Non è mia intenzione entrare in una discussione fra fratelli all’interno di una
realtà ecclesiale locale, né prendere partito per qualcuno. D’altro canto, è
stata richiesta la mia opinione da un lettore e uno dei servizi offerto dal sito
«Fede controcorrente» è di rispondere ai quesiti posti. Confido nella maturità
dei fratelli che quanto qui detto non verrà usato in modo strumentale per
questioni e situazioni che non conosco. Non potendo verificare le cose con
l’altra parte, chiamata in causa da chi mi scrive, devo necessariamente ritenere
che chi ha posto il quesito, abbia rappresentato correttamente i fatti e le
opinioni. Le mie riflessioni vogliono rappresentare solo un approfondimento
biblico, su cui riflettere. |
La questione del lettore
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Una tesi discutibile
Un oratore, che ho ascoltato ultimamente, ha esplicato
alcune riflessioni sulla vita di Barnaba, usando Atti 4,36s, che riporto qui
integralmente: «Or Iose, soprannominato Barnaba dagli apostoli (che
significa: “figlio di consolazione”), levita, originario di Cipro, avendo un
campo, lo vendette e portò il ricavato e lo depose ai piedi degli apostoli».
Ebbene, nel commentare questo brano, l’oratore ha fatto
almeno due considerazioni sulle quali sono totalmente in disaccordo e che
riporto qui di seguito, prima d’esprimerti le mie perplessità.
■ 1) La prima è che, secondo lui, questo passo ci
mostra il reale cambiamento che la conversione a Cristo ebbe nella vita di
Barnaba. Il testo infatti dice che Barnaba era un levita, e nella legge
mosaica v’era per i leviti la precisa prescrizione di non possedere beni (campi,
case, ecc). Per cui a detta di questo fratello, la conversione nella vita di
Barnaba comportò l’ubbidienza; infatti più avanti è detto che «avendo un
campo, lo vendette...». Infatti, sempre a detta del fratello, fino a quel
momento Barnaba (essendo levita e possedendo un campo) viveva nell’infedeltà...
in altre parole nel peccato. Ma la conversione a Cristo cambiò quest’aspetto
nella sua vita e lo portò a una «reale obbedienza a Cristo».
■ 2) La seconda considerazione che non ho affatto
condiviso, è stata che Barnaba, essendo stato rigenerato da Gesù, avendo
ricevuto la nuova natura in Cristo, è ora «completamente ubbidiente», tanto che
(a detta del fratello) Barnaba fu spinto a vendere
tutti i suoi beni!
Alcune mie perplessità
Alla luce di queste prime due considerazioni esplicito
ora le mie perplessità.
■ 1) Come è possibile pensare che, Cristo era appena
morto, risorto, quindi aveva compiuto la sua opera di grazia in favore
dell’umanità intera, compiendo quindi anche «il compimento della legge» e quindi
la liberazione dalla schiavitù della legge e affermare che la conversione ebbe
in Barnaba il risultato dell’obbedienza alla legge? L’apostolo Paolo nella sua
lettera ai Romani capitolo 7 verso 6 dice esplicitamente che l’opera di Cristo
ci ha «sciolto dai legami della legge»! Come è possibile pensare che
Barnaba fosse ancora obbligato a rispettarne i precetti!? Lo stesso Paolo
rimprovera aspramente i Galati che avendo conosciuto Cristo per fede, volevano
ora proseguire la loro crescita cristiana adempiendo la legge! Se così fosse
stato Cristo a quale scopo sarebbe morto! Che valore avrebbe la sua opera! Se
Cristo ci ha liberato, e chiaramente era morto anche per Barnaba, come si può
pensare che Barnaba per «obbedire a Cristo» si dovesse sentire obbligato a
rispettare la prescrizione levitica, secondo cui non poteva possedere beni,
campi...
