[6. INDIA E CINA, DUE GIGANTI IN MOVIMENTO]
6.2. CINA
6.2.1. INTRODUZIONE:
«Quando il gatto dorme i topi ballano», questo proverbio si applica
bene all’Estremo Oriente che si affaccia sull’Oceano Pacifico. La Cina è un
gigante rispetto agli altri Stati della regione, sia considerando il numero di
abitanti, o l’estensione del territorio, o la potenza militare. In compenso gli
altri Stati hanno per lo più un reddito pro-capite superiore (anche di molto),
ma a un certo punto la Cina si è svegliata e da tempo è in forte ripresa
(nell’ultimo ventennio è cresciuta al ritmo del 10% annuo). Il Giappone, la più
grande potenza economica della regione, si trascina invece da lungo tempo in una
crisi dalla quale non si è ancora pienamente ripreso. Un motivo di crisi, per il
Giappone, è proprio dato dal dinamismo economico cinese, in grado di attrarre
più di altri i capitali che si dirigono nell’area. Ormai anche la ricchezza
complessiva prodotta dalla Cina (PIL), se calcolata sulla base del potere
d’acquisto, ha superato quella del Giappone. Se si fa invece il calcolo secondo
i criteri della Banca Mondiale, il PIL cinese resta ancora molto inferiore a
quello giapponese, ma la differenza si è andata riducendo: nel 1994 il PIL
cinese era un ottavo di quello giapponese, ma già quattro anni dopo (1998) il
divario si era dimezzato, divenendo un quarto, e questo andamento
riequilibratore sta proseguendo velocemente.
Secondo alcuni la Cina è già ben avviata ed è in
grado di raggiungere traguardi sorprendenti: considereremo ora altri
elementi che possono indurre a pensarlo.
6.2.2. UN PO’ DI STORIA NON GUASTA:
La Storia ci dice che la civiltà cinese si è manifestata in modo
evidente nel 1500 a.C., cioè più tardi di quella che possiamo chiamare
Mediterranea, o
Occidentale. Poi però la civiltà cinese ha recuperato rapidamente e, nei
quattro secoli a cavallo dell’inizio dell’era volgare (dal 206 a.C. al 220
d.C.), la dinastia Han ha fatto un’opera di assimilazione e uniformizzazione
parallela a quella che, in Occidente, ha fatto l’Impero Romano.
A partire da quel momento, il confronto Occidente -
Cina ha visto lunghi periodi nei quali la Cina è stata in condizioni sociali
e culturali indubbiamente migliori. La stampa con caratteri mobili (seppur
di legno, anziché di metallo) è per esempio iniziata in Cina 500 anni prima
che in Occidente. Cinese è pure, fra l’altro, l’invenzione della carta,
della bussola, della polvere da sparo, oltre alla nota coltivazione del baco
da seta.
Occidente e Cina sono stati a lungo una specie di
mondi paralleli separati dalla geografia, ma sempre in qualche modo
comunicanti (si pensi a Marco Polo, Gengis Khan e alla famosa «via della
seta», attraverso la quale passavano i commerci est-ovest). Questo
equilibrio millenario ha subito una svolta con la Rivoluzione industriale
del 18° secolo che, oltre a dare all’Europa una marcia in più, l’ha messa in
condizioni di interferire direttamente nella vita interna della Cina, fino a
imporle una colonizzazione forzata (con la cosiddetta «guerra dell’oppio»,
del 1839-42). Iniziò così un periodo di progressivo degrado della vita
nazionale e la Cina arriverà a essere invasa dal Giappone (1937).
La rinascita nazionale raggiunse il suo primo
traguardo con la proclamazione, da parte di Mao Tse-tung (Mao Dzedong),
della Repubblica Popolare Cinese (1949). Avendo questa Repubblica adottato
un regime di tipo comunista, per diverso tempo la ricostruzione è avvenuta
soprattutto sul piano politico-militare. Per l’avvio di una valida
ricostruzione economica bisognerà attendere la morte di Mao (1976) e il
prevalere (1980) di Teng Hsiao-ping (o Deng Xiaobing), che ha varato un
vasto piano di modernizzazione, aprendo sempre più la Cina all’influenza
dell’economia occidentale (pur conservando il regime comunista sul piano
politico).
