Un
secolo fa, nell’ambiente contadino d’allora, ricevere gli auguri con una
vigorosa e incallita stretta di mano da parte di chi conosceva bene le famiglie
degli sposi, era considerato già una gran cosa… un buon auspicio per un
matrimonio felice riuscito.
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In
un paesino d’alta montagna, sperduto fra i monti, i promessi sposi giunti
a piedi fin lì. Seguiti da un piccolo codazzo di parenti e amici e di ragazzini,
stavano per entrare nell’antica chiesetta, che di solito era sempre sbarrata, ma
che era stata aperta, in questo fausto giorno, per una grossa occasione
matrimoniale da celebrarsi in serata.
Sulla porta, aperta solo per metà, perché l’altra metà
risultava bloccata dalla ruggine da chissà quanto tempo, li attendeva don
Sebastiano con funzioni di «vicesindaco aggiunto», munito dei necessari poteri
per unire in matrimonio i due promessi sposi (si trattava di firmare un logoro e
consunto quaderno a quadretti, vidimato una decina d’anni prima con timbro e
firma del podestà d’allora…).
Questa costruzione di pietra era un vecchio cascinale
di forma rettangolare con superficie totale d’una ventina di metri e sarebbe
stata una chiesa cattolica e avrebbe potuto apparire come tale, se avesse avuto
le candele — almeno una — la balaustra, un altare, qualche sedia anche
spagliata, un inginocchiatoio e qualche panca.
Nulla di tutto questo, ma non mancava invece e faceva
bella mostra di sé all’ingresso, un vicino di borgata — che pareva in attesa —
con in mano in posizione strategica la cassetta per le offerte, con tanto di
sacrestano con sacchetto, avente funzioni di vice parroco, pronto a ritirare il
prezioso contenuto.
Improvvisamente, vale a dire senza preamboli — nel
momento culminante dell’ingresso degli sposi — un saluto entusiasmante e
gioioso, risuonò in tutte le navate della chiesa (una navata e… mezza nel
retro): «Viva la sposa! Viva la sposa… orca vacca!». Forse l’entusiasta amico degli sposi, a questo punto
s’era accorto d’aver detta una grossa cavolata, ma ormai il «rafforzativo» gli
era scappato sull’onda dell’entusiasmo. Per fortuna, non era successo niente,
poiché la frase era gridata fra amici, che la usavano di frequente. Dopo questa
bella sceneggiata, il parroco pronunciò il «così sia» di prammatica: gli sposi
erano uniti in matrimonio, senza altri imprevisti o incombenze, salvo … salvo
un’occhiataccia della sposina al novello coniuge per ricordargli di non
dimenticarsi d’andare a mungere la mucca… prima del rinfresco con pane e salame
e un mezzo bicchiere di vino bianco e… assolutamente prima d’adempiere alle
consuete formalità coniugali!
Il matrimonio a questo punto era ormai cosa fatta!
Auguri agli sposi !
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In
un’aula di tribunale il giudice stava ascoltando gli sposi che volevano
separarsi: «Signor giudice, siamo nella crisi matrimoniale del settimo anno; ci
siamo sposati il 24 giugno dell’anno 2000. Con questa motivazione vogliamo la
sentenza di separazione e poi il divorzio».
Il giudice guardò l’orologio, sfogliò un grosso codice
matrimoniale e poi sentenziò: «Siete nella crisi del settimo anno? Cari miei,
dovete rifare la domanda e tutti gli incartamenti, perché da due ore siete
entrati nell’ottavo anno e sono scaduti i termini di legge!… Tornate fra altri
sette anni in tempo e vi separerò!». (Quando si dice la… sfortuna!)
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In
un paesino un uomo si lamentava con gli amici: «Io credevo d’avere sposato una
donna ricca invece…». Il poverino non si rendeva conto che sua moglie era una
donna ricca d’inventiva, ricca d’idee, ricca di buon gusto, ricca
d’intelligenza, ricca di talenti… Lui non s’era neppure accorto che la moglie
aveva investito in due bimbe le sue ricchezze più amate e più pregiate!
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E
per finire, i consigli d’una buona lettura: il cantico 285 della vecchia
raccolta (vecchia, ma sempre buona!) degli «Inni e cantici cristiani»: «È la
casa un paradiso, quando c’è il Signor…».
{adattamento da un testo di
minop; ©
Punto°A°Croce 2007}
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/+Ars/R-Matrimoni_altri_tempi_S&A.htm
03-09-2007; Aggiornamento: 25-06-2010
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