Una lettrice ci ha presentato le seguenti questioni.
Buongiorno, sg. Nicola, volevo porle una domanda. Sono una ragazza credente di
20 anni. Leggendo la Bibbia mi sono imbattuta in Efesini 4,8 che recita:
«Salito in cielo, Egli ha portato con sé dei prigionieri e ha fatto dei doni
agli uomini». Ne sono rimasta colpita, perché io non sapevo che Gesù,
andando in cielo, avesse portato con sé dei prigionieri.
Ora le domande che vorrei porti sono le seguenti: Chi sono questi
prigionieri? Sono persone? Che bisogno aveva Gesù Cristo fare dei prigionieri? E
quale potrebbe esserne lo scopo?
Forse sono domande stupide, ma spero che lei riesca a rispondermi e innanzitutto
spero che non sia un disturbo per lei questa mia e-mail. Ho cercato dei
riferimenti, ma da sola non sono riuscita a trovare niente. La ringrazio
infinitamente in anticipo. Che Dio la benedica in ogni momento della sua vita.
{Daniela Iornino; 2 marzo 2010}
Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondiamo qui di seguito. |
Per capire tale brano, bisogna andare all’originale, che Paolo citava e che si
trova in Salmo 68,18: «Tu sei salito in alto, hai portato in cattività
dei prigionieri, hai preso doni dagli uomini, anche dai ribelli, per far qui la
tua dimora, o Eterno, Dio». In tale salmo Davide descriveva l’intervento di
Dio nella storia contro i nemici d’Israele (vv. 1s). L’Eterno che entra in Sion,
viene proclamato come Re di liberazione e di giustizia dal suo popolo (vv. 3-6).
Davide ricalcò la storia passata d’Israele dalla migrazione del deserto in poi
(vv. 7-14). Poi evidenziò la scelta di Dio riguardo al monte di Sion come sua
dimora, ossia il suo santuario (vv. 15s). Poi Davide descrisse l’entrata del re
trionfatore che arriva dal Sinai (monte della rivelazione) ed entra a capo dei
suoi eserciti nel santuario di Sion (monte della dimora; v. 17). Era cosa
normale che il re vittorioso, entrando nella capitale, teneva il suo trionfo,
trascinando dietro di sé in cattività gli sconfitti e portando con sé il tributo
delle popolazioni sconfitte (v. 18). Il resto del salmo descrive il festante
avvento futuro dell’Eterno come Re e tutto ciò che l’ingresso trionfante di Dio
comporterà per Israele (riscatto) e per le nazioni (assoggettamento e tributo;
vv. 19-35).
Tale salmo contiene elementi messianici, ed era ovvio che gli apostoli lo
applicassero a Gesù, essendo egli il Messia-Re promesso.
In
Efesini 4 Paolo parlò di sé come carcerato (v. 1). Oltre a ciò esortò a un
comportamento degno della vocazione ricevuta e a usare ogni accorgimento e
sforzo per «conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace» (vv.
1ss). Infatti, i credenti sono uniti in un corpo unico mediante un unico
Spirito, hanno un’attesa comune e una professione di fede comune (vv. 4ss).
Perché tutto ciò possa funzionare, nel corpo c’è una distinzione di ruoli, di
carismi e di ministeri; sebbene la grazia (charis) sia unica, le
elargizioni (dōreá
«dono») di Cristo, sono differenti (v. 7). Per evidenziare ciò, Paolo citò
proprio Salmo 68,18 applicandolo a Gesù quale Messia-Re. Come abbiamo visto,
durante il trionfo, il re vincitore portava dietro di sé i prigionieri fatti in
battaglia e il bottino di guerra, ma qui le cose sono un po’ differenti, citando
la Septuaginta. Qui Paolo parlò dell’umiliazione di Gesù; l’espressione «è
disceso nelle parti più basse della terra» (= venne sulla terra) intende la
sua incarnazione e altresì la sua passione e morte. Contemporaneamente parlò del
suo successivo trionfo, ossia l’ascensione «al di sopra di tutti i cieli» per
avere un significato universale («affinché riempisse ogni cosa»; vv. 9s).
Faccio notare che la questione dei «prigionieri» non è trattata qui da
Paolo, poiché l'introduzione di tale citazione veterotestamentaria è a senso e
soltanto riferita a questa realtà: «Salito in alto… ha fatto dei doni agli
uomini» (v. 8). Se in tale logica del salmo, se applicato a Gesù Messia, si
vuole trovare assolutamente un'applicazione (non per forza una
spiegazione esegeticamente coerente, visto che a Paolo questo aspetto qui
non interessava), allora i «prigionieri» potrebbero
essere tutti i credenti di tutti i tempi.
Diversamente da ciò, a Paolo interessa il «bottino di guerra»; esso
diventa, per logica inversa alla politica umana, i doni che egli ha fatto alla
chiesa, costituita dai credenti presenti nell’unico corpo (vv. 4.7). Tale
discorso viene ripreso subito dopo, affermando: «E
lui ha dato gli uni come missionari [fondatori = apostoli]; e altri, come
proclamatori [= profeti]; e altri, come araldi [= evangelisti]; e altri, come
curatori d’anime [= pastori] e insegnanti [= dottori],
12per
l’equipaggiamento dei santi riguardo all’opera del servizio, per la costruzione
del corpo di Cristo…» (vv. 11s). Tali sono i doni che Cristo ha fatto
alla chiesa per far sì che «tutti arriviamo all’unità della fede e della
conoscenza del Figlio di Dio, alla piena virilità, alla misura d’età della
pienezza di Cristo» (v. 13; cfr. vv. 14ss). Ciò ha conseguenze per il
comportamento e l’etica dei cristiani (vv. 17-32).
Ricapitolando: La corrispondenza sta solo nell’analogia generale, la logica
divina e quella umana sono però differenti. Sebbene Paolo non ne abbia parlato,
abbiamo visto che , se si vuole fare per forza un'applicazione, tali
«prigionieri» non sono, spiritualmente parlando, dei nemici attuali (magari lo
erano in passato), ma sono tutti coloro che egli ha conquistato con la grazia e
che, ora, fanno parte dell’«unico corpo», la chiesa. Contrariamente alla logica
bellica degli umani, Cristo non ha reclamato un «bottino di guerra» dagli
uomini, prendendo da loro dei tributi da portare con sé al di sopra di tutti i
cieli, ma ha fatto doni alla chiesa. Abbiamo visto che tale salmo, se
applicato al Messia, descrive semplicemente la redenzione, per evidenziare il
diritto del Messia a essere il trionfatore nella storia. Contrariamente alla
logica originaria del salmo in ebraico, nel Nuovo Testamento Gesù non ha
fatto «prigionieri di guerra» da destinare alla schiavitù, ma persone liberate
da portare a miglior vita. Inoltre, invece di prendere tributi dai suoi sudditi,
egli ha fatto loro doni. Certo, il Messia-Re aveva tutto il diritto di trionfare
su tutti i suoi nemici e di renderli schiavi e tributari, oltre che eternamente
perduti, ma non usò questo suo diritto. Il Messia-Re preferì la «logica
inversa»: un regno di riscattati, a cui fare elargizioni regali.
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Efesini 4,8 nel suo contesto? Parliamone {Nicola Martella} (T)
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URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Efesini4-8_Sal68-18_OiG.htm
19-03-2010; Aggiornamento: 31-03-2010 |