■ 2) Come si fa a desumere dal testo, in modo così
chiaro e inequivocabile, come dice questo fratello, che Barnaba «vendette TUTTO
ciò che aveva»! Il testo non ci autorizza a dire una cosa del genere! Non è più
facile considerare ciò che invece il testo ci dice nella sua semplicità e cioè
che Barnaba vendette semplicemente «un campo»!? Credo personalmente che la
narrazione di Barnaba sia stata messa dall’autore del libro, volutamente, prima
di quella d’Anania e Saffira con il solo scopo d’evidenziare ancora di più
quello che era lo spirito di fratellanza, di semplicità di cuore che animava i
credenti dalla chiesa primitiva, e altresì per evidenziare con maggior chiarezza
quello che fu il peccato di cui si macchiarono Anania e Saffira, proprio in
contrapposizione con lo spirito di fratellanza che animò Barnaba. {Antonio
Angeloro}
La risposta ▲
Non è mia intenzione entrare in una discussione fra fratelli all’interno di una
realtà ecclesiale locale, né prendere partito per qualcuno. D’altro canto, è
stata richiesta la mia opinione da un lettore e uno dei servizi offerto dal sito
«Fede controcorrente» è di rispondere ai quesiti posti. Confido nella maturità
dei fratelli che quanto qui detto non verrà usato in modo strumentale per
questioni e situazioni che non conosco. Non potendo verificare le cose con
l’altra parte, chiamata in causa da chi mi scrive, devo necessariamente ritenere
che chi ha posto il quesito, abbia rappresentato correttamente i fatti e le
opinioni. Le mie riflessioni vogliono rappresentare solo un approfondimento
biblico, su cui riflettere.
I Leviti e i possedimenti materiali
È vero che i figli di Levi non hanno ottenuto un
proprio territorio tribale (Dt 10,9). Essi dovevano vivere delle offerte
cultuali (Dt 18,1; Gs 13,14.33), ossia quando prestavano il loro servizio presso
il santuario. In genere erano occupati anche come giudici e magistrati.
Se i figli di Levi non possedevano un proprio
territorio tribale, non significa che non possedessero proprietà. I figli
d’Israele dovevano dare ai Leviti, secondo le prescrizioni della Torà, delle
città nei loro territori: «E di queste città che darete ai Leviti,
prendendole dalla proprietà dei figli d’Israele […] ognuno darà, delle sue
città, ai Leviti, in proporzione della eredità che gli sarà toccata» (Nu
35,8). Essi possedevano case e proprietà nelle cosiddette «città levitiche»: «Le
case delle città dei Leviti sono loro proprietà, in mezzo ai figli d’Israele.
» (Lv 25,33). E avevano anche dei privilegi rispetto ai comuni Israeliti: «I
campi situati nei dintorni delle città dei Leviti non si potranno vendere,
perché sono loro proprietà perpetua» (Lv 25,34).
Quando il malvagio Geroboamo salì al potere in Israele,
egli e i suoi figli cacciarono i Leviti «perché non esercitassero più
l’ufficio di sacerdoti dell’Eterno», perciò essi «abbandonarono i loro
contadi e le loro proprietà, e vennero in Giuda e a Gerusalemme» (2 Cr
11,14).
Anche dopo la cattività babilonese, quando gli
Israeliti rientrarono in Giuda, anche dei Leviti «ognuno si stabilì nella sua
proprietà, nella sua città» (Ne 11,3.20).
Implicazioni per Barnaba
Questo Levita non peccava possedendo delle proprietà
materiali, poiché la Torà non impediva ai Leviti di possedere case e campi.
Anche quando si convertì a Gesù quale Cristo, non viveva nell’infedeltà per il
fatto che continuò a possedere un campo, né la vendita di quest’ultimo fu
motivata dalla fedeltà alla Torà o dall’ubbidienza a essa.
Non sappiamo quante proprietà possedesse Barnaba (p.es.
in Cipro da cui proveniva), il testo dice soltanto che possedeva un campo
(probabilmente nei pressi di Gerusalemme) che vendette, mettendo poi la somma a
disposizione della fratellanza.