6.2.3. GRANDE EFFICACIA DELLA DIASPORA CINESE: Prima del 1980 i cinesi
che stavano dentro la Cina non hanno potuto perciò esprimere le loro
potenzialità, mentre quelli fuori della Cina (cioè i cinesi della cosiddetta
diaspora) hanno ottenuto risultati incredibili, come dimostrano alcuni dati di
qualche anno fa, ma tuttora indicativi.
In Malesia i cinesi erano circa il 25% e avevano
una netta prevalenza in campo economico. In Thailandia il gruppo di origine
cinese costituiva l’8% della popolazione, ma deteneva la metà del capitale
bancario e il 90% delle imprese commerciali e manifatturiere! Mentre in
Indonesia era solo il 4% della popolazione, ma controllava 17 dei 25
maggiori gruppi d’affari e possedeva i tre quarti delle ricchezze private!
Nelle Filippine erano meno dell’1%, ma le loro società incameravano i due
terzi delle vendite delle 67 maggiori imprese commerciali! (Gli incredibili
dati su queste tre ultime nazioni sono tratti da un articolo di S. Magister,
Adamo Smith? No, Confucio, su
L’Espresso, 28/03/1993, p. 105). Singapore, Bangkok (capitale della
Thailandia), Phnom Penh (capitale della Cambogia) e Ho Chi Minh (ex Saigon,
capitale dell’allora Vietnam del Sud) erano e stanno tornando a essere un
quadrilatero di città sostanzialmente cinesi.
Anche fuori dell’Asia i cinesi hanno saputo dare
buona prova di sé. Gli americani di origine estremo-orientale (nei quali la
componente cinese è prevalente) «sono appena il 2,4 per cento della
popolazione USA. Eppure costituiscono il 17 per cento degli studenti di
Harvard, il 18 per cento degli studenti del M.I.T., il Massachussetts
Institute of Technology, il 28 per cento degli studenti di Berkeley. […]
sarebbero ancora di più, se le università non limitassero loro l’ingresso.
[…] Sono arrivati negli USA per ultimi, erano i più poveri, e ora i loro
figli sono i più volenterosi» (E. Franceschini, Sveglio, studioso: un
vero coreano, su La Repubblica, 24/03/1990, p. 6 dell’inserto
Mercurio).
A Vancouver, capitale della costa canadese sul
Pacifico, l’immigrazione dall’Asia è da alcuni anni quella prevalente e la
città si avvia a essere bilingue. Anche la costa pacifica degli USA
(California) ha un’alta concentrazione di asiatici e nella sola Los Angeles
c’erano alcuni anni fa ben 35 banche cinesi! Gli Stati Uniti hanno trovato
proprio in California un modo per contrastare la produzione asiatica di
computer, ma a volte anche i computer americani sono fatti da asiatici e con
capitali asiatici! Insomma, se continua di questo passo, l’Oceano
Pacifico
potrebbe diventare piano piano un Oceano Asiatico su ambedue le
sponde.
Anche in Italia sono presenti nuclei di immigrati
cinesi, per esempio a cavallo di Prato (industria tessile, lavorazione del
cuoio) e a Bologna, ma non se ne sente parlare molto e perciò quasi non ce
ne accorgiamo. Non battono le strade per chiedere elemosine, né per
prostituirsi; non creano disordini, ma se ne stanno nelle loro case
impegnandosi più che possono (è normale per alcuni di loro, per esempio,
ricevere la sera il lavoro da fare, per consegnarlo subito il mattino dopo).
Se mafia c’è, è soprattutto interna, collegata alla gestione
dell’immigrazione in parte clandestina. Si comportano in genere da ospiti
educati e quando (come a S. Donnino, fra Firenze e Prato) la loro
concentrazione è così elevata da suscitare lo scontento della popolazione,
anziché entrare in conflitto preferiscono cedere (molti da S. Donnino, per
esempio, si sono trasferiti in zone vicine). Come non portare ad esempio
questo modo di passare da immigrato (magari pure clandestino) ad ospite
accettato e infine a cittadino?
6.2.4. IL LIMITE CULTURALE DELLA «GRANDE MURAGLIA»: Queste grandi
capacità dei cinesi potrebbero far pensare a una futura leadership mondiale, ma
c’è una loro caratteristica millenaria che ne dovrebbe impedire la possibilità:
quella che potremmo chiamare «psicologia da Grande Muraglia».
