Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Manuale Teologico dell’AT

 

Bibbia (generale)

 

 

 

 

Dopo una introduzione alle problematiche della teologia dell’AT, segue il dizionario teologico dell’AT.

   Ecco le parti principali dell’introduzione alla teologia dell’AT:
■ Il compito e l’oggetto della Teologia dell’AT
■ Le posizioni teologiche più ricorrenti
■ I patti e gli altri approcci
■ Contro l’appiattimento storico e teologico dell’AT.

 

Al dizionario teologico dell’AT sono acclusi un registro delle voci e un registro ragionato delle stesse detto «percorsi teologici».

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LA BIBBIA TRA TRADUZIONI E TRASPOSIZIONI

 

 di Argentino Quintavalle - Nicola Martella

 

 

1.  QUALE TRADUZIONE DELLA BIBBIA? (Argentino Quintavalle)

     Quale traduzione italiana della Bibbia è la migliore? Qual è la più accurata? Con l’abbondanza delle traduzioni oggi disponibili, queste domande sono diventate comuni e importanti tra chi utilizza la Bibbia regolarmente.

 

Che cos’è una traduzione?

     Per rispondere a questa domanda, dobbiamo prima capire le particolari difficoltà insite nel processo di traduzione. Quando Dio ha confuso le lingue degli uomini presso la torre di Babele, ha fatto in modo che non soltanto il vocabolario fosse diverso, ma ha reso molto diversa da lingua a lingua anche la grammatica. E siccome i popoli vivono in ambienti e culture differenti, essi hanno sviluppato dei modi peculiari per descrivere le cose.

     Questi sono chiamati idiomi e possono essere molto caratteristici. Ad esempio, per augurare fortuna in una impresa diciamo «in bocca al lupo»[1] e, quando non si sa cosa, fare parliamo di «ammazzare il tempo».

     I traduttori parlano d’una tensione esistente tra il mantenere la forma del linguaggio originario e trasmettere il significato nella lingua del lettore. Sarebbe possibile tradurre parola per parola la frase «in bocca al lupo» in arabo, ma il lettore arabo potrebbe capire la necessità d’incontrare un vero e proprio lupo. La forma dell’italiano sarebbe stata conservata perfettamente, ma il significato è andato perso.

 

Letterale o accurata?

     Quando la gente chiede quale traduzione della Bibbia è la più accurata, spesso intende quale è la più letterale. Ma le due cose non sempre vanno d’accordo. Nell’esempio d’andare «in bocca al lupo», la traduzione letterale è precisa solo per quell’arabo che conosce la cultura italiana. Per una persona che vuole avere il significato dell’originale, la traduzione più precisa è quella che parla d’augurare buona fortuna invece che d’andare in bocca ai lupi.

     Consideriamo un esempio dell’ebraico biblico. Una frase molto comune nella Bibbia è che una persona «ha trovato grazia agli occhi di» qualcuno. Per quelli di noi che hanno letto la Bibbia per gran parte della propria vita, questa può sembrare un’espressione ovvia e normale. Probabilmente non la useremo mai in una conversazione su un argomento non biblico, ma quando la incontriamo nelle nostre Bibbie riteniamo di conoscere quello che vuole dire. In altre parole, l’utilità di quest’idioma è limitata alla Bibbia perché esso non è italiano ma ebraico. Quando i primi traduttori della Bibbia hanno incontrato questa frase, hanno deciso di tradurla parola per parola, sebbene una tale espressione non esistesse in italiano.

     In italiano moderno diremmo che una persona «piaceva» a qualcuno. Quando un italiano legge o ascolta questa frase, riceve lo stesso significato dell’ebreo che legge «trovare grazia agli occhi di» qualcuno. Ma noi abbiamo trasmesso il significato dell’ebraico in italiano senza far menzione della grazia, o degli occhi, o del trovare. Quale traduzione è più letterale? Qual è la più precisa?

     Una buon test per una traduzione biblica è di renderla facilmente comprensibile anche a chi non ha familiarità con il linguaggio religioso.

