Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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3. Cultura biblica

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Spiegazione delle rubriche

 

 

Carismaticismo e occultismo a confronto
   Ecco le parti principali:
■ Alcune basi del carismaticismo
■ Problemi del carismaticismo
■ Carismaticismo ed esoterismo
■ Carismaticismo e dottrine
■ Fatti, casi ed eventi
■ Casi di cura d’anime

 

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ECONOMIA E RELIGIONI

 

 di Fernando De Angelis

 

 

[6.  INDIA E CINA, DUE GIGANTI IN MOVIMENTO]

 

6.2.  CINA

 

6.2.1. INTRODUZIONE: «Quando il gatto dorme i topi ballano», questo proverbio si applica bene all’Estremo Oriente che si affaccia sull’Oceano Pacifico. La Cina è un gigante rispetto agli altri Stati della regione, sia considerando il numero di abitanti, o l’estensione del territorio, o la potenza militare. In compenso gli altri Stati hanno per lo più un reddito pro-capite superiore (anche di molto), ma a un certo punto la Cina si è svegliata e da tempo è in forte ripresa (nell’ultimo ventennio è cresciuta al ritmo del 10% annuo). Il Giappone, la più grande potenza economica della regione, si trascina invece da lungo tempo in una crisi dalla quale non si è ancora pienamente ripreso. Un motivo di crisi, per il Giappone, è proprio dato dal dinamismo economico cinese, in grado di attrarre più di altri i capitali che si dirigono nell’area. Ormai anche la ricchezza complessiva prodotta dalla Cina (PIL), se calcolata sulla base del potere d’acquisto, ha superato quella del Giappone. Se si fa invece il calcolo secondo i criteri della Banca Mondiale, il PIL cinese resta ancora molto inferiore a quello giapponese, ma la differenza si è andata riducendo: nel 1994 il PIL cinese era un ottavo di quello giapponese, ma già quattro anni dopo (1998) il divario si era dimezzato, divenendo un quarto, e questo andamento riequilibratore sta proseguendo velocemente.

     Secondo alcuni la Cina è già ben avviata ed è in grado di raggiungere traguardi sorprendenti: considereremo ora altri elementi che possono indurre a pensarlo.

 

6.2.2. UN PO’ DI STORIA NON GUASTA: La Storia ci dice che la civiltà cinese si è manifestata in modo evidente nel 1500 a.C., cioè più tardi di quella che possiamo chiamare Mediterranea, o Occidentale. Poi però la civiltà cinese ha recuperato rapidamente e, nei quattro secoli a cavallo dell’inizio dell’era volgare (dal 206 a.C. al 220 d.C.), la dinastia Han ha fatto un’opera di assimilazione e uniformizzazione parallela a quella che, in Occidente, ha fatto l’Impero Romano.

     A partire da quel momento, il confronto Occidente - Cina ha visto lunghi periodi nei quali la Cina è stata in condizioni sociali e culturali indubbiamente migliori. La stampa con caratteri mobili (seppur di legno, anziché di metallo) è per esempio iniziata in Cina 500 anni prima che in Occidente. Cinese è pure, fra l’altro, l’invenzione della carta, della bussola, della polvere da sparo, oltre alla nota coltivazione del baco da seta.

     Occidente e Cina sono stati a lungo una specie di mondi paralleli separati dalla geografia, ma sempre in qualche modo comunicanti (si pensi a Marco Polo, Gengis Khan e alla famosa «via della seta», attraverso la quale passavano i commerci est-ovest). Questo equilibrio millenario ha subito una svolta con la Rivoluzione industriale del 18° secolo che, oltre a dare all’Europa una marcia in più, l’ha messa in condizioni di interferire direttamente nella vita interna della Cina, fino a imporle una colonizzazione forzata (con la cosiddetta «guerra dell’oppio», del 1839-42). Iniziò così un periodo di progressivo degrado della vita nazionale e la Cina arriverà a essere invasa dal Giappone (1937).

