Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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CONSIDERAZIONI SU BARNABA

 

 di Nicola Martella

 

La questione del lettore

La risposta

 

Non è mia intenzione entrare in una discussione fra fratelli all’interno di una realtà ecclesiale locale, né prendere partito per qualcuno. D’altro canto, è stata richiesta la mia opinione da un lettore e uno dei servizi offerto dal sito «Fede controcorrente» è di rispondere ai quesiti posti. Confido nella maturità dei fratelli che quanto qui detto non verrà usato in modo strumentale per questioni e situazioni che non conosco. Non potendo verificare le cose con l’altra parte, chiamata in causa da chi mi scrive, devo necessariamente ritenere che chi ha posto il quesito, abbia rappresentato correttamente i fatti e le opinioni. Le mie riflessioni vogliono rappresentare solo un approfondimento biblico, su cui riflettere.

 

 

La questione del lettore  

 

Una tesi discutibile

     Un oratore, che ho ascoltato ultimamente, ha esplicato alcune riflessioni sulla vita di Barnaba, usando Atti 4,36s, che riporto qui integralmente: «Or Iose, soprannominato Barnaba dagli apostoli (che significa: “figlio di consolazione”), levita, originario di Cipro, avendo un campo, lo vendette e portò il ricavato e lo depose ai piedi degli apostoli».

     Ebbene, nel commentare questo brano, l’oratore ha fatto almeno due considerazioni sulle quali sono totalmente in disaccordo e che riporto qui di seguito, prima d’esprimerti le mie perplessità.

     ■ 1) La prima è che, secondo lui, questo passo ci mostra il reale cambiamento che la conversione a Cristo ebbe nella vita di Barnaba. Il testo infatti dice che Barnaba era un levita, e nella legge mosaica v’era per i leviti la precisa prescrizione di non possedere beni (campi, case, ecc). Per cui a detta di questo fratello, la conversione nella vita di Barnaba comportò l’ubbidienza; infatti più avanti è detto che «avendo un campo, lo vendette...». Infatti, sempre a detta del fratello, fino a quel momento Barnaba (essendo levita e possedendo un campo) viveva nell’infedeltà... in altre parole nel peccato. Ma la conversione a Cristo cambiò quest’aspetto nella sua vita e lo portò a una «reale obbedienza a Cristo».

     ■ 2) La seconda considerazione che non ho affatto condiviso, è stata che Barnaba, essendo stato rigenerato da Gesù, avendo ricevuto la nuova natura in Cristo, è ora «completamente ubbidiente», tanto che (a detta del fratello) Barnaba fu spinto a vendere tutti i suoi beni!

 

Alcune mie perplessità

     Alla luce di queste prime due considerazioni esplicito ora le mie perplessità.

     ■ 1) Come è possibile pensare che, Cristo era appena morto, risorto, quindi aveva compiuto la sua opera di grazia in favore dell’umanità intera, compiendo quindi anche «il compimento della legge» e quindi la liberazione dalla schiavitù della legge e affermare che la conversione ebbe in Barnaba il risultato dell’obbedienza alla legge? L’apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani capitolo 7 verso 6 dice esplicitamente che l’opera di Cristo ci ha «sciolto dai legami della legge»! Come è possibile pensare che Barnaba fosse ancora obbligato a rispettarne i precetti!? Lo stesso Paolo rimprovera aspramente i Galati che avendo conosciuto Cristo per fede, volevano ora proseguire la loro crescita cristiana adempiendo la legge! Se così fosse stato Cristo a quale scopo sarebbe morto! Che valore avrebbe la sua opera! Se Cristo ci ha liberato, e chiaramente era morto anche per Barnaba, come si può pensare che Barnaba per «obbedire a Cristo» si dovesse sentire obbligato a rispettare la prescrizione levitica, secondo cui non poteva possedere beni, campi...