L’ideologia cinese non è universalista, ma
nazionale e centripeta. Se non costretti dalle necessità, i cinesi
preferiscono occuparsi di ciò che sta all’interno dei loro confini
(delimitati per lungo tempo dalla Grande Muraglia). Il veneziano Marco Polo
arrivò fino in Cina, ma non esiste una corrispondente figura cinese che
abbia fatto un percorso inverso di paragonabile significato. Sono stati gli
occidentali, infatti, a promuovere nell’antichità i traffici con la Cina,
piuttosto che il contrario. Anche la ferrovia transiberiana, che va dalla
Russia al Pacifico, è stata costruita partendo da occidente e la Cina ne ha
approfittato solo in un secondo tempo (costruendone una diramazione
attraversante il suo territorio).
Cina e Giappone, per esempio, nell’antichità non
hanno mai sfruttato a fondo il loro esteso contatto col mare (come hanno
fatto i fenici, la Grecia, Roma, Spagna, Portogallo, Olanda, Inghilterra),
non hanno cioè costruito un sistema di colonie e di commerci internazionali,
limitando la navigazione per lo più entro i mari costieri (pur essendoci
facilità di insediamento per buoni porti).
Certo, si è notato un attivismo cinese in Africa,
in Medio Oriente e nell’Asia centrale ex-sovietica (col principale scopo di
garantirsi l’approvvigionamento delle materie prime), ma non sarà facile
superare gli ostacoli culturali a una leadership mondiale.
6.2.5. LA «VIA CONFUCIANA AL CAPITALISMO»: Per cogliere qualche altro
aspetto della mentalità cinese, e in genere dell’Oriente che si affaccia
sull’Oceano Pacifico, diremo ora qualcosa sulle direttrici culturali che hanno
guidato lo sviluppo economico di quell’area, dove nazioni come Giappone, Corea
del Sud, Taiwan e Singapore hanno già realizzato quella che, semplificando,
chiameremo la «via confuciana al capitalismo».
Nell’Asia dell’Oceano Pacifico ci sono tre
religioni principali: Taoismo, Buddismo e Confucianesimo, ma nelle questioni
pubbliche prevale il Confucianesimo. I tre sistemi di pensiero, però, non
sono propriamente religioni, nel senso che in Occidente si dà a questa
parola, perché non riguardano essenzialmente il rapporto con l’Essere
supremo, Creatore e Signore del cielo e della terra; non hanno nemmeno
un’organizzazione centralizzata, né una precisa teologia obbligatoria per
tutti; sono cioè visioni della vita, che assomigliano molto a quelle che in
Occidente vengono definite filosofie. Ciò riflette la mentalità concreta e
pragmatica dell’Estremo Oriente, che non ragiona mai in termini di ideologia
astratta.
Ciascuno, poi, non è che sia taoista o buddista o
confuciano, ma è al tempo stesso un po’ di tutti e tre, a seconda delle
circostanze e dei momenti. Noi occidentali tendiamo a ragionare in bianco e
nero: cristiani o musulmani, cattolici o protestanti, comunisti o
capitalisti, democratici o dittatoriali; ma non è così nell’Oriente sul
Pacifico. Per gli estremo-orientali la realtà è l’insieme dei due principi
contrapposti di yin e yang
(raffigurati da due specie di girini incastrati in una circonferenza). Yin e
yang sono sì uno bianco e l’altro nero, ma il bianco non è separabile dal
nero, sia perché formano insieme un cerchio e sia perché la parte nera ha un
cerchietto bianco al suo interno, come la parte bianca ha un corrispondente
cerchietto nero. Non bisogna quindi stupirsi se la Cina, dovendo scegliere
fra capitalismo e comunismo, ha deciso di miscelare le due cose, aprendo
l’economia al sistema capitalistico, ma restando politicamente comunista!
«Non funzionerà», siamo portati a dire, invece bisogna riconoscere
che sta funzionando!