     La rinascita nazionale raggiunse il suo primo traguardo con la proclamazione, da parte di Mao Tse-tung (Mao Dzedong), della Repubblica Popolare Cinese (1949). Avendo questa Repubblica adottato un regime di tipo comunista, per diverso tempo la ricostruzione è avvenuta soprattutto sul piano politico-militare. Per l’avvio di una valida ricostruzione economica bisognerà attendere la morte di Mao (1976) e il prevalere (1980) di Teng Hsiao-ping (o Deng Xiaobing), che ha varato un vasto piano di modernizzazione, aprendo sempre più la Cina all’influenza dell’economia occidentale (pur conservando il regime comunista sul piano politico).

 

6.2.3. GRANDE EFFICACIA DELLA DIASPORA CINESE: Prima del 1980 i cinesi che stavano dentro la Cina non hanno potuto perciò esprimere le loro potenzialità, mentre quelli fuori della Cina (cioè i cinesi della cosiddetta diaspora) hanno ottenuto risultati incredibili, come dimostrano alcuni dati di qualche anno fa, ma tuttora indicativi.

     In Malesia i cinesi erano circa il 25% e avevano una netta prevalenza in campo economico. In Thailandia il gruppo di origine cinese costituiva l’8% della popolazione, ma deteneva la metà del capitale bancario e il 90% delle imprese commerciali e manifatturiere! Mentre in Indonesia era solo il 4% della popolazione, ma controllava 17 dei 25 maggiori gruppi d’affari e possedeva i tre quarti delle ricchezze private! Nelle Filippine erano meno dell’1%, ma le loro società incameravano i due terzi delle vendite delle 67 maggiori imprese commerciali! (Gli incredibili dati su queste tre ultime nazioni sono tratti da un articolo di S. Magister, Adamo Smith? No, Confucio, su L’Espresso, 28/03/1993, p. 105). Singapore, Bangkok (capitale della Thailandia), Phnom Penh (capitale della Cambogia) e Ho Chi Minh (ex Saigon, capitale dell’allora Vietnam del Sud) erano e stanno tornando a essere un quadrilatero di città sostanzialmente cinesi.

     Anche fuori dell’Asia i cinesi hanno saputo dare buona prova di sé. Gli americani di origine estremo-orientale (nei quali la componente cinese è prevalente) «sono appena il 2,4 per cento della popolazione USA. Eppure costituiscono il 17 per cento degli studenti di Harvard, il 18 per cento degli studenti del M.I.T., il Massachussetts Institute of Technology, il 28 per cento degli studenti di Berkeley. […] sarebbero ancora di più, se le università non limitassero loro l’ingresso. […] Sono arrivati negli USA per ultimi, erano i più poveri, e ora i loro figli sono i più volenterosi» (E. Franceschini, Sveglio, studioso: un vero coreano, su La Repubblica, 24/03/1990, p. 6 dell’inserto Mercurio).

     A Vancouver, capitale della costa canadese sul Pacifico, l’immigrazione dall’Asia è da alcuni anni quella prevalente e la città si avvia a essere bilingue. Anche la costa pacifica degli USA (California) ha un’alta concentrazione di asiatici e nella sola Los Angeles c’erano alcuni anni fa ben 35 banche cinesi! Gli Stati Uniti hanno trovato proprio in California un modo per contrastare la produzione asiatica di computer, ma a volte anche i computer americani sono fatti da asiatici e con capitali asiatici! Insomma, se continua di questo passo, l’Oceano Pacifico potrebbe diventare piano piano un Oceano Asiatico su ambedue le sponde.

     Anche in Italia sono presenti nuclei di immigrati cinesi, per esempio a cavallo di Prato (industria tessile, lavorazione del cuoio) e a Bologna, ma non se ne sente parlare molto e perciò quasi non ce ne accorgiamo. Non battono le strade per chiedere elemosine, né per prostituirsi; non creano disordini, ma se ne stanno nelle loro case impegnandosi più che possono (è normale per alcuni di loro, per esempio, ricevere la sera il lavoro da fare, per consegnarlo subito il mattino dopo). Se mafia c’è, è soprattutto interna, collegata alla gestione dell’immigrazione in parte clandestina. Si comportano in genere da ospiti educati e quando (come a S. Donnino, fra Firenze e Prato) la loro concentrazione è così elevata da suscitare lo scontento della popolazione, anziché entrare in conflitto preferiscono cedere (molti da S. Donnino, per esempio, si sono trasferiti in zone vicine). Come non portare ad esempio questo modo di passare da immigrato (magari pure clandestino) ad ospite accettato e infine a cittadino?

