Il mio caro amico Argentino Quintavalle mi ha mandato il link al suo articolo «La
città di rifugio», aggiungendo: «Gradirei sapere cosa ne pensi, se cioè
secondo te l’interpretazione ci può stare».
Esprimendosi così, fa capire che è un tentativo di capire e nulla di definitivo,
un soggetto da mettere in discussione per arrivare a un’eventuale conferma o
smentita. È certamente un atteggiamento saggio.
Stando così le cose mi accingo ad analizzare il suo scritto per verificarne la
consistenza esegetica e per poi fare le mie osservazioni e obiezioni. |
1. Le tesi (1)
{Argentino Quintavalle}
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Quella presentata da Argentino Quintavalle è certamente una tesi affascinante e
il suo ragionamento sembra che gli dia ragione, almeno a una prima osservazione.
Secondo il suo ragionamento, Bozra, una città dell’antica Edom, sarà la città di
rifugio dell’Israele escatologico al tempo della gran tribolazione.
Egli cita dapprima Mt 24,16 (fuggano ai monti) e poi Ap 12,6 (fuggì
nel deserto). Poi passa a Is 33,13-16 (le rocce fortificate saranno il
suo rifugio), quindi a Mi 2,12 (pecore di Bozra)
e a Dn 11,40-45 (Edom, Moab
e la parte principale dei figli di Ammon scamperanno a un
empio dominatore). Per far quadrare il cerchio, termina con Is 63,1 (Chi
è questi che giunge da Edom, da
Bozra, in vestimenti splendidi?).
2. Osservazioni e obiezioni (1)
{Nicola Martella}
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Il ragionamento è accattivante. È però anche vero e realistico? Verifichiamolo
dal
punto di vista esegetico, alla luce delle premesse fatte sopra e senza
sconti per l’amico.
■ Is 33,13-16 si riferisce alla situazione del resto fedele durante
l’assedio assiro. Gli aspetti futuri sono legati a Sion (v. 20; città di Dio, v.
21), da cui dipende il v. 16. Quindi non c’entra nulla col discorso della
tribolazione, visto cha parla del regno.
■ Mi 2,12
esprime una qualità particolare di pecore non il luogo in sé; è come dire per
noi le «pecore del Kashmir». Meraviglia che su un’interpretazione discutibile di
questo brano (pecore di Bozra = pecore in Bozra) si costruisca tutto un
ragionamento. È come dire che Davide si trovasse in Basan, quando affermò: «Grandi
tori m’hanno circondato; potenti tori di Basan m’hanno attorniato» (Sal
22,12).
■ Dn 11,40-45 può riferirsi, storicamente parlando, solo a un tempo in
cui
Edom, Moab e i figli di
Ammon esistevano ancora. Tale tempo è nel contesto storico
quello di Antioco IV Epifane (174-164 a.C.),
il re della Siria che mise le mani sopra tali territori e dissacrò anche il
tempio di Gerusalemme. Al più tardi dai tempi dei Romani in poi, tali luoghi non
esistono più come regni autonomi. Idumei, Moabiti e Ammoniti vennero a
scomparire anche come popolazioni chiaramente identificabili.
Ai tempi di Amos, su tali luoghi
era stato espresso un interdetto divino, che si sarebbe realizzato in un tempo
relativamente breve (Am 1,11-15); poteva Dio mandare il suo resto fedele proprio
in un luogo definito, tra altre cose, di obbrobrio e maledizione? (Gr 49,13.22).
Un dittatore escatologico farà cose simili per il tempio futuro; ma una cosa è
l’adempimento storico concreto (al tempo di Antioco Epifane IV),
altra cosa è l’analogia escatologica, che non necessita più del panorama storico
e geografico originale.
■ In Is 63,1 Jahwè viene da Edom e precisamente da Bozra, quindi non si
reca a questi luoghi, ma a Sion per regnare (Is 62,10ss). Prima di ciò ha fatto
un giudizio in tali luoghi nel giorno della sua vendetta contro tutti i
popoli, che hanno rifiutato di associarsi a Lui (vv. 2-6). Nessuno lo ha
aiutato, quindi neppure tra gli israeliti (v. 5).
