1. QUALE TRADUZIONE DELLA BIBBIA?
(Argentino Quintavalle)
Quale traduzione italiana della Bibbia è la migliore? Qual è la più accurata?
Con l’abbondanza delle traduzioni oggi disponibili, queste domande sono
diventate comuni e importanti tra chi utilizza la Bibbia regolarmente.
Che cos’è una
traduzione?
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo prima capire le particolari difficoltà
insite nel processo di traduzione. Quando Dio ha confuso le lingue degli uomini
presso la torre di Babele, ha fatto in modo che non soltanto il vocabolario
fosse diverso, ma ha reso molto diversa da lingua a lingua anche la grammatica.
E siccome i popoli vivono in ambienti e culture differenti, essi hanno
sviluppato dei modi peculiari per descrivere le cose.
Questi sono chiamati idiomi e possono essere molto caratteristici. Ad esempio,
per augurare fortuna in una impresa diciamo «in bocca al lupo»
e, quando non si sa cosa, fare parliamo di «ammazzare il tempo».
I traduttori parlano d’una tensione esistente tra il mantenere la forma
del linguaggio originario e trasmettere il significato nella lingua del
lettore. Sarebbe possibile tradurre parola per parola la frase «in bocca al
lupo» in arabo, ma il lettore arabo potrebbe capire la necessità d’incontrare un
vero e proprio lupo. La forma dell’italiano sarebbe stata conservata
perfettamente, ma il significato è andato perso.
Letterale o
accurata?
Quando la gente chiede quale traduzione della Bibbia è la più accurata, spesso
intende quale è la più letterale. Ma le due cose non sempre vanno d’accordo.
Nell’esempio d’andare «in bocca al lupo», la traduzione letterale è precisa solo
per quell’arabo che conosce la cultura italiana. Per una persona che vuole avere
il significato dell’originale, la traduzione più precisa è quella che parla
d’augurare buona fortuna invece che d’andare in bocca ai lupi.
Consideriamo un esempio dell’ebraico biblico. Una frase molto comune nella
Bibbia è che una persona «ha trovato grazia agli occhi di» qualcuno. Per
quelli di noi che hanno letto la Bibbia per gran parte della propria vita,
questa può sembrare un’espressione ovvia e normale. Probabilmente non la useremo
mai in una conversazione su un argomento non biblico, ma quando la incontriamo
nelle nostre Bibbie riteniamo di conoscere quello che vuole dire. In altre
parole, l’utilità di quest’idioma è limitata alla Bibbia perché esso non è
italiano ma ebraico. Quando i primi traduttori della Bibbia hanno incontrato
questa frase, hanno deciso di tradurla parola per parola, sebbene una tale
espressione non esistesse in italiano.
In italiano moderno diremmo che una persona «piaceva» a qualcuno. Quando un
italiano legge o ascolta questa frase, riceve lo stesso significato dell’ebreo
che legge «trovare grazia agli occhi di» qualcuno. Ma noi abbiamo trasmesso il
significato dell’ebraico in italiano senza far menzione della grazia, o degli
occhi, o del trovare. Quale traduzione è più letterale? Qual è la più precisa?
Una buon test per una traduzione biblica è di renderla facilmente comprensibile
anche a chi non ha familiarità con il linguaggio religioso.
Qual è la
migliore?
Non si può dire quale traduzione è la migliore senza prima aver stabilito cosa
s’intende per «migliore». Se per migliore s’intende conoscere quali parole
originali si trovano dietro il testo italiano, allora si preferirà una
traduzione che preserva la forma della lingua originaria, anche se a discapito
del significato. Questo è particolarmente utile per lo studioso o per chi studia
il linguaggio biblico. D’altra parte, se per migliore s’intende conoscere il
significato delle parole originali, allora si preferirà una versione che traduce
il significato delle parole e non la lettera, anche se a discapito della forma
della lingua originale.
Molti di noi leggono la Bibbia in momenti diversi e per scopi diversi. A volte
vogliamo semplicemente leggere e permettere a Dio di parlarci nel nostro
rapporto personale con Lui. Altre volte ci fermiamo per cercare di capire
l’etimologia d’una parola. Altre volte ancora vogliamo fare uno studio
approfondito d’un brano, magari confrontandolo con altre traduzioni della
Bibbia. Quest’ultimo può essere un lavoro che richiede molto tempo e che ci
costringe a riflettere su ogni verso, e sarebbe quindi adatto un certo tipo di
Bibbia piuttosto che un altro.
Avrei diversi suggerimenti. Prima di tutto, è una buona idea avere almeno due
Bibbie da usare per scopi differenti. Per una traduzione che comunica la
forma meglio del significato, consiglierei la versione Diodati (al secondo
posto metterei la Riveduta). Per una traduzione che comunica il significato
meglio della forma consiglierei la Nuova Riveduta e la Nuova Diodati, ma anche
la CEI. Una traduzione che si trova a metà strada tra significato e forma è la
Ricciotti.
Il mio secondo suggerimento non è semplicemente quello d’accettare le mie
raccomandazioni sulle traduzioni, ma di provare le varie traduzioni da soli. Se
avete un programma regolare di lettura della Bibbia, allora ogni volta leggetela
in una traduzione diversa.