Quindi, poiché Barnaba da Levita non contraddiceva la
Legge mosaica, possedendo proprietà, la questione Legge - conversione a Gesù
Cristo non si poneva. I cristiani giudaici continuarono a ubbidire alla
Legge finché non furono cacciati da Gerusalemme nel 70 d.C. Quando Paolo arrivò
a Gerusalemme, dopo tutti i suoi viaggi missionari compiuti fin lì, gli anziani
della chiesa gli fecero notare: «Fratello, tu vedi quante migliaia di Giudei
ci sono che hanno creduto; e tutti sono zelanti per la legge» (At 21,20).
Gli avversari di Paolo lo accusarono di insegnare «a tutti i Giudei che sono
fra i Gentili, ad abbandonare Mosè, dicendo loro di non circoncidere i figli, e
di non conformarsi ai riti» (v. 21), ma ciò non era semplicemente vero.
Paolo si atteneva alla decisione del concilio interecclesiale di Gerusalemme,
che riguardava i Gentili e non i Giudei (At 15); e ciò fu ribadito a distanza di
tanti anni ancora lì (At 21,25). Sia i Giudei cristiani sia lo stesso Paolo fece
dei voti (At 18,18) e li sciolse ritualmente presso il tempio (At 21,23s); certi
riti del genere contemplavano anche i sacrifici. Non bisogna confondere le
questioni del cristianesimo gentile con quello del cristianesimo giudaico.
Questi sono gli aspetti storici e culturali. Barnaba come oggi Giudeo poteva
continuare a osservare la Legge; egli non smetteva neppure di essere un figlio
di Levi.
Sul piano teologico è vero che il nuovo patto ha
portato al compimento quello vecchio e lo ha sostituito. Questa questione è
affrontata nell’epistola agli Ebrei. Nell’epistola ai Romani Paolo mostrò che la
Legge, che doveva mostrare la via della santità al popolo, in effetti mise a
nudo il peccato e la corruzione dell’uomo; quindi, non solo non poteva salvare,
ma dichiarava il peccatore colpevole. Quando muore un uomo, la vedova è libera
dalla sua autorità (Rm 7,2s); similmente è successo con la morte di Cristo, il
quale ha messo fuori uso la Legge (mediante il nuovo patto) per coloro che
credono in lui (Rm 7,4ss). Come mostra Paolo in Rm 14 gli aspetti culturali dei
cristiani giudei e gentili potevano legittimamente rimanere fintantoché essi non
fossero in contrasto col nuovo patto e perciò con l’Evangelo.
Quanto disse Paolo ai Galati era motivato dal
fatto che essi, essendo Gentili, erano stati giudaizzanti e assoggettati ai riti
e alle osservanze della Legge (cfr. At 15,1.5 salvezza e ortodossia). Ciò
contraddiceva lo spirito dell’Evangelo e la convinzione proveniente dallo
Spirito Santo (cfr. At 15)! Quindi tutto ciò non ha nulla a che fare con Barnaba
e la sua condizione di Levita che, come abbiamo detto, poteva possedere campi e
case.
Quanto a ciò che Barnaba vendette, il testo non
dice che «vendette
tutto ciò che aveva», ma che «avendo un campo, lo vendé» (At
4,37), mettendo i denari a disposizione dell’opera. Essendo «originario di
Cipro» (v. 36), non sappiamo quali proprietà avesse lì la sua famiglia o lui
stesso nei pressi di Gerusalemme.
La menzione di Luca della schiettezza e generosità di
Barnaba doveva creare effettivamente il contrasto con la triste storia di Anania
e Saffira, che vollero fare sia i furbi (trattennero una parte del denaro), sia
bella figura (dissero di aver donato tutto), sebbene non fossero obbligati a
nulla. Anche nella chiesa primitiva c’erano esempi luminosi e «mele marce».
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Considerazioni_Barnaba_EnB.htm
17-08-2007; Aggiornamento: 07-09-2009
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