Facciamo ora alcune
ulteriori considerazioni. Sebbene sia legittimo porre in relazioni le
cose per trovarne una ragione, bisogna sempre guardarsi da una dotta
versettologia e dal un falso sillogismo risultante. Alla fine si rischia di
trovare ciò che si desidera trovare e si «dimostra», ciò che si premette a
priori. Comunque, come detto, si tratta di un tentativo che Argentino (mi) ha
posto a verifica.
Per mostrare come la versettologia indebita porti a un falso sillogismo,
racconto questo aneddoto. Una volta a Milano un predicatore di mia conoscenza
insegnava che il cavaliere di Ap 6,2 era probabilmente l’anticristo stesso. Un
uomo si alzò improvvisamente durante l’insegnamento per rinfacciargli di stare
bestemmiando: egli affermò l’evidenza secondo cui in Ap 6,2 il cavaliere
vestito di bianco
e che cavalca un cavallo bianco, fosse necessariamente Cristo, poiché la
«letterina» di riferimento nell’apparato sottostante portava ad Ap 19,11 (cfr.
v. 14), dove si parlava chiaramente del Messia. Un altro esempio di chiaro falso
sillogismo è rappresentato dalla tesi secondo cui il lievito nella Bibbia
sia sempre negativo, dimenticando la dinamica del regno: «Il regno dei
cieli è simile al lievito che una donna prende e nasconde in tre staia di
farina, finché la pasta sia tutta lievitata» (Mt 13,33).
Quindi anche l’argomentazione che si basa essenzialmente sulle «pecore di
Bozra» (per altro non uniforme in tutti gli antichi manoscritti), e cioè non
quale riferimento alla qualità delle pecore, ma al luogo reale in quel momento,
ha i connotati di una falso sillogismo. Si noti come l’espressione «le vacche
di Basan, che state sul monte di Samaria» (Am 4,1) parli della qualità delle
mucche che Amos usò come paragone per i pasciuti e arroganti beoni e ubriaconi
della capitale di Efraim (cfr. similmente in Sal 22,12s). Si noti similmente
come l’espressione «navi di Tarsis» definiva spesso una qualità di imbarcazioni,
costruita dapprima in tale città (1 Re 22,49 Giosafat le costruì per sé). Oggi
nessuno pensa di stare a Firenze, ad Amburgo o a Bologna, per fare qualche
esempio, quando mangia rispettivamente una di queste specialità: fiorentina,
hamburger, bolognese. Non bisogna essere oggigiorno a Edimburgo per poter cucire
col «filo di Scozia», né a Damasco per vestirsi con una stoffa damascata o
sedersi su un tappeto damascato. E così via
L’alternativa al falso sillogismo è un’esegesi contestuale corretta e
rigorosa che appuri fino in fondo come stanno veramente e chiaramente le cose.
Chi la esegue al riguardo, constaterà che un tale ragionamento, basato sulle
«pecore di Bozra», sebbene dotto, ha qui i piedi d’argilla.
Mi era stato chiesto di verificare la consistenza esegetica della mirabile tesi.
Dirò come quel certo chirurgo: «Operazione riuscita, ma il paziente è morto»,
ossia l’esperimento è riuscito, ma intanto le pecore di Bozra si sono estinte al
pari degli Edomiti.
3. Le tesi (2)
{Argentino Quintavalle}
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La mia richiesta di partenza è stata: «Secondo te, ci può stare come
interpretazione»? Cioè, «secondo te è una interpretazione possibile»? In
mancanza d’altre interpretazioni sull’argomento, ne ho presentata una, che
naturalmente rimane una possibilità e non un dogma.
Mi sta bene l’accusa di versettologia indebita ed
esegesi non contestuale, ma a patto che venga rivolta anche a Gesù in quanto in
Luca 19,46 egli ha preso due versi dal contesto completamente differente, uno da
Isaia (56,7) e l’altro da Geremia (7,10) e li ha fusi insieme per applicarli ai
suoi tempi. Quindi se è «legittimo porre in relazione le cose per trovarne una
ragione», e se anche Gesù l’ha fatto, mi è legittimo accostare versetti biblici
per investigare le cose che Dio ha nascoste (Pr 25,2). Che poi io riesca
nell’intento o meno questo è un altro discorso. Quando si studia la Bibbia
bisogna essere pronti non soltanto a imparare, ma anche a disimparare.