     ■ 2) Come si fa a desumere dal testo, in modo così chiaro e inequivocabile, come dice questo fratello, che Barnaba «vendette TUTTO ciò che aveva»! Il testo non ci autorizza a dire una cosa del genere! Non è più facile considerare ciò che invece il testo ci dice nella sua semplicità e cioè che Barnaba vendette semplicemente «un campo»!? Credo personalmente che la narrazione di Barnaba sia stata messa dall’autore del libro, volutamente, prima di quella d’Anania e Saffira con il solo scopo d’evidenziare ancora di più quello che era lo spirito di fratellanza, di semplicità di cuore che animava i credenti dalla chiesa primitiva, e altresì per evidenziare con maggior chiarezza quello che fu il peccato di cui si macchiarono Anania e Saffira, proprio in contrapposizione con lo spirito di fratellanza che animò Barnaba. {Antonio Angeloro}

 

 

La risposta ▲

 

Non è mia intenzione entrare in una discussione fra fratelli all’interno di una realtà ecclesiale locale, né prendere partito per qualcuno. D’altro canto, è stata richiesta la mia opinione da un lettore e uno dei servizi offerto dal sito «Fede controcorrente» è di rispondere ai quesiti posti. Confido nella maturità dei fratelli che quanto qui detto non verrà usato in modo strumentale per questioni e situazioni che non conosco. Non potendo verificare le cose con l’altra parte, chiamata in causa da chi mi scrive, devo necessariamente ritenere che chi ha posto il quesito, abbia rappresentato correttamente i fatti e le opinioni. Le mie riflessioni vogliono rappresentare solo un approfondimento biblico, su cui riflettere.

 

I Leviti e i possedimenti materiali

     È vero che i figli di Levi non hanno ottenuto un proprio territorio tribale (Dt 10,9). Essi dovevano vivere delle offerte cultuali (Dt 18,1; Gs 13,14.33), ossia quando prestavano il loro servizio presso il santuario. In genere erano occupati anche come giudici e magistrati.

     Se i figli di Levi non possedevano un proprio territorio tribale, non significa che non possedessero proprietà. I figli d’Israele dovevano dare ai Leviti, secondo le prescrizioni della Torà, delle città nei loro territori: «E di queste città che darete ai Leviti, prendendole dalla proprietà dei figli d’Israele […] ognuno darà, delle sue città, ai Leviti, in proporzione della eredità che gli sarà toccata» (Nu 35,8). Essi possedevano case e proprietà nelle cosiddette «città levitiche»: «Le case delle città dei Leviti sono loro proprietà, in mezzo ai figli d’Israele. » (Lv 25,33). E avevano anche dei privilegi rispetto ai comuni Israeliti: «I campi situati nei dintorni delle città dei Leviti non si potranno vendere, perché sono loro proprietà perpetua» (Lv 25,34).

     Quando il malvagio Geroboamo salì al potere in Israele, egli e i suoi figli cacciarono i Leviti «perché non esercitassero più l’ufficio di sacerdoti dell’Eterno», perciò essi «abbandonarono i loro contadi e le loro proprietà, e vennero in Giuda e a Gerusalemme» (2 Cr 11,14).

     Anche dopo la cattività babilonese, quando gli Israeliti rientrarono in Giuda, anche dei Leviti «ognuno si stabilì nella sua proprietà, nella sua città» (Ne 11,3.20).

 

Implicazioni per Barnaba

     Questo Levita non peccava possedendo delle proprietà materiali, poiché la Torà non impediva ai Leviti di possedere case e campi. Anche quando si convertì a Gesù quale Cristo, non viveva nell’infedeltà per il fatto che continuò a possedere un campo, né la vendita di quest’ultimo fu motivata dalla fedeltà alla Torà o dall’ubbidienza a essa.

     Non sappiamo quante proprietà possedesse Barnaba (p.es. in Cipro da cui proveniva), il testo dice soltanto che possedeva un campo (probabilmente nei pressi di Gerusalemme) che vendette, mettendo poi la somma a disposizione della fratellanza.

