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Esso sostiene che le specie non possono trasformarsi in altre
specie e restano fisse nelle loro caratteristiche. Sembra un concetto
semplice e chiaro, invece ha un margine di ambiguità, seppur limitato; ciò è
dovuto all’incertezza che si è sempre avuta nel definire in modo univoco cosa
sia una «specie». Le definizioni prevalenti si incentrano sul concetto di
interfecondità e considerano appartenenti alla stessa specie gli
individui che potenzialmente si possono accoppiare, dando prole feconda. Ci sono
però casi particolari e riguardanti gruppi molto affini, per i quali questa
definizione risulta inadeguata.
Anche il termine ebraico mîn «specie
(creata)», che troviamo in Genesi, ha un significato che si presta a una
certa elasticità e potrebbe significare un raggruppamento più ampio di
quello che viene oggi indicato come «specie»: per esempio il cane, il lupo e
la volpe potrebbero considerarsi come appartenenti a un’unica «specie» e
derivare da un progenitore comune attraverso la variabilità che si ha
normalmente nella discendenza (cane, lupo e volpe, in quest’ottica,
sarebbero razze diverse, non specie
diverse).
Insomma, i confini della «specie» possono essere
più stretti o più ampi, ma la differenza essenziale fra le diverse posizioni
non sta in questo e riteniamo che si debbano definire «fissisti» tutti
coloro che ritengono
invalicabili i limiti della «specie»
(indipendentemente da quanto essa sia ragionevolmente considerata ampia).
Alcuni creazionisti che sono un po’ elastici sul concetto di specie, si
definiscono «non fissisti», ma in questo modo alimentano la confusione del
linguaggio. Semmai crediamo che sia più chiaro e ragionevole, dov’è
necessario, fare una distinzione fra
fissisti stretti e fissisti larghi. Il fissismo si contrappone
all’evoluzionismo
in generale e al
trasformismo
in particolare.
{Fernando De Angelis}
Aggiornamento: 10-05-07 |