Dunque vediamo e ragioniamo ad alta voce.
■ Is 63,1: Il Messia viene da
(moto da luogo) Edom, da Botsra, [per andare a Sion a regnare]. Giusto,
ma che c’è stato a fare a Botsra prima d’andare a Sion? Se gli Edomiti sono
scomparsi che senso ha parlare del giudizio verso tutti i popoli compiuto in
Edom? Dove tra l’altro troviamo un gioco di parole tra Edom (rosso) e il rosso
del mantello del Messia? Se faccio un’interpretazione letterale, mi chiedo: «è
plausibile pensare che il Messia passa per Botsra perché lì vi sono i credenti
rifugiati che aspettano il suo ritorno nella speranza di non essere uccisi dai
nemici»? Sono semplici domande fatte con l’intento di capire. Se non faccio una interpretazione letterale allora,
devo ammettere, mi potrebbe cadere il ragionamento poiché devo intendere Edom (e
Botsra la sua capitale) come il nemico di sempre, il nemico perpetuo (Am 1,11),
il nemico escatologico, finale (Is 34,5; Ab 1,17-21). Come il Servo è Davide (Is
55,3), così il Messia arriva come Davide a vincere Edom. Ma questa
interpretazione non necessariamente esclude la precedente, la quale rimane
«possibile».
■ Dn 11,40-45:
L’analogia escatologica, che non necessita più del panorama storico e geografico
originale? Su questi versi i commentatori si sono sbizzarriti a dire tutto e
di più. D’una cosa sono certo: non si riferiscono a Antioco Epifane poiché gli
eventi ivi descritti non si sono verificati nella sua epoca. Anzi,
l’abominazione della desolazione di cui si parla al v. 31 si trovava ancora nel
futuro ai tempi di Gesù (Mt 24,15s) e quindi non trova il suo adempimento con
Antioco. Il «piccolo corno» di Dn 7, il «piccolo corno» di Dn 8, e il «re
superbo e arrogante» di Dn 11 sembrano proprio descrivere la stessa persona,
l’anticristo della fine dei tempi, ma il quale, per motivi che non sappiamo non
riuscirà a conquistare i territori che una volta appartenevano a Edom, Moab e
Ammon, cioè l’attuale Giordania.
Una profezia per poter dire che si
è avverata deve avere il supporto della storia, altrimenti è pura fantasia. Io
sono il primo a dire che su questo terreno dobbiamo muoverci con prudenza e
prender posizione con cautela. È sempre incauto azzardare interpretazioni
appoggiate al panorama internazionale del momento, la conferma della profezia
viene dalla storia, non dalla cronaca, ma appunto per questo mi faccio forza di
quanto ho detto.
Chi vede ancora la figura storica
d’Antioco IV Epifane in Dn 11,40-45 non può dare una giustificazione storica di
siffatta interpretazione perché la storia non conosce questa terza campagna
dell’Epifane contro l’Egitto dopo le due già ricordate da Daniele. Queste sono
parole che possono riferirsi solo «al tempo della fine» (v. 40). Non c’è nulla
nel contesto di Dn 11 che sminuisce la forza di questa parola «fine», ovvero la
fine di tutte le cose a cui si fa qui riferimento. Alla fine dei tempi delle
forze muoveranno simultaneamente dal nord e dal sud contro l’Anticristo, così
come nell’antichità mossero l’uno contro l’altro i personaggi storici designati
come «il re del nord» e «il re del sud», ma l’Anticristo, che disporrà di forze
formidabili, contrattaccherà invadendo e devastando le terre di quelli che si
saranno ribellati.
Il fatto che Edom scamperà dalle
mani dell’Anticristo mi sembra più che plausibile pensare che i credenti
cercheranno scampo sui monti (di Botzra).
