Un lettore ci ha presentato la seguente questione.
Pace, fratello Nicola, […] leggo spesso e volentieri gli articoli, che posti nel
tuo sito: li trovo davvero molto edificanti. […] Vengo di nuovo a chiederti di
chiarirmi un dubbio che ho avuto, cercando delle incongruenze con la sana
dottrina nei libri apocrifi, presenti nella versione CEI della Bibbia. Stavo
cercando in particolare la presenza di passi che giustificassero le
indulgenze; naturalmente ho trovato dei passi, che parlavo dell’«elemosina
tipo omino bianco, che lava da ogni peccato» (Tobia 4, 10; 12, 9; Siracide 3,
29). Poi, però, ho trovato anche un passo, sempre nella CEI, nel libro di
Daniele
che recita: «Perciò, re, accetta il mio consiglio: sconta i tuoi peccati con
l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti,
perché tu possa godere lunga prosperità» (Dan 4,24). Ora, questo passo non
l’ho trovato né nella Nuova Riveduta, né nella Diodati; infatti la Nuova
Riveduta dice così: «Questa è l’interpretazione, o re; è un decreto
dell’Altissimo, che sarà eseguito sul re, mio signore» e la Diodati: «Questa,
o re, ne è l’interpretazione, e questo è il decreto dell’Altissimo, che deve
essere eseguito sopra il mio signore». Sono arrivato a due conclusioni:
1) I cari amici cattolici l'hanno inventato di sana pianta per
giustificare le eresie scritte nei libri apocrifi (lo vedo poco probabile).
2) Il versetto fa parte di un’aggiunta apocrifa al libro di Daniele e
quindi il versetto Dan 4, 24 della CEI non corrisponde al Dan 4,24 delle
versioni evangeliche.
Fratello, tu sicuramente ne sai più di me al riguardo, spero che mi darai una
risposta. Da canto mio cercherò d’intervenire su questo tema e, Dio volendo,
darò il mio contributo. {Giuseppe Vitale; 18-11-2010}
Ad aspetti rilevanti di tale questione rispondiamo qui di seguito.
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Testo biblico e testi apocrifi
Per capire la problematica, bisogna tener presente quanto segue. Il testo
autorevole per gli Ebrei è quello ebraico; per evitare errori di trascrizione, i
copisti ne mettevano alla fine d’ogni rigo addirittura il risultato numerico,
poiché le lettere erano altresì numeri. La Settanta era invece un’opera
culturale, che raccoglieva scritti canonici ed extra-canonici del giudaismo; per
questo contiene anche gli apocrifi. Questi ultimi, oltre a essere tardivi, ossia
del periodo ellenistico, esistono soltanto in greco e non hanno mai fatto parte
del canone della Tanak (= AT), che è appunto in ebraico e con alcuni brani in
aramaico (Dan; Esd-Ne; Est).
Per motivi d’opportunismo religioso, ossia per cercare basi alle proprie
dottrine particolari, il cattolicesimo della Controriforma ha deciso di adottare
gli apocrifi nel proprio canone. Gli apocrifi riguardo al libro di Daniele sono,
oltre ad alcune aggiunte, le seguenti:
■ La preghiera di Azaria (2° sec. a.C.): Questo testo greco forma nelle
Bibbie cattoliche Daniele 3,26-45; tale testo apocrifo si trova nella Settanta,
ma non compare nella Bibbia ebraica. Azaria sarebbe uno dei tre amici di
Daniele, ossia Abdenego.
■ Cantico dei tre giovani nella fornace (2° sec. a.C.): Questo testo
greco forma nelle Bibbie cattoliche Daniele 3,52-90; tale testo apocrifo si
trova nella Settanta, ma non compare nella Bibbia ebraica. Tale cantico sarebbe
stato cantato dai tre giovani nella fornace, chiamati nella Bibbia ebraica come
Sadrach, Mesach e Abdenego.
■ La storia di Susanna (2° sec. a.C.): Questo testo greco forma nelle
Bibbie cattoliche il capitolo 13 di Daniele; tale apocrifo racchiude in sé la
storia di una donna ebrea, accusata ingiustamente di adulterio, ma che Daniele
difende in giudizio, ribaltando il verdetto e il destino.
■ Bel e il drago (2° sec. a.C.): Questo testo greco forma nelle Bibbie
cattoliche il capitolo 14 di Daniele; tale apocrifo racchiude in sé due leggende
eroiche, che hanno Daniele come centro.