 

Qual è la migliore?

     Non si può dire quale traduzione è la migliore senza prima aver stabilito cosa s’intende per «migliore». Se per migliore s’intende conoscere quali parole originali si trovano dietro il testo italiano, allora si preferirà una traduzione che preserva la forma della lingua originaria, anche se a discapito del significato. Questo è particolarmente utile per lo studioso o per chi studia il linguaggio biblico. D’altra parte, se per migliore s’intende conoscere il significato delle parole originali, allora si preferirà una versione che traduce il significato delle parole e non la lettera, anche se a discapito della forma della lingua originale.

     Molti di noi leggono la Bibbia in momenti diversi e per scopi diversi. A volte vogliamo semplicemente leggere e permettere a Dio di parlarci nel nostro rapporto personale con Lui. Altre volte ci fermiamo per cercare di capire l’etimologia d’una parola. Altre volte ancora vogliamo fare uno studio approfondito d’un brano, magari confrontandolo con altre traduzioni della Bibbia. Quest’ultimo può essere un lavoro che richiede molto tempo e che ci costringe a riflettere su ogni verso, e sarebbe quindi adatto un certo tipo di Bibbia piuttosto che un altro.

     Avrei diversi suggerimenti. Prima di tutto, è una buona idea avere almeno due Bibbie da usare per scopi differenti. Per una traduzione che comunica la forma meglio del significato, consiglierei la versione Diodati (al secondo posto metterei la Riveduta). Per una traduzione che comunica il significato meglio della forma consiglierei la Nuova Riveduta e la Nuova Diodati, ma anche la CEI. Una traduzione che si trova a metà strada tra significato e forma è la Ricciotti.

     Il mio secondo suggerimento non è semplicemente quello d’accettare le mie raccomandazioni sulle traduzioni, ma di provare le varie traduzioni da soli. Se avete un programma regolare di lettura della Bibbia, allora ogni volta leggetela in una traduzione diversa.

 

 

2.  CONSIGLI PER EDITORI DI BIBBIE E PER CHI LE STUDIA (Nicola Martella)

     Qui di seguito aggiungiamo alcune ulteriori riflessioni a quanto è stato già detto sopra. Un buon criterio per un’ottima traduzione della Bibbia, di là se si privilegerà la forma o il significato, è la coerenza terminologica rispettivamente in tutto l’AT (ebraico) e in tutto il NT (greco). Ciò significa che, se al termine ebraico nefeš si dà il significato di «anima» sia in quanto «persona» (aspetto globale; Gn 2,7) o di «anima» in quanto funzione della psiche (aspetto funzionale), questa coerenza venga mantenuta in tutto l’AT. Se però nefeš viene tradotto a volte con «anima» (persona), a volte con «cuore», ciò è fuorviante per il lettore che la Bibbia la vuole studiare. Trasformare nefeš nel semplice pronome personale «io» nella locuzione «anima mia», come fa una delle «nuove», significa snaturare la lingua di un popolo. La cosa grave è quando «cuore» viene tradotto con «spirito» e viceversa. «Reni», la sede della coscienza», è resa qui come «cuore» e lì come «spirito» o «mente». Addirittura una delle «nuove» ha fatto sparire «carne» da vari brani, ad esempio nelle locuzioni «ogni carne», «la carne che». Anche le «vecchie» traduzioni rendevano, ad esempio, «psichico» (o animico) con «naturale» (uomo 1 Cor 2,14; 15,44.46) o «carnale» (sapienza Gcm 3,15), snaturando così il significato intrinseco al discorso dell’autore.

     Ecco qui di seguito alcuni consigli che possono aiutare a valutare una buona traduzione e il suo equilibrio fra «forma» e «significato».