     Quindi, poiché Barnaba da Levita non contraddiceva la Legge mosaica, possedendo proprietà, la questione Legge - conversione a Gesù Cristo non si poneva. I cristiani giudaici continuarono a ubbidire alla Legge finché non furono cacciati da Gerusalemme nel 70 d.C. Quando Paolo arrivò a Gerusalemme, dopo tutti i suoi viaggi missionari compiuti fin lì, gli anziani della chiesa gli fecero notare: «Fratello, tu vedi quante migliaia di Giudei ci sono che hanno creduto; e tutti sono zelanti per la legge» (At 21,20). Gli avversari di Paolo lo accusarono di insegnare «a tutti i Giudei che sono fra i Gentili, ad abbandonare Mosè, dicendo loro di non circoncidere i figli, e di non conformarsi ai riti» (v. 21), ma ciò non era semplicemente vero. Paolo si atteneva alla decisione del concilio interecclesiale di Gerusalemme, che riguardava i Gentili e non i Giudei (At 15); e ciò fu ribadito a distanza di tanti anni ancora lì (At 21,25). Sia i Giudei cristiani sia lo stesso Paolo fece dei voti (At 18,18) e li sciolse ritualmente presso il tempio (At 21,23s); certi riti del genere contemplavano anche i sacrifici. Non bisogna confondere le questioni del cristianesimo gentile con quello del cristianesimo giudaico. Questi sono gli aspetti storici e culturali. Barnaba come oggi Giudeo poteva continuare a osservare la Legge; egli non smetteva neppure di essere un figlio di Levi.

     Sul piano teologico è vero che il nuovo patto ha portato al compimento quello vecchio e lo ha sostituito. Questa questione è affrontata nell’epistola agli Ebrei. Nell’epistola ai Romani Paolo mostrò che la Legge, che doveva mostrare la via della santità al popolo, in effetti mise a nudo il peccato e la corruzione dell’uomo; quindi, non solo non poteva salvare, ma dichiarava il peccatore colpevole. Quando muore un uomo, la vedova è libera dalla sua autorità (Rm 7,2s); similmente è successo con la morte di Cristo, il quale ha messo fuori uso la Legge (mediante il nuovo patto) per coloro che credono in lui (Rm 7,4ss). Come mostra Paolo in Rm 14 gli aspetti culturali dei cristiani giudei e gentili potevano legittimamente rimanere fintantoché essi non fossero in contrasto col nuovo patto e perciò con l’Evangelo.

     Quanto disse Paolo ai Galati era motivato dal fatto che essi, essendo Gentili, erano stati giudaizzanti e assoggettati ai riti e alle osservanze della Legge (cfr. At 15,1.5 salvezza e ortodossia). Ciò contraddiceva lo spirito dell’Evangelo e la convinzione proveniente dallo Spirito Santo (cfr. At 15)! Quindi tutto ciò non ha nulla a che fare con Barnaba e la sua condizione di Levita che, come abbiamo detto, poteva possedere campi e case.

     Quanto a ciò che Barnaba vendette, il testo non dice che «vendette tutto ciò che aveva», ma che «avendo un campo, lo vendé» (At 4,37), mettendo i denari a disposizione dell’opera. Essendo «originario di Cipro» (v. 36), non sappiamo quali proprietà avesse lì la sua famiglia o lui stesso nei pressi di Gerusalemme.

     La menzione di Luca della schiettezza e generosità di Barnaba doveva creare effettivamente il contrasto con la triste storia di Anania e Saffira, che vollero fare sia i furbi (trattennero una parte del denaro), sia bella figura (dissero di aver donato tutto), sebbene non fossero obbligati a nulla. Anche nella chiesa primitiva c’erano esempi luminosi e «mele marce».

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Considerazioni_Barnaba_EnB.htm

17-08-2007; Aggiornamento: 07-09-2009

 

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