio?
{Annegret
Martella; 22-04-2011}
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Il quadro rappresenta una scena tratta
dall’Antico Testamento, che riguarda il profeta Eliseo e il suo servo Ghehazi (2
Re 5,25s). Nella storia, il profeta Eliseo aveva guarito Naaman, un condottiero
della Siria, da una malattia cutanea infettiva. Il profeta aveva rifiutato i
doni di Naaman, ma Gehazi credette di poter approfittare della situazione,
facendosi dare di nascosto i doni per sé. Perciò, la malattia di Naaman colpì
Ghehazi. |
3.
LE RISPOSTE:
Per prima cosa bisogna osservare che non si trattata della lebbra moderna, ma di
certe malattie cutanee, che attaccavano anche stoffe e pelli. Nella mia
traduzione letterale del
Levitico
ho riprodotto il termine ebraico
correttamente con «morbo». Alcune di queste malattie come la rogna e la tigna a
quel tempo non erano curabili (Dt 28,27). Anche riguardo a quella che per
convenzione viene tradotta come «lebbra», è scritto letteralmente: «…è
tigna, è “morbo” del capo o della barba» (Lv 13,30; cfr. vv. 31-37).
Ora, come viene spiegato, la tigna è solo una di tali malattie cutanee
contagiose (Lv 14,54).
Secondo la legge
mosaica, quando tale morbo cutaneo copriva tutto il corpo di una persona,
cosicché appariva completamente bianca, la malattia s’era cronicizzata e la
persona era praticamente guarita e non più infettiva! Cito dalla mia traduzione:
«E se il “morbo” erompe impetuosamente e il “morbo” copre tutta la
pelle di chi ha la piaga, dal suo capo ai suoi piedi, dovunque gli occhi del
sacerdote guardino, e [quando] il sacerdote [lo] esaminerà, ed ecco, il “morbo”
copre tutto il corpo, dichiarerà come puro [chi ha] la piaga: essendo
diventata tutta bianca, è pura» (Lv
13,12s). Non essere più contagiosi per gli altri non significava, però, per
forza che l’agente patogeno fosse sparito dal corpo della persona, ma che le sue
difese immunitarie lo tenevano sotto controllo (cfr. l’herpes).
Nel caso del morbo
di Mosè, egli non doveva essere dichiarato «puro» (Es 4,6), visto che Dio
gli comandò di rimettere la mano nella piega della veste, perché ritornasse
guarita (v. 7); per altro non c'era ancora una legge su tale «morbo». Nel caso
di Miriam, sua sorella (Nu 12,10ss), la malattia sì era praticamente
cronicizzata, poiché «era ammorbata, bianca come neve». Faccio notare che
in tali casi la legge prescriveva che la guarigione doveva essere dapprima
attestata dal sacerdote e, dopo una cerimonia preliminare (Lv 14,1-7), a cui
seguiva un periodo di quarantena, che durava sette giorni, durante il quale
l'ammorbato era posto a pubblica osservazione (vv. 8s), all'ottavo giorno si
procedeva alla cerimonia finale, per fare la purificazione e l'espiazione per
tale persona (vv. 10-20). Proprio così accadde a Miriam (Nu 12,14s).
Anche Ghehazi,
era «tutto ammorbato, bianco come la neve» (2 Re 5,27), quindi,
praticamente guarito. Tuttavia, egli e la sua discendenza erano probabilmente
portatori sani della patologia cutanea, sebbene non fossero contagiosi per gli
altri, ossia almeno fintantoché non erompesse di nuovo ed entrasse in una fase
virulenta.
Gli aspetti
della cronologia li lascio qui aperti, visto che probabilmente trovano
risposta già in ciò, che ho detto. In ogni modo, per dire che le narrazioni non
siano cronologiche, bisogna avere prove certe e non solo supposizioni. Spesso il
problema non sta nei testi in sé, ma nella nostra comprensione al riguardo, che
può essere lacunosa.
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URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Ghehazi_morbo_R34.htm
26-04-2011; Aggiornamento: 23-11-2012 |