Sintesi:
Gesù ha operato all’interno dell’ebraismo e le chiese del Nuovo Testamento — sia
quelle di lingua ebraica che quelle di lingua greca — sono state fondate in
genere da ebrei. Su tutte, comunque, veniva esercitata una funzione di guida
chiaramente ebraica (apostoli, chiesa di Gerusalemme). La distruzione del Tempio
e la dispersione degli ebrei hanno poi fatto prevalere l’elemento culturale
greco e quello politico romano, introducendo nelle chiese distorsioni e
stravolgimenti. Il ritorno degli ebrei in Terra Santa, con il loro essere di
nuovo in possesso di Gerusalemme, ci sembra che indichi come il «tempo dei
Gentili» (Lc 21,24) stia ormai per essere superato. In ogni modo, il riemergere
di chiese di lingua ebraica o costituite prevalentemente da ebrei ci costringe a
riscoprire le radici ebraiche del cristianesimo.
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La preminenza
degli ebrei nel Nuovo Testamento
Le prime chiese nacquero in Giudea, furono fondate sotto il diretto influsso
degli apostoli ed erano esclusivamente «giudeo-cristiane»; le loro
caratteristiche sono riportate nel Nuovo Testamento, all’inizio del libro degli
Atti. La caratteristica che qui mettiamo in primo piano è lo stretto
collegamento di queste chiese con l’ambiente ebraico, anche di quelle esentate
dall’osservanza della Legge di Mosè (At 15). Anche le chiese composte da
Gentili, infatti, erano state per lo più fondate da ebrei. In ogni caso, tutti
gli apostoli erano ebrei e, almeno nei primi tempi, erano le chiese d’estrazione
ebraica (quella di Gerusalemme in particolare) a svolgere una funzione di guida.
Le cose cominciarono a cambiare nell’anno 70 d.C., con la distruzione del Tempio
e di Gerusalemme, episodi che sconvolsero anche gli ebrei divenuti cristiani. Il
colpo finale, però, avvenne circa 65 anni dopo (intorno al 135), quando i Romani
repressero un’ulteriore rivolta ebraica (guidata dal supposto Messia Bar
Kochba), con la cacciata degli ebrei da Gerusalemme e dall’intera Giudea. Non
essendoci più territori a prevalenza ebraica, finirono per sparire anche le
chiese con quel tipo di preminenza. Insomma, dalla situazione descritta
all’inizio del Nuovo Testamento, si è poi passati a una condizione diversa,
perciò già le chiese posteriori al 200 si discostano dal Nuovo Testamento.
La successiva
preminenza dell’elemento greco
Le chiese di lingua greca, che già erano arrivate a essere una larga
maggioranza, erano guidate chiaramente fin dall’inizio da gente locale (At
14,23); se all’inizio i contatti verso il cristianesimo giudaico erano frequenti
(cfr. At 15,22s), questo aspetto andò sempre più ad affievolirsi, quando morì la
generazione dei missionari giudaici e il cristianesimo giudaico diventò
minoritario. Verso il 200 poi le chiese di lingua ebraica erano divenute del
tutto irrilevanti. Successe allora che al contesto ebraico del Vangelo si
sostituì un contesto culturale derivato dalla filosofia greca, un’operazione
facilitata dal fatto che il Nuovo Testamento era scritto in greco e già da tempo
circolava la famosa traduzione greca dell’Antico Testamento (avviata due secoli
prima di Cristo). Questa diversità di contesto fece sempre più sbiadire
l’ebraicità di Gesù, che così finì per non essere più realmente visto come un
«Figlio di Davide nato a Betlemme», ma lo si cominciò a vedere per lo più come
«Salvatore e cittadino del mondo».
Dalla concretezza unitaria ebraica, allora, si passò sempre più ai dualismi
greci, con la contrapposizione anima-corpo, cielo-terra, spirito-materia:
deformazioni largamente presenti e sostanzialmente inestirpabili in tutta la
cristianità posteriore.
Gesù cominciò a non essere visto più in continuità con l’Antico Testamento, ma
in contrapposizione con esso (dualismo Antico - Nuovo Testamento), iniziò così a
consolidarsi la millenaria tendenza a cercare i possibili contrasti fra prima e
dopo Cristo, fra Mosè e Gesù, fra la Legge e la grazia, fra il corpo e lo
spirito, per citarne solo alcuni. La proibizione delle immagini, codificata
perfino nei dieci comandamenti, venne ritenuta superata. Con la qualifica
d’ebrei vennero sempre più indicati non Cristo e coloro che avevano fatto
nascere il cristianesimo, bensì coloro che avevano crocifisso Gesù (sottacendo
che la massima responsabilità giuridica fu di Pilato, rappresentante di Roma).
Ancora oggi, a livello popolare, quando s’ascolta che Gesù e gli apostoli erano
ebrei, si rimane increduli! Chi invece è più informato ormai ne ha preso atto,
salvo che poi si limita in genere a riconoscere che Gesù era ebreo,
rifiutando sostanzialmente che lo sia ancora (come se Gesù si fosse convertito
abbandonando l’ebraismo).
