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Mi piace la scienza, cioè le cose concrete, dimostrabili e dimostrate. È
stato un piacere per l’intelletto leggere gli scritti di
Pasteur e
Mendel, che annunciavano rivoluzionarie novità con parole
semplici, lineari, di poche pagine, che indicavano esperimenti replicabili e
risolutivi. Per non rimanere con valutazioni di seconda mano su Darwin, decisi
di leggere anche la traduzione italiana della sua opera fondamentale, pubblicata
a Londra nel 1859 (L’origine delle specie [Newton Compton, Roma 1974]).
La mole del libro mi dava qualche preoccupazione (560 pp.), ma ero deciso a
capire le sue ragioni. Armato di una matita per sottolineare e annotare, volevo
mettere in evidenza sia il discutibile che l’accettabile.
Nel primo capitolo (pp. 39-49) Darwin fece una
veloce ricognizione su quanto era stato fino ad allora pubblicato
sull’argomento. Si contrappose subito, considerandola come una concezione in
via di superamento, a quella che considerava le specie come «prodotti
immutabili di creazioni distinte» (complimenti, è una sintetica e chiara
definizione di creazionismo). Citò 34 autori, di cui disse che «credono
nella mutevolezza delle specie o, quanto meno, non credono ad atti creativi
distinti» (p. 47, nota n. 3), dimostrando egli stesso che la sua
impostazione non era poi così originale come oggi si vuole far credere. Fin
qui, comunque, la lettura è stata abbastanza interessante.
Già all’inizio della successiva Introduzione
(pp. 50-54) mi sono però messo in allarme, perché c’è scritto: «Sono ben
pochi gli argomenti trattati in questo libro ai quali non si possono
opporre dati di fatto che portano a conclusioni chiaramente contrastanti con
quelle cui io sono arrivato». Se lo riconosce lui stesso che c’è ben poco
che non si possa contestare, mi sono chiesto, allora dov’è la forza di
sfondamento di questo libro? L’Introduzione
termina con altre affermazioni per me preoccupanti: «Molte cose sono ancora
oscure e rimarranno oscure ancora per lungo tempo. Ciononostante […] Sono
profondamente convinto che le specie non sono immutabili […] Inoltre sono
convinto che la selezione naturale è stata la causa principale» (p. 54).
Convinzioni ribadite
nonostante l’oscurità, insomma, non a causa
di una nuova luce!
Il primo capitolo descrive la variabilità nelle
specie domestiche ed è una realtà pienamente condivisibile. Ci sono però
espressioni poco scientifiche, perché Darwin si appellava a «misteriose
leggi» che mettono in relazione lo sviluppo delle varie parti (p. 59); poi
proseguì appoggiandosi a leggi «del tutto sconosciute» che governano
l’eredità (p. 60, poi anche a p. 132 e 141), con l’aggravante che quelle
leggi gli erano sconosciute perché si era rifiutato di prendere in
considerazione l’opera che
Mendel gli aveva mandata. Si può chiamare scienza quando svela il mistero, non
quando lo prende a giustificazione! Abbondano anche soggettivismi e
supposizioni del tipo «secondo me», «se ciò fosse vero», «non posso pensare»
e altre simili.
Il secondo capitolo parla della variazione in
natura e verso la fine c’è scritto: «Ritengo che una varietà ben
definita può essere a buon conto considerata specie incipiente, però
la legittimità di questa opinione non può essere giudicata se non soppesando
globalmente i diversi fatti e le diverse ipotesi che si trovano sparsi in
tutto il libro» (p. 97s). È una strategia tipica di chi non ha dimostrazioni
precise e si appoggia su molti argomenti opinabili, sperando che la
quantità (vedi anche il numero di pagine) sopperisca alla qualità.
In questo modo, però, la tesi diviene paradossalmente inattaccabile, perché
qualsiasi argomento si contesti, si può dire che non è quello a essere
decisivo e che bisogna guardare il complesso delle prove. Insomma,
per dirla con Popper, ci si pone sul terreno della «non falsificabilità»,
dove cioè non c’è qualcosa di definito che funga da banco di prova, mentre
la logica della scienza si basa proprio su prove cruciali che dimostrino la
tesi sostenuta e che possano essere demolite da apposite controprove.
