Un amico mi ha mandato preoccupato l’articolo
del biblista
cattolico
Gianfranco Ravasi
«Anania
e Saffira, puniti per avarizia» (2005), che è presentato come «Approfondimento
della Bibbia». Tale articolo non si trova più sotto il link, in cui l'avevo
letto (novena.it),
ma la San Paolo lo riporta
qui nella rubrica «La Bibbia per la famiglia». A quel tempo,
Ravasi era solo monsignore e docente di Esegesi Biblica, mentre oggi è
arcivescovo.
L’autore mostra un collegamento fra Is 58,7-10 e la
pratica consona della chiesa primitiva (At 4,32.34-35), per poi evidenziare il
contrasto fra quest’ultima e Atti 5, in cui si parla della condanna e del
giudizio divino su tale coppia, che praticò la menzogna per motivi di avarizia e
di prestigio.
L’autore presenta i fatti
relativi ad Anania e Saffira, compresa l’etimologia dei loro nomi (!),
affermando giustamente che tale coppia «tiene per sé una parte dell’importo
ricavato, mentre il resto lo consegna agli apostoli per la destinazione comune».
Poi cita la reazione veemente di Pietro verso Anania e il successivo giudizio
divino sul modello veterotestamentario (vv. 3.5); poi tale procedura e il
conseguente «miracolo di morte» riguardarono, tre ore dopo, la moglie ignara del
destino del marito (vv. 7-10).
Quello che meraviglia è
costituito da alcuni commenti concomitanti. Il biblista Ravasi si toglie i panni
dell’esegeta e si mette quelli di critico storico, relativizzando così il testo
biblico con un po’ di dialettica liberale.
■ Un primo errore grossolano sta nelle sue parole riguardo al fatto che la
coppia aveva
trattenuto una parte del denaro: «Si violava così
quella norma di piena comunione dei beni che reggeva la Chiesa gerosolimitana».
Ciò meraviglia per un biblista che intende rappresentare con rigore i fatti del
testo biblico. Pietro non rinfacciò ad Anania nulla del genere, anzi considerò
come legittimo che essi facessero del loro denaro ciò che volessero. Egli gli
contestò il fatto che essi volessero fare bella figura con un sotterfugio
ipocrita e menzognero: «Se questo restava invenduto, non
restava tuo? E una volta venduto,
non ne era il prezzo in tuo potere?
Perché ti sei messa in cuore questa cosa? Tu non
hai mentito agli uomini ma a Dio»
(v. 4). Così facendo, però, egli aveva mentito allo Spirito Santo, poiché,
sebbene avesse ritenuto legittimamente parte del prezzo del podere, aveva
affermato una cosa differente (v. 3). Non è strano che tale questione centrale
del testo sia sfuggita a un biblista?
Quando anche la moglie
simulò riguardo a tale rappresentazione dei fatti, Pietro le disse con veemenza
che essi, come coppia, si erano «accordati a tentare lo Spirito del Signore»
(vv. 8s). Il punto non stava quindi in ciò che Ravasi ha evidenziato, ma nella
menzogna pubblica. Non esisteva una «norma di piena comunione dei beni che
reggeva la Chiesa gerosolimitana», essendo ciò solo un fenomeno spontaneo in
vista della fine dei tempi attesa in breve. Come abbiamo visto, Atti 5 intendeva
evidenziare però ben altro. Purtroppo, avendo Ravasi mancato il punto centrale
della questione, dà poi questa «morale della favola» (per lui è solo un racconto
simbolico!): «Chi viola per smania di possesso e per egoismo il precetto
dell’amore nei confronti del prossimo è uno “scomunicato”, è come se fosse morto
per la comunità, è fuori dal cerchio vitale della comunione ecclesiale e della
grazia divina».
■ Come accennato, sono rimasto perplesso dinanzi alla valutazione storica del
brano. Egli afferma: «La scena può persino avere
un suo valore storico, forse basato sulla morte improvvisa di due coniugi
cristiani, “chiacchierati” per un loro comportamento egoistico». Ravasi
come i critici storici pretende di poter valutare le cose meglio di Luca e dei
suoi contemporanei. Quindi un fatto che non c’entra nulla con Anania e Saffira
(«la morte improvvisa di due coniugi cristiani» un po’
tirchi per motivi fortuiti) avrebbe indotto Luca a inventarsi un tale racconto e
a costruirvi sopra una storia esemplare. Si rimani delusi per l’approccio
arbitrario di tale biblista! Secondo lui, «la vicenda ha soprattutto un valore
simbolico» per Luca.
Ecco il risultato, quando un
biblista si arrende al cosiddetto metodo storico-biblico e perciò non prende sul
serio le testimonianze storiche dei testimoni oculari. Ecco il risultato, quando
il verme del relativismo interpretativo intacca la valutazione esegetica dei
testi biblici! Lo scrupolo metodologico e deontologico seguito da Luca per il
suo Evangelo e per gli Atti (Lc 1,1ss; At 1,1), viene messo fuori uso con il
proprio soggettivismo e il proprio arbitrio, ormai proni all’interpretazione
liberale.
Concludendo,
Gianfranco Ravasi non solo non ha colto il punto centrale della narrazione di At
5, ma ha dato un pessimo esempio di come si possa snaturare l’interpretazione
biblica. Un biblista cattolico può così far dire al testo biblico ciò che egli
vuole. Si rimane al riguardo solo perplessi e delusi da tale
docente di Esegesi Biblica, visto anche il
posto d’onore che ha attualmente in
Vaticano. Anche
Rudolf Bultmann,
uno dei padri del criticismo storico nel NT e teologo (meglio filosofo) della
demitizzazione, si sarebbe espresso così; lui era però un agnostico razionalista
vestito da cristiano, seguace dell’esistenzialismo di Heidegger. Da Gianfranco
Ravasi ci saremmo aspettati qualcosa di diverso.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Anania_Saffira_avarizia_Avv.htm
21-03-2008; Aggiornamento: 15-10-2009
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