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Qui di seguito applichiamo il principio dell’accesso
multipolare alla realtà a elezione e predestinazione. Dio ha fatto
una doppia scelta, in un punto specifico dell’eternità, nel senso della
sedicente dottrina della «doppia predestinazione»? Se mai c’è stato qualcosa del
genere, la sacra Scrittura non lo rivela in modo chiaro, evidente e
incontrovertibile; anzi, essa mi convince di no. Dio aveva (e ha) tutto il
diritto (pre-)destinare gli uni a salvezza e gli altri a perdizione, ma che lo
abbia fatto è tutt’altra cosa. Se qualcosa del genere sia mai accaduto, è un
mistero che risiede solo in Dio e di cui la Scrittura non ce ne parla; ora ciò
che in essa non è chiaro, evidente e incontrovertibile può essere solo oggetto
di riflessione, non di asserzione dottrinale. Una grande
tentazione è togliere versi da un contesto (p.es. Gv 6,37.44.65) e inserirli
all’interno di una logica dogmatica, secondo i dettami di una sovrastruttura
ideologica (qui la sedicente «doppia predestinazione»). Per non
polarizzarsi e diventare unilaterali e faziosi, bisogna convenire che — come già
detto — certe verità della Bibbia si possono sondare solo procedendo con un
metodo multipolare. Amore e giustizia in Dio, misericordia e giudizio, elezione
divina e responsabilità umana, amore divino e condanna eterna, elezione
d’Israele e universalismo dell’Evangelo, e così via — temi del genere si
prestano a interpretazioni unilaterali e faziose, quando si sceglie a priori per
uno di questi binomi, secondo le proprie preferenze o per appartenenza
dottrinale e ideologica. L’unico rimedio per accedere alla verità della
Scrittura è proprio quello di rimanere sulla base della multipolarità, senza
annacquare dialetticamente le questioni contrapposte (p.es. amore e giustizia),
senza sbilanciarsi da una sola parte e senza cercare sintesi che mortificano
solo la verità (oltre che la ragione). Per certe questioni la risposta sta fuori
della relativa contrapposizione dei termini; per altre la risposta è un mistero
che risiede in Dio e si fa bene perciò a resistere alla tentazione di
«risolvere» ideologicamente tale «mistero» mediante forme del falso sillogismo.
La realtà di Dio e delle cose presso Dio possono avere un’altra logica, a noi
inaccessibile, per le cose che non ha rivelato in modo chiaro, evidente e
incontrovertibile. Ecco alcuni
aspetti della multipolarità nell’Evangelo di Giovanni, che è altamente
teologico, riguardo a tale tema. ■ Israele
è il popolo eletto di Dio (1 Re 3,8; 1 Cr 16,13; Sal 105,6; Is 41,8; 43,20;
44,1s; 45,4). Sebbene i termini «eletto/i, eleggere» non compaiano mai in
Giovanni nelle nostre Bibbie italiane (scegliere, scelto sì), questo lo si
evince dall’intero orizzonte biblico. Fin lì non c’erano altri eletti, se non
Gesù stesso (cfr. Lc 23,35) quale figlio di Davide (Sal 89,3; Is 42,1; Mt
12,18). In modo particolare erano i dodici discepoli eletti di Gesù (Gv
15,16.19; cfr. At 1,2.24; 10,41), sebbene uno di loro fosse conosciuto da Gesù
come il traditore (Gv 6,70; 13,18). ■ I Giudei
insistevano proprio sul fatto di essere figli di Abramo e quindi eletti
(Gv 8,39). Gesù disse loro: «Io so che siete progenie d’Abramo; ma cercate
d’uccidermi, perché la mia parola non penetra in voi» (Gv 8,37). Quindi la
loro elezione in Abramo senza la fede in Gesù quale Messia non serviva a nulla.