■ Mi 2,12: È vero che questo brano può indicare
la qualità delle pecore e non il luogo in sé. Ma appunto,
può indicare la qualità, ma può anche indicare il luogo. Le parole
bibliche possono avere dei significati molto profondi. Il fatto che può indicare
la qualità non confuta l’idea che può indicare anche il luogo. Anche in questo
caso la mia interpretazione rimane «possibile».
■ Is 33,13-16: Sono stato il primo a dire che
questo brano non è probante, ma solo indicativo. Chi vuole confutarmi qui può
trovare vita facile. Ma siccome Isaia nei vv.13-24 parla della nuova Sion,
l’Assiro rappresenta il nemico escatologico dal quale soltanto chi «cammina per
le vie della giustizia» troverà scampo sui monti.
Se il mio ragionamento, oltre a essere «accattivante» è anche vero e realistico,
lo dirà la storia. Sicuramente è possibile, anche se non certo. Finora le
obiezioni non mi convincono del contrario.
4. Osservazioni e obiezioni (2)
{Nicola Martella}
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Avevo evidenziato che si trattava di un’interpretazione da studio tutta da
verificare. Apprezzo sempre lo studioso Argentino e questo indipendentemente dal
fatto se le nostre opinioni coincidono o meno. Quanto alla versettologia voglio spiegare che esiste un
accostamento organico fra versi biblici, quando sono della stessa natura e non
sono snaturati rispetto al contesto d’origine. Altra cosa è una versettologia
indebita, ossia quando i versi sono cercati e accostati per rendere più
«biblicamente» plausibile una concezione già decisa a priori. Nessuno di noi può
inoltre paragonarsi a Gesù; inoltre egli citava qui a senso, non letteralmente,
e le sue parti sono comunque congruenti al tema «casa del Signore», ossia il
tempio, indicando ciò che quest’ultimo dovrebbe essere (Is 56,7) e ciò che è
diventato (Gr 7,10). Il suo può essere quindi considerato un accostamento
organico. Noi però, per evitare abusi, facciamo sempre bene ad
usare un’esegesi contestuale. Inoltre ho capito che il tuo tentativo voleva
essere una traccia di studio da verificare; per questo me l’hai posta ad
analisi. In tale confronto non devono mica esserci vincitore e vinti; è solo un
approfondimento.
■ Is 63,1: Di per sé tutto il contesto parla di
Jahwè e del suo giorno di vendetta. Dio aveva minacciato più volte la
distruzione di Edom, a causa della slealtà degli Edomiti verso gli Israeliti,
quando nella crisi storica si associarono ai nemici d’Israele per depredare il
popolo fratello. Qui Dio gli dà il contraccambio da lungo annunciato(Am 1,11s;
Ab 1,10). Isaia come Amos e Abdia parlano del giudizio storico avvenuto prima
per mano dei Babilonesi, suoi alleati, e poi mediante i Romani (Erode era un
idumeo; in appresso però la ribellione dei Giudei e degli Idumei fece usare la
mano pesante ai Romani su tutta la Palestina. Mentre i Giudei sopravvissero,
essendo forti nella diaspora, non così fu per gli Idumei che erano lì
concentrati). Quindi la domanda riguardo a credenti lì rifugiati non
è storicamente plausibile, poiché la vendetta avviene fuori di Sion, mentre la
redenzione dentro. L’applicazione al Messia e all’escatologia non è pertinente,
poiché Edom e gli Idumei sono finiti storicamente, politicamente ed etnicamente.
Nel 3° secolo d.C. Origene affermava che Edom era scomparso come popolo e non si
era neppure conservata la lingua idumea. Si fa quindi bene a non dare a tale
brano una valenza escatologica precisa. Per l’approfondimento su Edom e Idumei
si veda Nicola Martella, «Abdia»,
Radici 3-4
(Punto°A°Croce, Roma 1994), pp. 136s.
