[5. AMERICA LATINA: POTENZIALITÀ E DEBOLEZZE]
5.4. SPAGNA, PORTOGALLO E… COSTA RICA:
TRE APRIPISTA
Il dittatore spagnolo Francisco Franco è morto nel 1975. Da allora la
Spagna ha voltato pagina e ha cominciato a inserirsi pienamente
nell’Europa Occidentale e nelle sue Istituzioni (ingresso nella Comunità
Europea nel 1986). Il re Juan Carlos di Borbone, l’intera classe dirigente
(di sinistra e di destra) e il popolo hanno dimostrato una maturità, che ha
portato la Spagna ad avere un ordinato sviluppo economico e ad acquisire,
nelle varie sedi internazionali, una sempre più alta considerazione e
responsabilità. Il Portogallo ha successivamente fatto un percorso
analogo. Chi, meglio di Spagna e Portogallo, può essere di esempio a
un’America Latina che parla la loro lingua?
Spesso le difficoltà dei popoli consistono nel non
saper trovare efficaci modelli adatti alla loro storia e alla loro
sensibilità. Quando l’America Latina ha cercato di imitare gli Stati Uniti,
per esempio, sono spesso venute fuori delle «brutte copie». Spagna e
Portogallo possono invece fornire alle loro ex colonie un modello adatto
(sia nella sua sostanza che nel suo modo di proporsi).
In realtà un modello l’America Latina lo ha sempre
avuto in se stessa ed è il Costa Rica. Troppo piccolo però per essere
notato e anche la posizione geografica (chiuso com’è nella stretta fascia
istmica) ha contribuito a farlo poco conoscere. Vale comunque la pena di
vederlo più da vicino, perché la particolarità della sua vicenda fa capire
che la storia dell’America Latina poteva e potrà essere diversa. Il Costa Rica è la classica eccezione che conferma
la regola e rappresenta il volto pulito dell’America Centrale. Dopo la
scoperta e la prima parziale colonizzazione, si interessò di questa regione
un conquistador diverso dagli altri, Juan Vázquez de Coronado, che ne
portò a termine l’esplorazione e lo governò per tredici anni (1560-73). J.
V. de Coronado ebbe grande capacità amministrativa e molta benevolenza verso
gli indios, attirando sul territorio non quelli che volevano vivere
schiavizzando gli altri, ma quelli che desideravano guadagnarsi il pane col
classico «sudore della propria fronte». Si formò così una folta schiera di
piccoli e medi proprietari, base economica di una democrazia non solo
formale.
Pochi sono stati i travagli civili del Costa Rica e
poco gravi, tutti comunque antecedenti al 1949, anno nel quale la nazione ha
rinunciato ad avere un esercito proprio (pericolosa sorgente di colpi di
stato), mantenendo l’ordine pubblico solo con la polizia e la guardia
costiera (meno di 2.000 uomini su una popolazione di circa 3 milioni di
abitanti).
Anche in Costa Rica la grande multinazionale
statunitense delle banane (United Fruit Company) ha larghi interessi, ma non
ha prodotto nessuna alterazione della vita democratica, a dimostrazione che
le cause dei guai di una nazione non vanno cercate solo all’esterno di essa.
Se un nuovo governo del Costa Rica, per esempio, non rispettando i patti
sottoscritti dal precedente governo, intendesse espropriare con pochi soldi
la United Fruit, è immaginabile che la compagnia reagirebbe cercando di
salvaguardare i propri interessi e aiutando la presa del potere da parte di
chi intendesse proteggerla. Per farla breve, le multinazionali hanno fatto
anche sporchi giochi per sporchi interessi, ma si sarebbe ingiusti e non si
capirebbe la realtà se si volesse ostinatamente credere che le
multinazionali agiscono sempre male, che hanno sempre torto, per il fatto
stesso di esistere. Senza le multinazionali delle banane, quanto ci
costerebbe una banana? E quale sarebbe il reddito di quelle aree dove si
coltiva? Quando una forte multinazionale incontra un forte popolo, non
c’è da preoccuparsi. Se il popolo è debole, invece, è chiaro che sono
possibili mille soprusi, preparati e facilitati spesso dalle stesse classi
dirigenti di quei popoli.
02-05-2007; Aggiornamento: 05-01-2008
|