Confronto testuale
In ogni modo,
Daniele 4,24 CEI non è un’aggiunta, ma fa parte del testo ebraico. Si
veda quanto segue:
CEI (Dan 4,20-25) |
Riveduta (Dan 4,23-28) |
20
Che il re abbia visto un vigilante, un santo che scendeva dal cielo e diceva:
Tagliate l’albero, spezzatelo, però lasciate nella terra il ceppo delle sue
radici legato con catene di ferro e di bronzo fra l’erba della campagna e sia
bagnato dalla rugiada del cielo e abbia sorte comune con le bestie della terra,
finché sette tempi siano passati su di lui, |
23
Poi il re ha visto un santo vegliante che scendeva dal cielo e diceva:
«Abbattete l’albero e distruggetelo, però lasciate in terra il ceppo e le sue
radici, legati con catene di ferro e di bronzo, fra l’erba dei campi; sia
bagnato dalla rugiada del cielo e abbia la sua parte con gli animali della
campagna finché siano passati sopra di lui sette tempi».
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21
questa, o re, ne è la spiegazione e questo è il decreto dell’Altissimo, che deve
essere eseguito sopra il re, mio signore: |
24
Questa è l’interpretazione, o re; è un decreto dell’Altissimo, che sarà eseguito
sul re, mio signore: |
22
Tu sarai cacciato dal consorzio umano e la tua dimora sarà con le bestie della
terra; ti pascerai d’erba come i buoi e sarai bagnato dalla rugiada del cielo;
sette tempi passeranno su di te, finché tu riconosca che l’Altissimo domina sul
regno degli uomini e che egli lo dà a chi vuole. |
25
tu sarai scacciato di mezzo agli uomini e abiterai con le bestie dei campi; ti
daranno da mangiare l’erba come ai buoi; sarai bagnato dalla rugiada del cielo e
sette tempi passeranno su di te finché tu riconoscerai che l’Altissimo domina
sul regno degli uomini e lo dà a chi vuole. |
23
L’ordine che è stato dato di lasciare il ceppo con le radici dell’albero
significa che il tuo regno ti sarà ristabilito, quando avrai riconosciuto che al
Cielo appartiene il dominio. |
26
Quanto poi all’ordine di lasciare il ceppo con le radici dell’albero, ciò
significa che il tuo regno ti sarà ristabilito, dopo che avrai riconosciuto che
il dominio appartiene al cielo. |
24 Perciò,
re, accetta il mio consiglio: sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue
iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti, perché tu possa godere
lunga prosperità». |
27 Perciò,
o re, accetta il mio consiglio! Metti fine ai tuoi peccati praticando la
giustizia, e alle tue iniquità mostrando compassione verso gli afflitti. Forse,
la tua prosperità potrà essere prolungata». |
25
Tutte queste cose avvennero al re Nabucodònosor. |
28
Tutto questo avvenne al re Nabucodonosor. |
Le questioni testuali
La prima questione dipende da una numerazione differente. Si tratta,
quindi, di un diverso modo di presentare il testo biblico; probabilmente gli uni
seguono la suddivisione corrente del testo ebraico, altri quella del testo
greco. Le traduzioni tedesche, da me consultate, hanno perlopiù una numerazione
simile a quella della CEI per Daniele 4.
La seconda questione è quella relativa alla traduzione. Nella traduzione
della CEI
(ma anche di altre traduzioni cattoliche) di tale verso, viene rispecchiata la
tipica dottrina penitenziale cattolica, secondo cui il bene, che si fa, permette
di scontare i peccati commessi precedentemente. Chiaramente tutto ciò
rappresenta un «addomesticamento» testuale nella traduzione, finalizzato a un
approccio dogmatico, che poi sostenga la propria dottrina. Ad esempio,
Ezechiele insegnò in modo completamente differente dalla dottrina cattolica,
secondo cui le buone opere scontano quelle cattive; tale profeta era in sintonia
con Daniele: in prospettiva del giudizio storico, la conversione dell’empio gli
permette di scampare e continuare a vivere; al contrario il pervertimento del
giusto lo fa morire (Ez 18,23-28).
Nel testo della Riveduta, Daniele consigliò tutt’altro, ossia
l’inversione di rotta morale (ravvedimento e conversione) al fine di conservare
la propria prosperità.