■ Dn 11,40-45: Per l’escatologia
veterotestamentaria, la fine dei tempi doveva coincidere con l’avvento di Jahwè
stesso o di Davide (Messia). Al giudizio storico sui nemici d’Israele doveva
seguire il regno davidico. Se si interpretano le predizioni dell’AT dall’ottica
del NT, si dovranno rivoltare e snaturare per darle «senso» neotestamentario. Il
problema della rimodulazione della fine dei tempi è nata dal fatto che, avendo i
Giudei rifiutato Gesù come loro re, il regno fu loro tolto fino a quando
avrebbero invocato Gesù come loro Messia (Mt 21,43; 23,37ss). Questo fece si che
si potesse distinguere una venuta di Gesù in umiliazione e una in gloria, alla
fine dei tempi (At 1,11). Per l’approfondimento rimando in Nicola Martella (a
cura di), Escatologia biblica essenziale.
Escatologia 1
(Punto°A°Croce, Roma 2007), agli articoli: «Le grandi linee dell’escatologia
dell’AT», pp. 122-128; «Divario fra predizioni e adempimenti messianici», pp.
129-132. Quanto l’abominazione della
desolazione (Mt 24,15s), essa avvenne nel 70 d.C. con gli Zeloti che
dissacrarono il tempio facendovi la loro base operativa; questo doveva essere il
segnale per i credenti della Giudea per scappare, cosa che avvenne; poi Tito
fece il resto. L’aspetto escatologico avverrà dopo la costruzione del tempio.
Per capire come una cosa annunciata (qui da Daniele) possa avvenire diverse
volte in modo simile (Antioco Epifane, Zeloti / Tito e dittatore escatologico),
rimando alla «dinamica predizionale», in cui articolo si trova in Nicola
Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento
(Punto°A°Croce, Roma 2002), p. 138. Edom,
Moab e Ammon come popoli sono finiti per sempre.
L’adempimento storico particolare è una cosa, quello escatologico è un’altra
cosa, essendo solo il riflesso applicativo e la sublimazione degli eventi
precedenti (cfr. in Apocalisse «Babilonia la grande»).
Ricordo ancora una volta che il
«tempo della fine» (Dn 1,40) era, dalla prospettiva dell’AT, l’epoca messianica.
Se non si tiene presente questo punto, si sballerà sempre, perché tutto si
sfaserà. Solo la menzionata «dinamica predizionale» ci aiuta a capire, dopo che
abbiamo afferrato il fatto che il giudizio storico del 70 d.C. era diventato una
caparra di quello escatologico e che il regno (con l’avvento del Messia in
gloria) era stato rimandato a migliori condizioni (il riconoscimento di massa di
Gesù quale Messia da parte d’Israele).
Gli eventi storici si consumarono
al più tardi con i Romani. Alla fine dei tempi non ci saranno Idumei,
Moabibi e
Ammoniti, poiché questi popoli si sono persi per sempre
come entità etniche precise e chiaramente individuabili. L’espressione Dio «farà
una totale distruzione del luogo dov’è Ninive» (Na 1,8s), cosa che avvenne
nella storia (612 a.C.) è simile a quella usata per Gerusalemme (Sf 1,18), cosa
che avvenne nel 586 a.C. Anche riguardo a Teman, capitale di Edom, Dio parlò di
sterminio per sempre (Ab 1,9s); tutto ciò avvenne, sempre per mano dei
Babilonesi, appena cinque anni dopo la caduta di Gerusalemme.
■ Mi 2,12: Vale quanto già detto in precedenza,
ossia che si tratta di una qualità di pecore.
■ Is 33,13-16: L’Assiro rappresenta se stesso e
la situazione è quella accertata dalla storia. La sublimazione dei brani storici
nell’escatologia è solo un riflesso di una dinamica ricorrente. Una cosa è la
storia circostanziata, altra cosa è l’applicazione escatologica, poiché segue un
canone tipologico.
Il mio compito era di verificare un’ipotesi di lavoro. Esso è ora concluso. Tale
ipotesi, sebbene dotta, mi convince ancora di meno. Il bello del confronto è che
alla fine di una verifica di una idea, non debbano esseri vincitori e vinti;
approfondendo la Parola di Dio, tutti traiamo vantaggio.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Bozra_rifugio_resto_R34.htm
03-07-2008; Aggiornamento: 04-07-2008
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