2. CONSIGLI PER EDITORI DI BIBBIE E PER CHI LE
STUDIA (Nicola
Martella)
Qui di seguito aggiungiamo alcune ulteriori riflessioni a quanto è stato già
detto sopra. Un buon criterio per un’ottima traduzione della Bibbia, di là se si
privilegerà la forma o il significato, è la coerenza terminologica
rispettivamente in tutto l’AT (ebraico) e in tutto il NT (greco). Ciò significa
che, se al termine ebraico
nefeš si dà il significato di «anima» sia in quanto «persona» (aspetto
globale; Gn 2,7) o di «anima» in quanto funzione della psiche (aspetto
funzionale), questa coerenza venga mantenuta in tutto l’AT. Se però nefeš
viene tradotto a volte con «anima» (persona), a volte con «cuore», ciò è
fuorviante per il lettore che la Bibbia la vuole studiare. Trasformare nefeš
nel semplice pronome personale «io» nella locuzione «anima mia», come fa una
delle «nuove», significa snaturare la lingua di un popolo. La cosa grave è
quando «cuore» viene tradotto con «spirito» e viceversa. «Reni», la sede della
coscienza», è resa qui come «cuore» e lì come «spirito» o «mente». Addirittura
una delle «nuove» ha fatto sparire «carne» da vari brani, ad esempio nelle
locuzioni «ogni carne», «la carne che». Anche le «vecchie» traduzioni rendevano,
ad esempio, «psichico» (o animico) con «naturale» (uomo 1 Cor 2,14; 15,44.46) o
«carnale» (sapienza Gcm 3,15), snaturando così il significato intrinseco al
discorso dell’autore.
Ecco qui di seguito alcuni consigli che possono aiutare a valutare una
buona traduzione e il suo equilibrio fra «forma» e «significato».
■ Bisogna mantenere una coerenza terminologica in tutta la Bibbia. Se non
c’è motivo di comprensione immediata, bisogna tradurre il più letteralmente
possibile, mettendo nell’apparato critico la forma o il significato. Comunque si
faccia, ogni termine (ebraico o greco) deve mantenere sempre la sua coerenza
terminologica; nei casi in cui un termine in una specifica locuzione abbia un
significato diverso nella lingua della traduzione, bisogna indicare
nell’apparato critico la forma originale (vedi sotto).
■ Bisogna che il traduttore si astenga dal proiettare nella traduzione la sua
particolare
visione dottrinale; si veda qui At 20,11 nella Nuova Diodati (aggiungendo
«con loro» si suggerisce non il semplice desinare di Paolo, ma la Cena del
Signore); si veda qui 1 Cor 7,15 nella Nuova Riveduta (trasformando il «non sono
schiavizzati» (o «non sono soggetti /sottoposti a servitù»), ossia riguardo al
reciproco vincolo matrimoniale, in «non sono obbligati a continuare a stare
insieme» si proietta nel testo una propria visione morale, che però non
corrisponde all’intenzione dell’autore).
■ Bisogna pubblicare traduzioni che nel testo mantengano, ad esempio, una
coerenza nel significato, ma che indichino in un apparato esplicativo che
cosa c’è in ebraico o in greco per quei termini caratteristici dell’idioma
ebraico; o viceversa. Ad esempio «un uomo privo di cuore» (’ādām chasar-leb)
in ebraico non è una persona spietata, ma un «uomo privo di senno» (cuore =
mente; Pr 17,18; 24,30; cfr. 10,13; 11,12; 15,21). In una traduzione che
privilegia il significato, bisogna indicare nell’apparato esplicativo la forma
originaria. Si veda al riguardo il sistema usato da me in: Nicola Martella,
Levitico: Traduzione letterale (Punto°A°Croce, Roma 1998).
Invece di ciò, si assiste alla pubblicazione di Bibbie con note dottrinali
(p.es. quelle dette di «Scoffield» e poi si parla impropriamente di «Bibbia [di]
Scofield» non solo la parte del popolo, ma anche nei cataloghi da parte degli
editori e delle librerie). Il lettore che vuole studiare la Bibbia non ha
bisogno di tali note dottrinali (spesso piene di allegorie e di una particolare
visione dogmatica), ma di note testuali, quindi di un apparato critico.
■ Nelle traduzioni bisogna indicare chiaramente nell’introduzione chi siano i
traduttori, se per l’AT hanno tradotto partendo dai testi ebraici, da
quelli greci (Settanta) o addirittura da quelli latini (Vulgata), se sono
partiti da una revisione particolare (p.es. Biblia Hebraica per l’AT;
Nestle-Aland per il NT), oppure se hanno tradotto un testo estero (p.es.
King James) o hanno rivisto un testo italiano già esistente. Bisogna
valutare se l’aggettivo «nuovo» si addica a una revisione (Diodati, Riveduta) o
se il nuovo prodotto è ben altra cosa, nel qual caso bisognerebbe indicare con
un’altra etichetta. Per chi traduce la Bibbia, che consideriamo verità e
autorità, trovo tutto ciò un atto di onestà intellettuale.
■ Non sarebbe neppure sbagliato se si indicassero i criteri usati per
tradurre (o rivedere) e l’obiettivo perseguito, ad esempio: ▪ 1)
Precisione formale per lo studio biblico; ▪ 2) Privilegiare il significato per
la devozione personale e l’edificazione di gruppo; ▪ 3) Mirare a una facile
lettura del testo per credenti semplici e non credenti (parafrasi).
È chiaro che c’è bisogno di buone parafrasi, che prescindano dalla forma e
mirino alla comunicazione del messaggio. In tal caso si indichi chiaramente di
aver prodotto una «trasposizione» in lingua moderna, senza pretendere di aver
pubblicato una «traduzione».
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Bibbia_traduz_trasposizioni_MT_AT.htm
23-09-2008; Aggiornamento:
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