Per noi occidentali le espressioni via retta,
via dritta, sono sinonimi di via giusta, mentre per i cinesi il
corretto modo di procedere è a zigzag. «È il diavolo», dicono loro,
«che va dritto». Se non teniamo conto di queste strutture mentali, ci
troveremmo in grande difficoltà nel comprendere i passi indietro che la Cina
ogni tanto fa sulla via delle riforme. Noi temiamo che ci stiano ripensando,
mentre per loro il modo più sicuro di procedere è quello di fare due passi a
destra e uno a sinistra, due passi in avanti e uno indietro.
Se uno Stato occidentale tentasse di applicare quei
principi, c’è da presumere che naufragherebbe immediatamente. Nell’Oriente
sul Pacifico, invece, quella miscela di autoritarismo e democrazia ha già
funzionato in Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Singapore, tutte nazioni che
hanno innescato il capitalismo in modo autoritario. In un secondo tempo,
quando il popolo è divenuto istruito e benestante, si è poi realizzata anche
la democrazia politica. La strada che sta seguendo la Cina, perciò, può
apparire stravagante e rischiosa solo a chi non ha preso atto che il metodo
è già sperimentato ed è molto adatto per quel contesto. In quell’area hanno
saputo trovare una «via asiatica al capitalismo», che gli facesse recepire
il nuovo, ma adattato alla propria sensibilità e storia.
Il merito di questo successo va anche un po’ a
Confucio, al quale in genere si ispira l’etica pubblica. Il Confucianesimo
accetta le credenze (molto moderate) dell’animismo politeista cinese (culto
degli antenati, credenza in particolari spiriti), ma sorvola sugli
aspetti intimi della religiosità, concentrandosi (quel poco che ne parla)
sui suoi aspetti rituali e collettivi. Il centro dell’interesse di Confucio
(vissuto in Cina fra il 6° e il 5° secolo a.C.) è sia la società nel suo
insieme, che i rapporti fra i suoi componenti. Più che altro, insomma, è un
compendio di saggezza umana e politica.
Qualche aspetto avvicina il Confucianesimo al
Protestantesimo. Confucio infatti spinge l’individuo a impegnarsi
concretamente per realizzare il proprio bene e il bene della proprio
cerchia, concentrandosi su questa vita, piuttosto che su un «aldilà» che non
esercita nessuna attrazione su di lui. L’attivismo dei cinesi deriva anche
da questo.
L’individuo è chiamato a essere sottomesso e ad
accettare il posto assegnatogli dalla società. A chi comanda (padre,
marito, fratello maggiore, datore di lavoro, autorità politica) è fatto
obbligo di moderazione e di ricerca del bene comune, ma non si devono
tollerare contestazioni e chi è sottoposto ha l’obbligo di obbedire.
Questo contribuisce a spiegare la relativa facilità con la quale il governo
cinese sta riuscendo a governare più di un miliardo di persone, facendole
passare attraverso profonde trasformazioni economiche e sociali.
Al vertice dei valori il Confucianesimo mette la
famiglia (in Occidente, invece, prevale la vocazione individuale) e al
vertice della società la persona istruita. Da queste due impostazioni deriva
una forma di capitalismo detto famigliare (nel senso che le imprese
tendono a essere gestite da clan famigliari che lavorano insieme) e una
generale prevalenza dei civili sui militari nella conduzione politica (i
colpi di stato a opera dei militari sono significativamente assenti in quel
contesto culturale).
L’influenza occidentale ha moderato, nel
Confucianesimo, la tendenza all’immobilismo sociale, nonché la scarsa
considerazione della donna e del lavoro manuale. Quando ora si parla di
Confucianesimo, perciò, si parla di un’impostazione un po’ diversa da quella
del passato, restano però tracce profonde di una mentalità che ha modellato
per millenni la Cina e che ancora oggi può aiutarci a capire le sue
specificità.
Per l’approfondimento di alcuni concetti cfr. in Nicola Martella,
Dizionario delle medicine alternative,
Malattia e guarigione 2 (Punto°A°Croce, Roma 2003) i seguenti
articoli: «Chi»; «Energia
cosmica o vitale»; «Energie e loro attivazione»; «Medicina tradizionale
cinese»; «Meridiani»; «Qi Gong»; «Tai Chi Chuan«; «Tao»; «Taoismo»; «Yin e
Yang».
02-05-2007; Aggiornamento: 05-01-2008
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