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Fernando De Angelis:
Ho molto apprezzato questo libro, anche se farò presente qualche perplessità.
Sembra riduttivo cominciare con l’esaltarne l’efficacia divulgativa, ma lo
consiglierei a tutti quelli che vogliono comunicare sia ai vertici della cultura
che al grande pubblico, senza con questo rinunciare all’elevatezza e alla
precisione del contenuto. È stata una lettura piacevole e, dato che la sua
pubblicazione in inglese (2006) ha suscitato una vasta eco, è stata anche
un’opportunità di fare un giro di ricognizione su ciò che circola nel dibattito
odierno.
L’autore non è un creazionista tipico, perché accetta
che gli esseri viventi possano essersi originati miliardi d’anni fa da un
progenitore unico (p. 32), in ciò facilitato dal suo essere cattolico (p. 306).
Fa semplicemente notare che per Darwin la cellula era una «scatola nera» della
quale allora non si conosceva niente. L’attuale «neo-darwinismo», poi, è sì il
risultato della «sintesi» delle conoscenze in seguito acquisite da diverse
discipline (biologia, anatomia comparata, geologia, paleontologia e altre), ma
quando è stato formulato (metà del ‘900) la biochimica non s’era ancora
sviluppata.
La successiva scoperta dei meccanismi molecolari della
cellula, che sono risultati d’una complessità incredibile, non ha portato a un
ripensamento dei neo-darwinisti, i quali hanno ignorato il problema di come
strutture così coordinate si siano potute originare attraverso mutazioni casuali
e graduali.
Sul Monte Rushmor sono stati scolpiti in grande i volti
di quattro famosi presidenti degli Stati Uniti e nessuno crede che siano frutto
dell’erosione operata da agenti naturali. Anche nella cellula troviamo chiari
segnali di «Disegno» nei sistemi «Irriducibilmente Complessi», cioè in quei
sistemi che (come le trappole per topi) sono costituiti da più parti, le quali
si coordinano per un preciso scopo (coagulazione del sangue, flagello, sistema
immunitario, sintesi delle varie sostanze e altro).
Perché allora ci si rifiuta di prendere atto delle
nuove conoscenze scientifiche? L’autore elenca alcuni motivi storici e
filosofici, ma che nulla hanno a che vedere con la scienza. Anzi, siccome
sull’origine dei sistemi biochimici complessi non esistono pubblicazioni
pertinenti fornite di specifici dati, sull’origine per evoluzione di questi
sistemi non s’arriva neppure a produrre delle vere ipotesi scientifiche, ma ci
sono solo affermazioni dogmatiche di «devoti dell’evoluzione» che sono
acriticamente recepite da altri «devoti».
A questi rilievi gli evoluzionisti rispondono come al
solito, cioè col silenzio, emarginando i dissidenti, immaginando scenari
evoluzionisti non supportati da fatti, dichiarandosi fiduciosi che la risposta
si troverà nel futuro e rifugiandosi spesso nel «possibile». Per fare un
esempio, riconoscono che non è facile comporre a caso la Divina Commedia,
ma se uno si mette a battere ciecamente sulla tastiera è pur sempre «possibile»
e se ne può calcolare la probabilità, che è di 10-x. Non importa
quanto sia grande la x (cioè quanto sia piccola la possibilità), perché alla
fine resta sempre l’impressione che sia «possibile», specie se il tutto viene
spalmato su miliardi d’anni e proiettato in un mondo fantastico, dove non si sa
bene cosa sia successo e perciò dove tutto è «possibile».
A questo proposito (p. 318) Behe cita Dawkins, che è un
quotato divulgatore d’un evoluzionismo radicale, il quale invita a non credere
al miracolo nemmeno se una statua di marmo comincia a muovere su e giù il
braccio: è «possibile» che sia dovuto solo a una particolare disposizione
casuale degli atomi. [R. Dawkins,
L’orologiaio cieco (Rizzoli, Milano 1988), p. 236s.] Insomma, spesso non
sono i fatti a determinare la propria visione del mondo, ma è la visione del
mondo prescelta che ci fa selezionare i fatti.
Il libro chiarisce bene cosa si deve intendere per
«Disegno Intelligente», una concezione che vuole semplicemente affermare che le
strutture biologiche impongono di presupporre un «progetto» e perciò un
«Progettatore», ma senza andare oltre, cioè senza andare a precisarne la natura.
L’Introduzione all’edizione italiana è di
Giuseppe Sermonti, cioè dello scienziato italiano che si è per primo esposto (e
anche più di altri) nel contrastare il darwinismo, riaprendo il dibattuto sulle
origini e accentandone di pagarne il prezzo (ostracismo dei colleghi e ostacoli
alla carriera). Il Discovery Institute di Seattle (USA) si è proposto di
diffondere la concezione della vita come «Disegno Intelligente» (ID) e il libro
di Behe è stato un fondamento di quella concezione. Non a caso, l’ultimo libro
di Sermonti (2006) è stato proprio pubblicato dal Discovery Institute (Why is
a Fly not a Horse?,
cioè Perché la mosca non è un cavallo?). Sermonti è in piena sintonia
con Behe perché anche lui, pur contrastando il darwinismo, non intende certo
prendere la Genesi alla lettera.
L’unica mia perplessità riguarda il fatto che la casa
editrice è evangelica. Sermonti e Behe sono uomini di scienza che fanno un’opera
utilissima, esponendo il loro lavoro dalle cattedre. Sono convinto che non hanno
alcun desiderio di salire su un pulpito, ma se qualcuno fa rimbalzare il loro
pensiero in un contesto di chiese evangeliche, certi dettagli acquistano
un’altra rilevanza. Personalmente vedo una contraddizione fra Bibbia ed
evoluzionismo, non sanabile da quello che si definisce «evoluzionismo teista»,
«creazionismo progressivo» o «creazionismo dei tempi lunghi»: gli editori,
invece, presumo che non abbiano questo tipo di problemi.
Sulla questione Bibbia e scienza, creazione ed evoluzione cfr. in Nicola
Martella, Temi delle origini.
Le Origini
1
(Punto°A°Croce, Roma 2006) «L’interpretazione della
Genesi», pp. 25-48; «La Genesi e la scienza», pp. 181-195. ● Sull’età
dell’universo cfr. qui gli articoli «Giorni, ere, genealogie», pp. 104-114;
«Creazione continua o discontinua?», pp. 115-127. ● Sulla critica biblica
cfr. qui «Genesi 1-2 e la critica biblica», pp. 54-64. ● Per la parte
esegetica cfr. Nicola Martella,
Temi delle origini.
Le Origini
2
(Punto°A°Croce, Roma 2006).
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