Così facendo, si comportavano in modo contrario rispetto ad Abramo (v. 56). Già
Giovanni Battista contestava loro il fatto di appoggiarsi su Abramo quale loro
padre per essere salvati o per piacere a Dio (Mt 3,7ss), indicando subito dopo
verso il Messia (vv. 11s). ■ Gesù
avvertì i Giudei del suo tempo che, rifiutando lui come Messia, si
sarebbero chiuso l’accesso al regno e alla salvezza. «V’ho detto che morrete
nei vostri peccati; perché se non credete che sono io (il Cristo), morrete nei
vostri peccati» (Gv 8,24). ■ I Giudei
nel loro complesso hanno rifiutato Gesù quale Messia. «È venuto in
casa sua, e i suoi non l’hanno ricevuto» (Gv 1,11). ■ Viene
evidenziato l’amore universale di Dio. «Dio ha tanto amato il mondo, che ha
dato il suo unigenito Figlio» (Gv 3,16a).
■ Viene evidenziato l’accesso alla salvezza per chiunque crede in Gesù
quale Messia, indipendentemente dalla sua appartenenza razziale. «…affinché
chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Gv 3,16b). «A
tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato l’autorità di diventare figli di
Dio, a quelli, cioè, che credono nel suo nome;
13i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da
volontà d’uomo, ma sono nati da Dio» (Gv 1,12s). ■ Viene
evidenziata la
responsabilità umana. «Chi crede nel Figlio ha vita eterna; ma chi
rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio resta sopra lui»
(Gv 3,36; cfr. 1 Gv 5,10; Gv 3,18; 8,46; 10,37s). ■ Versi come
Gv 6,37.44.65
si trovano all’interno di una complessa situazione storica e teologica ed erano
parte di un confronto e scontro di Gesù con i Giudei del suo tempo. Per non
polarizzarsi e per comprenderli in modo corretto, bisogna inserirli all’interno
di tale complessità storica e teologica specifica, come mostra il nostro schema
multipolare. Gesù non
contestava che i Giudei fossero figli d’Abramo e quindi parte del popolo eletto.
Gesù li avvertiva però che tale privilegio non bastava ai fini dell’entrata nel
regno di Dio e quindi ai fini della salvezza, se essi lo rifiutavano come il
Messia-Re, mandato da Dio. Sebbene facessero parte del popolo eletto, essi
chiudendosi alla testimonianza di Dio circa suo Figlio — essa fu data da Dio
Padre stesso mediante la propria voce, la Scrittura (Gv 5,39) e le opere potenti
compiute da Gesù (Gv 3,32ss; 5,36s; 8,18; 10,25), mediante Giovanni Battista (Gv
1,32; 3,26; 5,32s), gli apostoli (Gv 15,26; 19,35; 21,24) e in seguito mediante
lo Spirito Santo (Gv 15,26) — si ponevano da se stessi fuori del regno di Dio e
quindi fuori della salvezza (Gv 5,38s; 8,24; 10,26). I termini «testimoniare,
testimonianza» si trovano in 31 versi dell’Evangelo di Giovanni e nella
maggior parte dei casi si trattava appunto della testimonianza riguardo a Gesù
quale Messia. Solo quei Giudei che si aprivano alla testimonianza di Dio circa
suo figlio, potevano credere in Gesù quale Messia. Il seme era lo stesso, ma i
terreni differenti (Mt 13,4ss). Non bastava l’appartenenza razziale e l’essere
parte del popolo del patto, ma ci voleva un intervento del Padre (Gv 6,65) in
coloro che si aprivano alla sua testimonianza. Il Padre sapeva chi fossero
coloro che si erano aperti alla sua testimonianza e che erano disposti ad andare
a Gesù (Gv 6,37). Chi vedeva in lui solo il figlio di Giuseppe e non il Messia
venuto dal cielo (v. 42), non accettava tale testimonianza di Dio circa il suo
Figlio (v. 45), quindi non poteva essere attirato dal Padre verso Gesù (v. 44). Tutto ciò
aveva a che fare con la particolare contingenza storica e teologica del momento
(Gesù parlava a persone che erano parte del «popolo eletto) — non aveva quindi
nulla a che fare con una presunta dottrina filosofica della «doppia
predestinazione» del calvinismo, formulata a tavolino molti e molti secoli dopo
all’interno di un contesto storico, teologico e culturale completamente diverso.
{Nicola Martella}
▬ Letteratura■
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► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/DizBB/Multipolare_elez_predest_Lv.htm
08-01-2008; Aggiornamento:
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