     ■ Bisogna mantenere una coerenza terminologica in tutta la Bibbia. Se non c’è motivo di comprensione immediata, bisogna tradurre il più letteralmente possibile, mettendo nell’apparato critico la forma o il significato. Comunque si faccia, ogni termine (ebraico o greco) deve mantenere sempre la sua coerenza terminologica; nei casi in cui un termine in una specifica locuzione abbia un significato diverso nella lingua della traduzione, bisogna indicare nell’apparato critico la forma originale (vedi sotto).

     ■ Bisogna che il traduttore si astenga dal proiettare nella traduzione la sua particolare visione dottrinale; si veda qui At 20,11 nella Nuova Diodati (aggiungendo «con loro» si suggerisce non il semplice desinare di Paolo, ma la Cena del Signore); si veda qui 1 Cor 7,15 nella Nuova Riveduta (trasformando il «non sono schiavizzati» (o «non sono soggetti /sottoposti a servitù»), ossia riguardo al reciproco vincolo matrimoniale, in «non sono obbligati a continuare a stare insieme» si proietta nel testo una propria visione morale, che però non corrisponde all’intenzione dell’autore).

     ■ Bisogna pubblicare traduzioni che nel testo mantengano, ad esempio, una coerenza nel significato, ma che indichino in un apparato esplicativo che cosa c’è in ebraico o in greco per quei termini caratteristici dell’idioma ebraico; o viceversa. Ad esempio «un uomo privo di cuore» (’ādām chasar-leb) in ebraico non è una persona spietata, ma un «uomo privo di senno» (cuore = mente; Pr 17,18; 24,30; cfr. 10,13; 11,12; 15,21). In una traduzione che privilegia il significato, bisogna indicare nell’apparato esplicativo la forma originaria. Si veda al riguardo il sistema usato da me in: Nicola Martella, Levitico: Traduzione letterale (Punto°A°Croce, Roma 1998).

     Invece di ciò, si assiste alla pubblicazione di Bibbie con note dottrinali (p.es. quelle dette di «Scoffield» e poi si parla impropriamente di «Bibbia [di] Scofield» non solo la parte del popolo, ma anche nei cataloghi da parte degli editori e delle librerie). Il lettore che vuole studiare la Bibbia non ha bisogno di tali note dottrinali (spesso piene di allegorie e di una particolare visione dogmatica), ma di note testuali, quindi di un apparato critico.

     ■ Nelle traduzioni bisogna indicare chiaramente nell’introduzione chi siano i traduttori, se per l’AT hanno tradotto partendo dai testi ebraici, da quelli greci (Settanta) o addirittura da quelli latini (Vulgata), se sono partiti da una revisione particolare (p.es. Biblia Hebraica per l’AT; Nestle-Aland per il NT), oppure se hanno tradotto un testo estero (p.es. King James) o hanno rivisto un testo italiano già esistente. Bisogna valutare se l’aggettivo «nuovo» si addica a una revisione (Diodati, Riveduta) o se il nuovo prodotto è ben altra cosa, nel qual caso bisognerebbe indicare con un’altra etichetta. Per chi traduce la Bibbia, che consideriamo verità e autorità, trovo tutto ciò un atto di onestà intellettuale.

     ■ Non sarebbe neppure sbagliato se si indicassero i criteri usati per tradurre (o rivedere) e l’obiettivo perseguito, ad esempio: ▪ 1) Precisione formale per lo studio biblico; ▪ 2) Privilegiare il significato per la devozione personale e l’edificazione di gruppo; ▪ 3) Mirare a una facile lettura del testo per credenti semplici e non credenti (parafrasi).

     È chiaro che c’è bisogno di buone parafrasi, che prescindano dalla forma e mirino alla comunicazione del messaggio. In tal caso si indichi chiaramente di aver prodotto una «trasposizione» in lingua moderna, senza pretendere di aver pubblicato una «traduzione».

 

 

[1]. N.d.R.: La locuzione «in bocca al lupo» deriva dalla superstizione, secondo cui dire «buona fortuna» porterebbe male.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Bibbia_traduz_trasposizioni_MT_AT.htm

23-09-2008; Aggiornamento:

 

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