È allora evidente che dopo il 200, pur mantenendosi certi principi base del
cristianesimo, si vennero a costituire delle chiese con una sensibilità diversa
da quella degli apostoli, che s’espresse anche in teologie nuove. Agli ideatori
di questa nuova realtà venne dato il nome di «Padri della Chiesa», nome che si
può ritenere corretto solo se s’aggiunge una precisazione, indicandoli cioè come
«Padri della Chiesa post-apostolica», altrimenti si dà l’impressione che
la Chiesa cominci con loro e non con gli apostoli.
I greci, si sa, hanno sempre avuto difficoltà ad aggregarsi e così,
parallelamente, anche le chiese di lingua greca rimasero abbastanza indipendenti
le une dalle altre.
Le chiese di
lingua latina
Quando Paolo scrisse la famosa Lettera ai Romani, usò la lingua greca, perché
nelle chiese cristiane di Roma prevalevano le persone provenienti dall’Oriente e
perciò di lingua greca. Presto si convertirono sempre più anche quelli di lingua
latina i quali, in Occidente, divennero la maggioranza, apportando nella Chiesa
la loro cultura. La cristianità romana acquistò improvvisamente grande forza con
l’editto di Costantino (313), col quale il cristianesimo venne sempre più a
definirsi come «religione di Stato» e l’Occidente cominciò a crescere come
centro decisionale parallelo all’Oriente. Alla cornice culturale greca venne
aggiunta la tipica struttura di governo imperiale: il titolo di Sommo Pontefice,
non a caso, era in precedenza un titolo spettante all’imperatore. La Chiesa si
trasformò da «sinagogale» (insieme di persone) a «territoriale» (il vescovo
intendeva esercitare la sua autorità su tutto un suo territorio definito) e così
l’adesione alla Chiesa non fu più libera, ma divenne obbligatoria, con
l’imposizione del credo cristiano e del battesimo anche ai neonati
(pedobattismo). L’organizzazione si gerarchizzò sempre più, fino ad arrivare al
dogma dell’infallibilità papale (1870).
Le rivolte ebraiche contro Roma, con le impegnative e prolungate guerre che ci
furono (nel 70 e nel 135), accentuarono i sentimenti antiebraici dei Romani e
così Gesù divenne ancor meno «Figlio di Davide». Arrivando a dipingere Gesù (un
ebreo che rifiutava le immagini) come biondo e con gli occhi azzurri
(caratteristiche a dir poco inusuali fra i nativi del Medio Oriente).
L’odio antiebraico è cresciuto fino a promuovere delle adunate di popolo pronte
al massacro e ciò in quasi tutta la cristianità (dall’Oriente russo
all’Occidente spagnolo). Fino a negare per gli ebrei (nella Germania di Hitler)
finanche la validità d’una loro eventuale conversione a Gesù, anche se già
formalizzata col battesimo!
Il riemergere
dell’elemento ebraico (chiese giudeo-cristiane recenti)
Lutero e Calvino dichiararono di voler tornare alla Scrittura ma, nel loro
percorso verso le origini della Chiesa, si fermarono risolutamente a dopo
Costantino, mantenendo il battesimo dei neonati e la struttura territoriale
della Chiesa. Gli anabattisti volevano invece ritornare a una Chiesa
«sinagogale» separata dallo Stato e alla quale s’aderiva per libera decisione
personale: Lutero e Calvino, non avendo validi argomenti estraibili dal Nuovo
Testamento, per contrastare gli anabattisti decisero d’usare la spada dei loro
protettori. La tendenza espressa dal variegato mondo anabattista riemergerà poi
nei battisti, che hanno trovato fertile terreno negli Stati Uniti, nazione
formatasi sotto il loro prevalente impulso (pluralità delle religioni e loro
separazione dallo Stato). Proprio da questo tipo di chiese è sorto un
atteggiamento nuovo verso il popolo d’Israele, con una nuova sottolineatura
dell’ebraicità di Gesù.
A ciò si è aggiunto un fatto molto significativo: il ritorno degli ebrei nella
Terra Promessa, con la costituzione d’un loro Stato (1948) e con la successiva
presa di possesso di Gerusalemme (1967). Il rinascere della lingua ebraica e
d’un territorio ebraico ha consolidato e dato incremento alla rinascita di
chiese a prevalenza ebraica, che riconoscono Gesù quale «Messia, Figlio di
Davide».
Tutte le chiese cristiane fatte in prevalenza da Gentili, allora, sono di nuovo
costrette a confrontarsi con le consorelle ebraiche e alcune situazioni
assomigliano a quelle che illustriamo con una storiella.
Una giovane donna sposò un uomo più maturo e andò a stare nella casa del marito,
che le diede alcuni figli e poi partì in guerra. Dopo un po’ il marito venne
dichiarato disperso e tale ufficialmente rimase per diversi anni, dopo i quali
però si ripresentò inaspettatamente a casa sua. In che situazione avrà trovato
la moglie? Che reazione ha avuto rivedendo il marito? Nel caso di Penelope,
essendo rimasta fedele, accolse con gioia il marito Ulisse. Se invece ha voluto
credere che il marito fosse morto e ha accolto un altro uomo, farà di tutto per
non far rientrare in casa colui che ne ha invece tutti i diritti.