 

6.2.4. IL LIMITE CULTURALE DELLA «GRANDE MURAGLIA»: Queste grandi capacità dei cinesi potrebbero far pensare a una futura leadership mondiale, ma c’è una loro caratteristica millenaria che ne dovrebbe impedire la possibilità: quella che potremmo chiamare «psicologia da Grande Muraglia».

     L’ideologia cinese non è universalista, ma nazionale e centripeta. Se non costretti dalle necessità, i cinesi preferiscono occuparsi di ciò che sta all’interno dei loro confini (delimitati per lungo tempo dalla Grande Muraglia). Il veneziano Marco Polo arrivò fino in Cina, ma non esiste una corrispondente figura cinese che abbia fatto un percorso inverso di paragonabile significato. Sono stati gli occidentali, infatti, a promuovere nell’antichità i traffici con la Cina, piuttosto che il contrario. Anche la ferrovia transiberiana, che va dalla Russia al Pacifico, è stata costruita partendo da occidente e la Cina ne ha approfittato solo in un secondo tempo (costruendone una diramazione attraversante il suo territorio).

     Cina e Giappone, per esempio, nell’antichità non hanno mai sfruttato a fondo il loro esteso contatto col mare (come hanno fatto i fenici, la Grecia, Roma, Spagna, Portogallo, Olanda, Inghilterra), non hanno cioè costruito un sistema di colonie e di commerci internazionali, limitando la navigazione per lo più entro i mari costieri (pur essendoci facilità di insediamento per buoni porti).

     Certo, si è notato un attivismo cinese in Africa, in Medio Oriente e nell’Asia centrale ex-sovietica (col principale scopo di garantirsi l’approvvigionamento delle materie prime), ma non sarà facile superare gli ostacoli culturali a una leadership mondiale.

 

6.2.5. LA «VIA CONFUCIANA AL CAPITALISMO»: Per cogliere qualche altro aspetto della mentalità cinese, e in genere dell’Oriente che si affaccia sull’Oceano Pacifico, diremo ora qualcosa sulle direttrici culturali che hanno guidato lo sviluppo economico di quell’area, dove nazioni come Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Singapore hanno già realizzato quella che, semplificando, chiameremo la «via confuciana al capitalismo».

     Nell’Asia dell’Oceano Pacifico ci sono tre religioni principali: Taoismo, Buddismo e Confucianesimo, ma nelle questioni pubbliche prevale il Confucianesimo. I tre sistemi di pensiero, però, non sono propriamente religioni, nel senso che in Occidente si dà a questa parola, perché non riguardano essenzialmente il rapporto con l’Essere supremo, Creatore e Signore del cielo e della terra; non hanno nemmeno un’organizzazione centralizzata, né una precisa teologia obbligatoria per tutti; sono cioè visioni della vita, che assomigliano molto a quelle che in Occidente vengono definite filosofie. Ciò riflette la mentalità concreta e pragmatica dell’Estremo Oriente, che non ragiona mai in termini di ideologia astratta.

     Ciascuno, poi, non è che sia taoista o buddista o confuciano, ma è al tempo stesso un po’ di tutti e tre, a seconda delle circostanze e dei momenti. Noi occidentali tendiamo a ragionare in bianco e nero: cristiani o musulmani, cattolici o protestanti, comunisti o capitalisti, democratici o dittatoriali; ma non è così nell’Oriente sul Pacifico. Per gli estremo-orientali la realtà è l’insieme dei due principi contrapposti di yin e yang (raffigurati da due specie di girini incastrati in una circonferenza). Yin e yang sono sì uno bianco e l’altro nero, ma il bianco non è separabile dal nero, sia perché formano insieme un cerchio e sia perché la parte nera ha un cerchietto bianco al suo interno, come la parte bianca ha un corrispondente cerchietto nero. Non bisogna quindi stupirsi se la Cina, dovendo scegliere fra capitalismo e comunismo, ha deciso di miscelare le due cose, aprendo l’economia al sistema capitalistico, ma restando politicamente comunista! «Non funzionerà», siamo portati a dire, invece bisogna riconoscere che sta funzionando!