La mia poca pazienza cominciava a esaurirsi e così
ho quasi saltato il terzo capitolo, anche perché lì si parla della «Lotta
per l’esistenza» e se ne intuisce il contenuto; volevo anche arrivare in
fretta al cruciale capitolo 4, dove viene trattata la famosa «Selezione
naturale». Già all’inizio, però, ho trovato un altro «boccone amaro», perché
c’è scritto: «Il principio della selezione, che abbiamo visto quanto sia
potente nell’uomo [cioè quando lo usa l’uomo, per esempio nella selezione
degli animali domestici, ndr], può valere in natura? Teniamo presente la
capacità di presentare variazioni singolari, immensamente grande nei
prodotti di allevamento e un po’ più limitata nei viventi allo stato
naturale» (p. 127). Quell’aggettivo «immensamente» non è vero, perché le
variazioni negli allevamenti sono limitate, al punto che dai cavalli sono
stati ottenuti solo cavalli e dai cani solo e sempre altri cani! In fondo è
questa l’incongruenza del libro di Darwin: parlare di una cosa vera, cioè la
varietà all’interno della specie, per poi estenderla «immensamente», come se
fosse un’operazione senza problemi. È un’ovvietà affermare che da una coppia
di cani bastardi si possono ottenere una varietà di
razze di cani, ma Darwin riteneva che ciò dimostrasse la possibilità
di una variazione
infinita, che spiegasse anche come dai mammiferi terrestri, per esempio,
si fosse potuto passare ai mammiferi adatti alla vita acquatica (come le
balene). Il giusto titolo per il libro di Darwin sarebbe perciò non
L’origine delle specie, ma L’origine delle razze,
perché è di quest’ultime che in fondo si parla (vizio che in genere si
ripete nei darwinisti di oggi, che continuano a concentrarsi sulla
variabilità interna
alla specie, schivando così i veri nodi della questione!).
Non ho più retto quando, come «prova»
dell’efficacia della selezione naturale, Darwin
immaginò una specie che chiamò (A), la quale dopo diecimila generazioni
si immaginò che avesse potuto produrre le varianti divergenti a10,
f10
e m10
(p. 160), continuando a introdurre gli argomenti con continui «poniamo», «si
suppone», «secondo me» e similari. Alcuni troveranno incredibile questo
riassunto, ma il libro di Darwin si trova in ogni libreria e in ogni
biblioteca: per favore controllate e solo dopo, se il caso, contestate.
Mi avvio a concludere, citando il riassunto del
capitolo 4 (p. 166) fatto da Darwin stesso: «Durante il lungo corso delle
età e in diverse condizioni di vita, gli organismi variano in diverse parti
della loro organizzazione, e questo, secondo me, non può essere messo in
discussione». Come dire: «È una mia opinione personale, ma indiscutibile».
Più avanti affermò invece che «l’opinione corrente, secondo la quale la
quantità delle variazioni possibili è strettamente limitata», fosse da
considerarsi «una semplice opinione», mentre corrisponde pienamente alla
realtà osservabile (p. 170, nota 9, da lui aggiunta all’ultima edizione).
Credo che le opinioni siano tutte «semplici opinioni» e che tutte siano
discutibili, se non dimostrate, comprese quelle di Darwin.
D’altronde, che Darwin non abbia portato prove
concrete, lo si può desumere anche da ciò che scrivono i darwinisti, i quali
si dilungano sulla
microevoluzione e sulle indeterminatezze (del tipo, «è
possibile che sia successo che…», oppure «non si è capito ancora come,
ma deve essere successo che…»), senza poter mostrare un solo caso di
macroevoluzione veramente accaduto e
pensando di aver risolto il mistero solo perché lo hanno sostituito con
l’ignoto! Molti darwinisti continuano a ritenere certe le opinioni di
Darwin, rifiutandosi di confrontarsi con chi non ha la loro stessa fede:
perché di fede si tratta quando si è certi di cose che non si vedono. Non
che, evidentemente, disprezziamo la fede, purché non sia intollerante e
purché non si ammanti con una certezza scientifica che non ha.
{Fernando De Angelis}
Aggiornamento: 10-05-07 |