Il Vangelo di Matteo comincia con la semplice frase «Genealogia di Gesù Cristo,
figlio di Davide», ma se ci si riflette coerentemente bisogna cacciar via dalla
Chiesa le distorsioni greco-romane, per ripristinare quella radice ebraica del
cristianesimo che è l’unica a essere legittima; chiaramente ciò deve avvenire in
sintonia con le decisioni prese nel cosiddetto Concilio di Gerusalemme (At 15).
Per l’apostolo Pietro il Vangelo di Matteo costituiva l’inizio del Nuovo
Testamento, mentre per Cornelio e per i suoi amici (At 10,24), cioè per coloro
che non hanno un solido retroterra ebraico, il Vangelo di Matteo può essere
compreso solo
alla fine d’un percorso che deve necessariamente cominciare con un riassunto
semplificato dell’Antico Testamento, contesto nel quale ha vissuto e operato
Gesù. Ciò si può vedere facendo un confronto fra il messaggio rivolto da Pietro
agli ebrei (At 2,22-40; 3,12-26) e quello nella casa di Cornelio (At 10,37-43),
come pure confrontando la predicazione di Paolo nella sinagoga d’Antiochia di
Pisidia (At 13,16-41) con quelle fatte in ambiente non ebraico, cioè a Listra
(At 14,11-18) e all’Areopago (At 17,22-31). In ogni modo, i missionari giudei
non imposero ai Gentili l’elemento culturale e devozionale giudaico, perché la
cosa importante era la massima dottrina del nuovo patto: la persona e l’opera di
Gesù Cristo, ossia l’Evangelo, rispetto al quale tutto diventava «contorno». Gli
elementi principali della loro predicazione ai Gentili non erano l’ubbidienza
alla Legge e la circoncisione, ma la fede in Gesù e la rigenerazione mediante lo
Spirito Santo (cfr. At 10,36ss.44ss; 11,15ss).
Una predizione
su cui meditare
«Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili, finché i tempi dei Gentili siano
compiuti» (Lc 21,24). Questa predizione di Gesù mi sembra chiara, anche se
forse per qualcuno non lo è. Il calpestamento di Gerusalemme da parte dei
Gentili è facilmente collegabile, sia con la distruzione operata dai Romani nel
70, sia con la successiva espulsione da essa (circa 135) di tutti gli ebrei.
Gesù usò il verbo «calpestare» perché nessuno cammina su Gerusalemme col il
rispetto e il senso di sacralità di quei luoghi che hanno gli ebrei.
Gesù però annunciò anche che questo calpestamento sarebbe cessato e ciò quando i
Gentili avrebbero esaurito il loro compito (che è quello di diffusori del
Vangelo nel mondo). Gerusalemme sarebbe allora tornata in mano ebraica (come è
successo nel 1967) e ciò sarebbe stato l’indice
dell’avvio di un’era nuova.
Sono passati ormai quattro decenni dalla riconquista ebraica di Gerusalemme e
qualcuno potrebbe dire che non è successo granché. Chi però ha seguito le
vicende di quest’ultimo quarantennio, una piccola cosa l’ha notata: è il
progressivo crescere, sulla scena mondiale, dell’importanza delle questioni
collegate con Gerusalemme.
Dio comunque non ha la nostra fretta. Quando Gesù venne nel mondo, a Roma non ci
fecero caso; e per prendere atto che aveva spaccato in due la Storia (prima e
dopo Cristo) ci misero cinque secoli: eppure era tutto successo dentro i confini
dell’impero! Abramo percorse la Terra Promessa con la convinzione che Dio gliene
avesse fatto dono, ma morì dopo aver preso possesso solo d’un campo da usare
come cimitero (Gen 23,17-20). Quelli del posto probabilmente avranno anche riso
di quest’anziano visionario che pensava d’aver avuto da Dio tutto e invece era
morto senza aver ottenuto niente. Quei popoli ci misero quattro secoli per
accorgersi che, mentre loro continuavano a ridere, Dio continuava a far crescere
il suo progetto in un appartato territorio dell’Egitto (Gen 15,12-21; 47,6; Es
12,41).
Le chiese messianiche (cioè fatte in prevalenza d’ebrei che credono nel Messia
Gesù, Figlio di Davide) si sono da tempo formate e stanno rapidamente crescendo
all’interno dello Stato d’Israele: un fatto che interpella tutti i cristiani del
mondo. Gruppi d’ebrei messianici, però, sono nati anche in Italia e interpellano
le chiese italiane in modo speciale. Certo la Storia non può tornare indietro e
le chiese d’oggi non saranno mai come quelle del tempo degli apostoli. Come
successe dopo Atti 15, però, possiamo di nuovo dare alle chiese quell’equilibrio
e quella forza derivante dalla diversità delle due componenti (quell’ebraica e
quella non ebraica) che, quando si coordinarono, ebbero una grande forza.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/Proiezioni/906-Giudeo-cristianesimo_storia_OiG.htm
22-06-2008; Aggiornamento: 05-10-2008
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