Per capire meglio il pensiero di Daniele, facciamo bene a fare una traduzione
il più vicina possibile al testo ebraico: «Perciò, o re, ti sia gradito il
mio consiglio e cessa dai tuoi peccati per mezzo della giustizia e dalle tue
trasgressioni per mezzo della misericordia [o compassione] verso i miseri [o
poveri]! Allora la tua prosperità [o felicità, benessere] sarà forse durevole».
Daniele indicò al re la via di un sincero mutamento morale, ossia quello che
passa per le «opere di ravvedimento». L’idea di base è questa: praticare una
cosa moralmente positiva è la migliore garanzia di aver abbandonato ciò, che è
moralmente negativo. Si badi bene, Daniele non stava «evangelizzando»
Nebukadnezar nel senso del NT; non gli stava presentando il modo di salvarsi
l’anima (sebbene ciò fosse desiderabile per lui), come diremmo oggi, ma il modo
di conservare il trono e la sua ricchezza. In caso contrario, Dio glieli avrebbe
tolti, sebbene momentaneamente (vv. 19-26). Quindi, la discussione era su un
livello politico, non su uno soteriologico, e riguardava la morale.
Il principio della soglia morale
Tale principio si trova anche altrove nell’AT e intende questo: esiste una
soglia della malvagità, raggiunta la quale fa scattare il giudizio storico di
Dio. Infatti, Dio disse ad Abramo che a quel tempo la malvagità degli Amorei non
aveva ancora raggiunto tale livello critico, ma dovevano ancora trascorrere
quattro generazioni (Gn 15,16). Al tempo della conquista, però, fu detto che il
Paese avrebbe vomitato fuori la gente, che l’aveva contaminato (Lv 18,25).
Subito dopo fu dato un avvertimento anche a Israele in tale senso (v. 28); cosa
che poi avvenne nella storia (722 a.C. Israele; 586 a.C. Giuda).
La questione sta qui su un piano storico e morale e non tanto su quello
soteriologico. Un giudizio divino annunciato per aver «sforato» tale livello,
poteva essere ritirato da Dio laddove accadeva un ravvedimento collettivo, che
riportasse tale livello morale a una misura accettabile. Questo è il caso della
predicazione di
Giona a Ninive, la capitale assira (Gna 3,4). Dinanzi alla minaccia di
distruzione, «i Niniviti credettero a Dio» (v. 5), ossia credettero che
il giudizio sarebbe venuto. Perciò il re pagano comandò un tempo di digiuno e
penitenza particolari (vv. 5-9). Egli comandò che «uomini e bestie» gridassero
con forza a Dio, convertendosi ognuno «dalla sua via malvagia e dalla
violenza perpetrata dalle sue mani» con la speranza che Dio, dinanzi a ciò,
ritirasse il suo decreto di distruzione (vv. 8s). Avvenne proprio così. Ora, non
bisogna pensare che l’intera città pagana di Ninive si fosse convertita al Dio
degli Ebrei (ciò può essere successo per alcuni singoli), ma ci fu una
momentanea riforma dei costumi. In seguito, i Niniviti (= gli Assiri) tornarono
alla loro proverbiale malvagità (erano più spietati dei nazisti) e distrussero
senza pietà Israele.
Alcune applicazioni
Torniamo a
Daniele e al suo consiglio per Nebukadnezar. Egli gli annunziò una vera via
del ravvedimento: smettere il male facendo il bene. Come abbiamo detto, tutto
ciò era su un piano politico-morale e non su un piano salvifico-morale. Di là da
ciò, nella Bibbia il ravvedimento non è un esercizio mentale, ma porta a un
cambiamento di vita. Tale pensiero biblico si trova anche nel messaggio di
Paolo dinanzi ad Agrippa, affermando: «…ho annunziato che si ravvedano e
si convertano a Dio, facendo opere degne del ravvedimento» (At 26,20). Egli
non predicava un Evangelo a poco prezzo. Egli insegnava un passaggio dalle opere
delle tenebre a quelle della luce (Rm 13,12; 2 Cor 6,14; Ef 5,7ss; 1 Ts 5,5; 2
Pt 2,9).
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Daniele 4,24 e la discrepanza nelle traduzioni? Parliamone
{Nicola Martella} (D)
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URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Dan4-24_traduzioni_R56.htm
03-01-2011; Aggiornamento: 13-02-2011 |