     Per noi occidentali le espressioni via retta, via dritta, sono sinonimi di via giusta, mentre per i cinesi il corretto modo di procedere è a zigzag. «È il diavolo», dicono loro, «che va dritto». Se non teniamo conto di queste strutture mentali, ci troveremmo in grande difficoltà nel comprendere i passi indietro che la Cina ogni tanto fa sulla via delle riforme. Noi temiamo che ci stiano ripensando, mentre per loro il modo più sicuro di procedere è quello di fare due passi a destra e uno a sinistra, due passi in avanti e uno indietro.

     Se uno Stato occidentale tentasse di applicare quei principi, c’è da presumere che naufragherebbe immediatamente. Nell’Oriente sul Pacifico, invece, quella miscela di autoritarismo e democrazia ha già funzionato in Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Singapore, tutte nazioni che hanno innescato il capitalismo in modo autoritario. In un secondo tempo, quando il popolo è divenuto istruito e benestante, si è poi realizzata anche la democrazia politica. La strada che sta seguendo la Cina, perciò, può apparire stravagante e rischiosa solo a chi non ha preso atto che il metodo è già sperimentato ed è molto adatto per quel contesto. In quell’area hanno saputo trovare una «via asiatica al capitalismo», che gli facesse recepire il nuovo, ma adattato alla propria sensibilità e storia.

     Il merito di questo successo va anche un po’ a Confucio, al quale in genere si ispira l’etica pubblica. Il Confucianesimo accetta le credenze (molto moderate) dell’animismo politeista cinese (culto degli antenati, credenza in particolari spiriti), ma sorvola sugli aspetti intimi della religiosità, concentrandosi (quel poco che ne parla) sui suoi aspetti rituali e collettivi. Il centro dell’interesse di Confucio (vissuto in Cina fra il 6° e il 5° secolo a.C.) è sia la società nel suo insieme, che i rapporti fra i suoi componenti. Più che altro, insomma, è un compendio di saggezza umana e politica.

     Qualche aspetto avvicina il Confucianesimo al Protestantesimo. Confucio infatti spinge l’individuo a impegnarsi concretamente per realizzare il proprio bene e il bene della proprio cerchia, concentrandosi su questa vita, piuttosto che su un «aldilà» che non esercita nessuna attrazione su di lui. L’attivismo dei cinesi deriva anche da questo.

     L’individuo è chiamato a essere sottomesso e ad accettare il posto assegnatogli dalla società. A chi comanda (padre, marito, fratello maggiore, datore di lavoro, autorità politica) è fatto obbligo di moderazione e di ricerca del bene comune, ma non si devono tollerare contestazioni e chi è sottoposto ha l’obbligo di obbedire. Questo contribuisce a spiegare la relativa facilità con la quale il governo cinese sta riuscendo a governare più di un miliardo di persone, facendole passare attraverso profonde trasformazioni economiche e sociali.

     Al vertice dei valori il Confucianesimo mette la famiglia (in Occidente, invece, prevale la vocazione individuale) e al vertice della società la persona istruita. Da queste due impostazioni deriva una forma di capitalismo detto famigliare (nel senso che le imprese tendono a essere gestite da clan famigliari che lavorano insieme) e una generale prevalenza dei civili sui militari nella conduzione politica (i colpi di stato a opera dei militari sono significativamente assenti in quel contesto culturale).

     L’influenza occidentale ha moderato, nel Confucianesimo, la tendenza all’immobilismo sociale, nonché la scarsa considerazione della donna e del lavoro manuale. Quando ora si parla di Confucianesimo, perciò, si parla di un’impostazione un po’ diversa da quella del passato, restano però tracce profonde di una mentalità che ha modellato per millenni la Cina e che ancora oggi può aiutarci a capire le sue specificità.

 

Per l’approfondimento di alcuni concetti cfr. in Nicola Martella, Dizionario delle medicine alternative, Malattia e guarigione 2 (Punto°A°Croce, Roma 2003) i seguenti articoli: «Chi»; «Energia cosmica o vitale»; «Energie e loro attivazione»; «Medicina tradizionale cinese»; «Meridiani»; «Qi Gong»; «Tai Chi Chuan«; «Tao»; «Taoismo»; «Yin e Yang».

 

02-05-2007; Aggiornamento: 05-01-2008

 

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